FELLINI, UN QUARTO DI SECOLO SENZA UN MAESTRO DEL CINEMA

Foto in bianco e nero di Fellini dietro la macchina da presa. Il regista indossa cappotto, la tipica sciarpa e cappello in tessuto principe di Galles dal quale fuoriescono ciuffi di capelli brizzolati.

 

Venticinque anni dalla morte di Fellini

(di Guido Barlozzetti)

Venticinque anni fa, la morte di Federico Fellini.
Ricordo l'immensa camera ardente a Cinecittà, nello Studio 5 che era diventato il suo guscio protetto, lo spazio magico in cui l'immaginazione diventava realtà, l'unico posto dove si sentisse a casa, la stanza dei balocchi in cui, più che regredire, come gli veniva rimproverato a un certo punto anche da Ennio Flaiano che ne era stato assiduo collaboratore, diventare ed essere se stesso.

Bastava dire "Azione!" e nasceva un mondo, il suo, protetto dalle mura dello studio e libero di dispiegarsi a dispetto e per il piacere di tutti. Cardinali, produttori, fate e megere, angeli e demoni, seminaristi in fila indiana, mangiafuoco, un album di figurine tutte segnate dall'eccesso o dalla sottrazione del tratto che le proietta in un altrove.

Avevano disposto la bara con ai lati i Carabinieri in alta uniforme, anche loro coinvolti nel gioco dell'immaginazione, sullo sfondo di un cielo azzurro con le nuvole come quello che compare ne L'intervista, l'ultimo film diretto nel 1987, dove un cielo così lo stavano dipingendo due imbianchini, issati sui loro trespoli, che si rimandavano battute e “vaffanculo” nel cinismo del dialetto romanesco.

Sono passati venticinque anni e non so se la cosa più giusta sia chiedersi cosa rimanga oggi di quel cinema che ha attraversato quasi mezzo Novecento, dalla fine della seconda guerra mondiale, e ha finito per identificarsi con la fantasia di un regista sognatore, una sorta di mago che apre su scenari che rimandano all'inconscio e alla visionarietà che sposta la normalità delle cose e le abitudini con cui le vediamo.

Mi sembrerebbe di guardare lui e il suo cinema dal buco della serratura, ristretto e occasionale, quasi che l'attualità fosse una misura del valore, il termine di un paragone sulla base del quale dare un riconoscimento.

No, non è il caso di sottomettere Federico alla dittatura del qui-e-ora, sarebbe un paradosso per chi ha sempre cercato di mettersi da un'altra parte e di rivendicare la sua libertà contro la pressione del quotidiano e della storia, intesa come costrizione e determinazione, fatta di poteri e convenzioni che pretendono di dire, sentenziare, decidere, definire e dare un senso alla vita.

Già, un senso? E quale? Federico il senso lo ha sempre lasciato scorrere via, per defilarsene ininterrottamente, come all'inizio di 8 1/2 quando, nel caos del traffico, il regista, prossimo a soffocare, esce dall'auto e vola nel cielo, salvo risvegliarsi da un sogno; o ne Lo Sceicco Bianco con Wanda che, persa nella pineta, vede – o forse le appare – lo Sceicco con mantello e turbante che si dondola in altalena; o ancora ne La Città delle donne quando Marcello Snaporaz scende dal treno seguendo una misteriosa signora, e così lo sguardo della polena che sorge dalle acque della Laguna all'inizio del Casanova, il folletto incantato di Gelsomina che parte sul carro del torvo Zampanò all'inizio de La strada, e le notti di Via Veneto ne La dolce vita, nel momento in cui erano veramente magiche e potevano diventare – fino a coincidere – cinema.

Federico non ha luogo, nel tempo e nello spazio. Non è lineare, è reversibile. Penso a Roma, al suo omaggio alla città madre, sorella, prostituta, amante, quando, nel tunnel che si sta scavando di una metropolitana, si apre un varco che porta in una tomba con affreschi meravigliosi, il tempo appena di intravederli e l'aria che entra li fa scomparire. Evanescenza, fragilità dell'immagine, l'unico appiglio che possa dire di una verità, condannato a svanire.

Difficile dare nomi al luogo/tempo del suo cinema, d'accordo, la finzione e la realtà, il sogno e la veglia, ma il suo cinema è il contrario della teoria che definisce, distingue. Federico è flusso, è la polla dell'immaginazione e dell'erotismo/seduzione che l'attraversa, di cui la donna è la custode, la vestale che custodisce ed elargisce il dono, mentre il maschile ne sente la remota fascinazione, in un'attrazione distante, come le mani di Marcello che nella vasca di Fontana di Trevi si avvicinano al volto di Anita Ekberg, ninfa potente, lussureggiante e innocente, che sgorga dalle acque. Lo sfiorano, senza toccarlo.

Federico ci ha consegnato i suoi sogni. Non ne ha scritto L'interpretazione come Freud, li ha ri-messi in scena e ha fatto del cinema-sala buia l'antro in cui convivere con l'onirico e le sue mille facce, come nel girotondo-sarabanda finale di 8 1/2. L'orgia che precede il silenzio e la notte che, ormai remota Via Veneto, rimanda le voci dei morti.

Se il suo cinema ha una forma è quella di non averne una, se non per quel quid strano, sospeso, accompagnato dalla musica sognante di Nino Rota, che chiamiamo felliniano perché non sappiamo dirlo in un altro modo. Oggi, domani e... chissà quando.

 

Nomi, cose e città di Fellini

(a cura della Redazione di Rai Easy Web)

La Rai ha previsto una speciale programmazione per ricordare il primo quarto di secolo trascorso dalla scomparsa di uno dei registi-simbolo del cinema italiano. Ecco qui tutti gli appuntamenti raccolti nella Newsletter Rai.

Anche dagli archivi di Radio Rai si può trarre un racconto approfondito del personaggio Federico Fellini, della sua affascinante vita e dei numerosi capolavori.

Molti sono stati i film studiati e riproposti ai radioascoltatori dalla trasmissione di Radio3 Hollywood Party, nella rubrica Il cinema alla radio. Ad esempio, il capolavoro 8 e ½, analizzato durante la puntata del 3 giugno 2015 (durata 74 minuti).

La puntata del 16 agosto 2016 (durata 45 minuti) ha, invece, raccontato l’episodio Le tentazioni di Don Antonio del film 1972 Boccaccio’70: il moralista Antonio Mazzullo (interpretato da Peppino De Filippo) perde la testa per la donna rappresentata su un cartellone pubblicitario. La puntata del 30 maggio 2017 (durata 73 minuti) ha rivolto la sua attenzione a Le notti di Cabiria, film che vede protagonista la moglie e musa del maestro riminese Giulietta Masina. Fu proprio lei a ritirare l’Oscar vinto nella categoria “miglior film straniero” durante la cerimonia del 1958. La puntata del 23 marzo 2016 (durata 2 minuti) di Accadde domani ha ricordato la sorpresa del regista alla notizia della conquista del secondo Oscar consecutivo, dopo quello ottenuto l’anno precedente con La strada.

Anche Ovunque6 di Radio2 ha raccontato, tra i vari argomenti, le opere del regista romagnolo, come nella puntata del 30 settembre di quest’anno (durata 81 minuti) dove si è parlato del Casanova con protagonista Donald Sutherland.

Un ruolo importante nell’arte di Fellini l’hanno avuto anche alcuni luoghi, in particolare quelli rappresentati nel film Amarcord. Il primo è il cinema Fulgor, molto caro al regista. Di questa sala ha parlato la puntata del 28 luglio scorso (durata 81 minuti) di Ovunque6, che ha raccontato la riapertura del cinema dopo tanti anni.

Un altro luogo rappresentato nel film Amarcord è stato il transatlantico Rex. A raccontarlo è stato, questa volta, il programma di Radio3 Wikiradio nella puntata del 01 agosto 2017 (durata 30 minuti).

Dell’amore del regista per la sua terra, che lasciò quando non aveva ancora compiuto vent’anni, ha parlato Hollywood Party durante la puntata del 12 ottobre 2016 (durata 42 minuti), con Gianfranco Miro Gori autore del volume Le radici di Fellini – romagnolo del mondo.

A fare da sfondo all’arte e alla vita di Fellini, l’Italia che passava dagli orrori della guerra al Miracolo economico degli anni ’50. In questo scenario avvenne la trasformazione di Roma nell’Hollywood sul Tevere che il maestro ha voluto raccontare ne La Dolce Vita. E proprio di quest’epoca si è parlato durante la puntata del 5 maggio 2018 (durata 24 minuti) della trasmissione di Radio1 Il pescatore di perle, con ospiti il press agent Enrico Lucherini e Rino Barillari, il King dei paparazzi.

Anche Pezzi da 90 di Radio2, durante la puntata del 28 aprile 2015 (durata 10 minuti), ha parlato del periodo d’oro del cinema italiano, in particolare del Teatro 5 di Cinecittà, luogo dove si sono girati numerosi film di Fellini.

La stessa trasmissione, durante la puntata del 19 gennaio 2018 (durata 8 minuti), ha riproposto l'intervista del 1978 in cui il regista riminese ha raccontato il suo arrivo negli studi di Cinecittà.

A rendere indimenticabili i film di Fellini è stata anche la musica che ha fatto loro da colonna sonora. Non si può, allora, non parlare del maestro Nino Rota, che ha realizzato il sottofondo musicale di moltissimi capolavori del regista, come Amarcord, 8 e ½ e La Dolce Vita.
Sul rapporto tra questi due maestri Pezzi da 90 ha raccolto vari interventi e spezzoni di film e li ha inseriti nella puntata del 3 dicembre 2014 (durata 15 minuti).
Per un’analisi completa della figura di Rota e delle sue musiche vi consigliamo l’ascolto della puntata del 3 settembre 2018 (durata 45 minuti) del programma di Radio3 Suona l’una.

Oltre ai luoghi, all’epoca storica e alle musiche, non dimentichiamo anche le persone che hanno lasciato un’impronta nel cinema felliniano. Tra tutte c’è l’amata moglie Giulietta Masina, sposata da Fellini nel 1943, e protagonista di molti film come La strada e Le notti di Cabiria. Questa storia d’amore è stata al centro della puntata del 2 ottobre 2014 (durata 15 minuti) di Pezzi da 90.

Altri importanti attori della cinematografia italiana hanno lasciato un segno importante insieme a Fellini. Tra questi c’è il grande Alberto Sordi, che ha esordito al cinema nei film Lo sceicco bianco e I vitelloni. Del personaggio ha parlato Wikiradio durante la puntata del 24 febbraio 2016 (durata 29 minuti).

Altri due personaggi sono diventati famosi grazie all’indimenticabile scena girata nella Fontana di Trevi ne La Dolce Vita: Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. Di questa scena ha parlato a modo suo la puntata del 16 ottobre 2015 (durata 16 minuti) di Pezzi da 90.
Ancora Pezzi da 90 ha riproposto, durante la puntata del 28 settembre 2017 (durata 12 minuti), due interviste che Lello Bersani fece a Mastroianni nel 1959 e nel 1963 sul suo rapporto con Fellini. Un maestro indimenticabile per chi lo ha conosciuto così come per chi ne ha potuto solo ammirare l’arte.

 

 

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