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Dominion

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Una guerra tra due schiere di angeli, l’attesa di un nuovo messia e lo sfondo di una Las Vegas trasformata in cittadella militare dagli ultimi superstiti dell’umanità: queste le premesse narrative di Dominion (2014), serie televisiva sci-fi/fantasy trasmessa negli Stati Uniti sulla pay-tv Syfy.
Contaminazione e citazione sono le due parole chiave della televisione postmoderna: ideata da Vaun Wilmott come spin-off del film fantastico Legion (2010), Dominion rappresenta, in tal senso, un caso emblematico, miscelando in parti accuratamente uguali suggestioni fantascientifiche ed elemento religioso e soprannaturale.
Se, con Dal tramonto all’alba (1996) e Vampires (1998), Robert Rodriguez e John Carpenter avevano per primi “importato” i vampiri – con immancabile autoironia pulp – tra ambientazioni neo-western, in Legion il regista e sceneggiatore Scott Stewart sceglieva il deserto californiano del Mojave addirittura come sfondo di una biblica Apocalisse, restando fedele al proprio registro d’elezione, quello del thriller e dell’horror. Ancora diverso è però il caso di Dominion, che dalle premesse del film di Stewart parte per costruire un racconto radicalmente nuovo, di fatto indipendente dal suo prototipo sia nella trama che nell’estetica. Dopo la scomparsa di Dio, l’arcangelo Gabriele ha deciso lo sterminio dell’umanità, trovando i suoi alleati negli angeli delle schiere inferiori, che si incarnano negli umani assumendo fattezze da zombi degne di un film di George Romero.
A Gabriele si oppone però l’arcangelo Michele (Tom Wisdom), che per assicurare una speranza di salvezza all’umanità ha sottratto alla morte un piccolo nuovo messia. Dall’assedio di una caffetteria nel deserto raccontato in Legion – nel solco western di Un dollaro d’onore (1959) – si passa qui all’assedio di un’intera città, Las Vegas, trasformata in un gigantesco fortino da Michele e dai sopravvissuti, e governata con pugno di ferro da un regime militare che evoca le gerarchie delle più classiche space opera.
Benché ci troviamo sulla Terra e non negli spazi siderali, è in effetti impossibile non pensare qui a un’altra fortunata produzione Syfy, già nota al pubblico del nostro canale, Battlestar Galactica (2004-2009), e al suo miscuglio tra space opera in divisa, allegoria politica e spiritualismo new age.
Le produzioni del canale Syfy – possiamo citare altre serie già trasmesse da Rai4 come Alphas (2011-2012), Caprica (2010), Eureka (2006-2012), Haven (2010-in corso), Sancturay (2008-2011) e Warehouse 13 (2009-2014) – hanno, del resto, da tempo allargato il loro raggio d’azione dalla science-fiction pura ad altri filoni dell’universo fantastico, come il fantasy, il paranormale, l’horror, l’avventura e il supereroico, proponendone spesso incroci, ibridazioni e antologiche ricognizioni. Lo sfondo di Las Vegas, qui ribattezzata Vega, non è dunque casuale: molto vicina al deserto del Mojave di Legion, ma soprattutto essa stessa città postmoderna per eccellenza, pastiche di citazioni architettoniche che vanno dalle statue greco-romane del Ceasars Palace ai mini-grattacieli del New York, New York, due grandi alberghi qui presi a prestito come teatro della vicenda.
Sono passati venticinque anni dagli eventi descritti in Legion e il piccolo messia si è ormai fatto uomo, ma – come nell’archetipo biblico – attende ancora egli stesso la sua rivelazione.
Alex, militare coraggioso quanto indisciplinato, sembrerebbe avere tutte le caratteristiche del caso; il suo interprete Christopher Egan ha, del resto, già prestato il volto al giovane re David di un’altra rivisitazione al presente della Bibbia marcata NBC, Kings (2009).
Archetipica è anche la figura di Claire, sacerdotessa innamorata del prescelto, ma destinata a un matrimonio d’interesse dalla ragion di stato: nei suoi panni c’è la bella Roxanne McKee, attrice già nota al nostro pubblico nei ruoli epici de Il Trono di Spade (2011-2012) e Ironclad 2: Battle for Blood (2014).
Da un antro degno del conte Dracula, Gabriele (Carl Beukes) sta intanto per lanciare un nuovo attacco su Vega, potendo adesso contare non solo sugli angeli delle schiere inferiori, ma anche sulle più potenti Dominazioni, che sfoggiano invece tute corazzate in stile supereroico. È proprio la paura del nemico esterno, l’elemento su cui lo spregiudicato David Whele (Anthony Head) vuole costruire la sua scalata al potere ai danni dell’anziano generale Edward Riesen (Alan Dale). Mentre politica e potere trionfano sul piccolo schermo con l’attualità di House of Cards (2013-in corso) e le metafore fantasy de Il Trono di Spade (2011-in corso), anche Dominion mette dunque al centro l’intrigo di palazzo e la visione distopica di un mondo che ha trasformato la necessità di difendersi dall’esterno in strumento di controllo interno. Nei peplum a sfondo religioso della Hollywood classica, come I dieci  comandamenti (1956) o Ben Hur (1959), ebrei e cristiani vessati e perseguitati rappresentavano l’eccezionalità valoriale dell’America di fronte al materialismo del mondo socialista.
Oggi che l’America si è da tempo scoperta potere imperiale, quest’eccezionalità è venuta meno. Se negli anni cinquanta la Bibbia serviva al cinema per raccontare un mito di fondazione nazionale, oggi il suo il suo ultimo libro, l’Apocalisse, viene qui liberamente rivisitato per raccontare un mito di crisi e declino.
Restano uguali, sullo sfondo, solo le insegne imperiali romane, in questo caso prese, appunto, in prestito dagli arredi kitsch del Ceasars Palace.  Completano il cast Luke Allen-Gale, Shivani Ghai e Rosalind Halstead. L’episodio pilota è diretto dallo stesso Scott Stewart.


Enrico Platania

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