M. Albrecht: Richard Strauss: Don Juan - Till Eulenspiegels lustige Streiche

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    Auditorium Arturo Toscanini
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Marc Albrecht direttore

     

    Richard Strauss
    Don Juan, poema sinfonico op. 20 (1887-1888)
    da Nicolaus Lenau

    Battute d’esordio
    Tratto dal programma di sala dell' Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Fra il 1887 e il 1888, a soli ventiquattro anni, Strauss si affacciava alla finestra del mondo musicale con un poema sinfonico che lasciava presagire un grande maestro del genere: un Don Juan, ispirato al poema omonimo di Nicolaus Lenau (1802-1850). In precedenza Aus Italien aveva messo in mostra tutto il talento di Strauss in fatto di orchestrazione; ma la vivida sintesi di Don Juan aveva un sapore completamente diverso: quella misteriosa capacità, propria solo dei grandi, di raccontare con i suoni tutto ciò che sfugge alle parole. La prima esecuzione avvenne l’11 novembre del 1889, a Weimar sotto la direzione dello stesso Strauss, da poco nominato Kapellmeister del Granduca di Sassonia. La città in cui Liszt aveva creato la maggior pare dei suoi poemi sinfonici era stata indubbiamente stimolante per un ventiquattrenne che avrebbe saputo congedarsi dall’Ottocento solo un anno prima di morire, con i suoi Vier letzte Lieder. E così nacque subito un capolavoro, destinato a lasciare un segno su tutta la produzione immediatamente successiva.

    Il soggetto allude al mito di Don Giovanni, naturalmente: la vicenda del dissoluto punito che nel poema di Lenau non viene spenta dalla furia ultraterrena del Commendatore, ma da un duello combattuto in età avanzata. Strauss, tuttavia, a differenza di quanto accade in molti lavori successivi, non sembra interessato a riprodurre fedelmente i vari passaggi del poema. La sua ispirazione corre libera, abbandonandosi a un affresco sonoro di quel vitalismo inestinguibile, che fa di Don Giovanni uno spirito sgusciante e inafferrabile. Basta il tema iniziale, non immemore degli accompagnamenti ribattuti di Mendelssohn, per pennellare uno slancio incontenibile, che si arresta solo per qualche istante, in uno squarcio lirico affidato al calore melodico degli archi: un attimo di riposo, traboccante di sensualità, subito travolto da una nuova fuga, alla ricerca di chissà quale ulteriore oggetto del desiderio. Lenau non voleva tracciare il ritratto di un libertino perennemente a caccia di femmine; ma l’incarnazione di una tensione romantica, e quindi perennemente frustrata, rivolta alla contemplazione della perfetta femminilità. Strauss sembra tenere conto di questa intenzione poetica. Le sue idee sono ritratti pulsanti di femminilità. Nessuna, tuttavia, è quella giusta. Il tema di Don Giovanni torna sempre a svolazzare alla ricerca di un nuovo obiettivo.

    Per arrestarlo ci vuole un vero colpo di teatro, già perfettamente pronto per salire sul palcoscenico: un silenzio interrompe improvvisamente un roboante fortissimo orchestrale; quindi, dopo una lunga pausa, prende forma un accordo in minore che sembra venire da un emisfero altro, opposto a quello ascoltato in precedenza.

    Don Giovanni si spegne così, senza strepiti, in un fulmineo colpo di scena sotto voce, dando un’ultima sprezzante occhiata alle bellezze del creato.

     

    Richard Strauss
    Till Eulenspiegels lustige Streiche (1894-1895)
    da un’antica storia picaresca, in forma di rondò op. 28

    Tiri burloni in musica
    Tratto dal programma di sala dell' Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Cavalcare tra le donne di un mercato distruggendo tutto, travestirsi da cappuccino per dare consigli morali ai monaci, morire impiccato senza rinunciare a un ennesimo sberleffo. Questo e molto altro è Till Eulenspiegel, il personaggio che si agita in maniera rocambolesca nel poema sinfonico di Richard Strauss. Difficile trovare un tema più efficace per dipingere un personaggio così complesso, perennemente in bilico tra il monello e il rivoluzionario. Basta la melodia che lo accompagna per definire una carta d’identità indimenticabile. Strauss fu affascinato dal personaggio malizioso nell’aprile del 1889 assistendo all’opera omonima di Cyrill Kistler. Fu quello il momento in cui nacque l’ispirazione di Till Eulenspiegels lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel). Dopo il colore mediterraneo di Aus Italien, il vitalismo ineffabile di Don Juan e la riflessione esistenziale di Tod und Verklärung, Strauss sentiva l’esigenza di lavorare su un soggetto burlesco. L’intenzione iniziale era quella di fare un’opera teatrale; poi un poema sinfonico si rivelò più adatto alla natura parodica del soggetto. La partitura fu completata tra il 1894 e il 1895; e venne eseguita per la prima volta in pubblico la sera del 5 novembre 1895 a Colonia, sotto la direzione di Franz Wüllner.

    La fisionomia narrativa è chiara fin dalle prime battute. Strauss utilizza un tono serioso solo alla fine e all’inizio della composizione, proprio con l’intenzione di incorniciare una vicenda leggendaria tra le parole di un narratore; un “c’era una volta” introduttivo e una morale finale. Poi, ecco entrare in scena Till, l’eroe nazionale fiammingo del Quattrocento passato alla storia per le sue bizzarre bravate alla gente per bene. Un tema del corno, tutto appoggiature e staccati scherzosi, tratteggia il suo volto astuto e mattacchione; ma gli fa eco un’altra idea, altrettanto sfrontata, disegnata dal timbro nasale dei clarinetti. Fatte le presentazioni, la burla può avere inizio: Till parte alla carica tra i banchi di un mercato, fracassando vasi e ceste stracolmi di manufatti preziosi. Poi, travestito da cappuccino, prende le vesti del violino solista tra le quiete cantilene di un monastero appartato: i suoi discutibili consigli morali diretti ai frati svelano una natura impertinente, costringendo l’orchestra a gridare con tutta la sua forza l’identità tematica del protagonista. Ma la violenza inferta alla spiritualità del monastero lascia segni profondi; e non basta uno sghignazzante giro di valzer per salvare l’empio sacrilego. Un processo in piena regola, con tanto di fanfare e rulli di timpani, condanna all’impiccagione le risposte scanzonate dell’imputato. L’anatema scagliato dai tromboni fa paura; ma Till non cede nemmeno di fronte alla morte; e un ultimo gestaccio melodico, direttamente rivolto al gregge di chi non si pone mai alcuna domanda, lo accompagna fieramente sul patibolo.

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