Un elefante eccezionale

[Racconto di Paola Manoni]

 



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durata 17 minuti


Il mio nome è Ganesh.
A me il compito di inaugurare la prima lezione della scuola di volo...
In questa scuola imparerete a volare in senso metaforico.
Cosa vuol dire?
... Cosa vuol dire?
Semplicissimo: sorvolare idee, notizie, temi... così da avere la panoramica di un argomento!
Quindi qui non troverete tra i libri di testo un trattato sul volo nel senso fisico... ma spunti per far lievitare fantasia e immaginazione!
Qualcuno di voi si domanderà perché questa Scuola abbia scelto me per l'inaugurazione...
Diciamolo pure subito.
Io per la mia gente rappresento il buon auspicio, il buon inizio che si invoca quando si intraprende una nuova attività!
Dunque eccomi qui in prima fila a presentarmi!
Sono un uomo-elefante indiano, di natura – non vi spaventate – divina.
Nella mia tradizione, nell'induismo, sono una rappresentazione di quella moltitudine di sfaccettature del concetto di trascendenza...
E per dirla in parole povere sono una creatura assai venerata.
I miei genitori sono Shiva e Parvati.
La mia testa ha le sembianze d'elefante.
Compresa la proboscide e le zanne... che a dire il vero è una sola...
L'altro corno è spezzato.
Ho una corporatura assai robusta e, come molte altre rappresentazioni di divinità indiane, ho quattro braccia.
Il mio veicolo di elezione è un amatissimo topo.
E i topi, si sa, sono animali straordinari in quanto a resistenza.
Il mio topo autista è in grado di trasportare il mio peso.
Insieme siamo un simbolo di resistenza e invincibilità: elefante vigoroso e topo le cui caratteristiche vitali costituiscono il non plus ultra in quanto ad adattabilità ed evoluzione della specie.
La gente mi ama perché sono il distruttore degli ostacoli... colui che ha forza, tenacia... come si conviene a un elefante.
Ma ogni elemento del mio corpo ha un valore simbolico.
La testa rappresenta la capacità di risoluzione dei problemi, la mia unica zanna (come ho detto la seconda è spezzata) vuole simboleggiare il superamento di ogni dualismo, ogni contrapposizione che porta a dubbio e scompiglio.
Le orecchie larghe la dicono lunga circa la grande capacità di ascolto.
Il segno del tridente (simbolo di mio padre) che ho sulla fronte indica padronanza del tempo (degli eventi passati, presenti e futuri).
In ultimo, le mie quattro braccia sono le quattro qualità del cosiddetto corpo sottile: l'io, la mente, la coscienza e l'intelletto.
Vedete che, nonostante l'apparenza, la mia persona ha pure una dimensione corporea fine... che in altro modo si chiama spirito!



Ci sono molte storie mitologiche legate alla mia nascita.
Il racconto sicuramente più diffuso (e quello che io preferisco) è tratto dallo Shiva Purana che narra grosso modo così.

Mia madre Parvati un giorno decise di fare il bagno nell'olio.
Si spogliò dei vestiti e si cosparse di farina di grano.
Ma non aveva nessuna guardia che potesse sorvegliare la casa né la quiete del suo bagno.
Sicché dalla stessa farina modellò un ragazzo a cui diede vita e lo elesse a guardiano.
Il ragazzo, di guardia alla porta di casa, impedì a tutti di entrare in casa.
Alla sera mio padre Shiva fece ritorno, come di consueto.
Ma il ragazzo risolutamente sbarrò il passo anche a lui.
Shiva, si sa... non è molto tollerante...
Andò subito su tutte le furie.
Non ci mise molto a ucciderlo.
Lo decapitò con il suo terribile tridente.

Parvati fu subito informata dell'accaduto.
La sua creazione uccisa.
Mia madre pianse tutte le sue lacrime.
Shiva provò dunque a porre fine alla tristezza di sua moglie.
Diede ordine ai suoi soldati della corte celeste di portare la testa del primo essere vivente che avessero incontrato lungo il cammino.
I fedeli andaron subito e sulla loro via trovaron un elefante addormentato.
Ne presero la testa e lasciarono giacere l'animale in terra.
La corte tornò da Shiva il quale attaccò al corpo del ragazzo la testa dell'elefante e lo riportò in vita.

Il ragazzo venne immediatamente eletto capo delle schiere celesti di Shiva, e assunse il titolo di Ganapathi.
Questa è la mia storia.
Ma se la mia nascita avvenne proprio in questo modo o in altri, non è ho certezza.
In un altro racconto, che si tramanda nella cultura indiana, vi è invece l'azione di un demone di nome Gajasura, dal corpo di elefante.
Questo demone (non so bene perché) per qualche motivo aveva dovuto espiare una penitenza molto dura impostagli da mio padre Shiva.
Il dio si dimostrò molto magnanimo poiché diede infine al demone la possibilità di avere la concessione di poter essere esaudito in un desiderio.
Asura chiese a Shiva di entrare nel suo stomaco.
Mio padre accondiscese.


Mia madre Parvati quel giorno cercò ovunque e invano il suo amato Shiva.
Allora chiese a suo fratello Visnu di trovare suo marito.
Visnu intervenne.
Prese Nandi, il toro di Shiva e lo trasmutò in un danzatore.
Visnu invece prese le sembianze di un suonatore di flauto e con il suo ballerino taurino si recò dal demone.
Ai demoni, si sa, piace la danza.
Nandi inscenò la più plastica e sensuale delle danze sicché Gajasura, per onorare lo spettacolo, concesse al danzatore di esprimere un desiderio.
Il demone dichiarò al suonatore di flauto di essere praticamente onnipotente.
E il suonatore chiese allora di rilasciare dal suo stomaco Shiva.
Il demone comprese allora la natura divina del flautista...
Solo un dio poteva infatti essere a conoscenza del suo segreto.
Obbedì e rilasciò Shiva, a cui chiese un ultimo dono: che la sua testa potesse essere adorata dopo la sua morte.
Shiva allora uccise il demone e chiamò suo figlio.
Al figlio – cioè a me - sostituì il capo con la testa dell'elefante Gajasura.

In un'altra storia mitica si racconta che mio padre chiese a mia madre Parvati di compiere un sacrificio, al fine di avere un figlio.
Dopo un anno di penitenza, Parvati venne esaudita ed ebbe il suo bambino.
Gli dei fecero una gran festa.
Tra questi c'era anche Shani, il quale palesemente rifiutò di rendere omaggio al bambino.
Questo diniego offese Parvati.
Alla richiesta di spiegazioni, Shani disse che il suo sguardo avrebbe potuto ferire il bambino.
Mia madre non gli credette.
E chiese insistentemente a Shani di riverire il bambino.
Shani allora volse lo sguardo sul neonato.
E lì avvenne il fatto.
L'occhiata di Shani mi decapitò e tutti ne rimasero sconvolti.
Visnu allora scappò via alla ricerca di una testa da sostituire.
E sulle rive di un fiume trovò un elefante.
Al bambino a cui Visnu unì la testa di elefante promise solennemente un futuro come divinità più popolare per gli indiani.
Quella che si invoca per prima.
Al bambino promise inoltre un futuro come il più potente fra gli Yogi.
A questi doni Shiva aggiunse la leadership della sua corte celeste e ancora, la capacità di superare qualunque ostacolo.

Capirete il vantaggio di avere questa testa da elefante.
Le genti mi venerano perché aiuto loro a essere tenaci, a vincere le debolezze e le avversità.
Tutte le piccole e grandi imprese di un induista partono con un'invocazione alla mia persona, perché ciò che si intraprende sia felicemente portato a compimento.
Sono simbolo di protezione.
Nelle case degli indiani c'è sempre la mia effigie scolpita in legno di sandalo.
Senza poi contare la mia identità con l'Ohm.
Chi tra voi non ha mai sentito parlare del mantra più potente e sacro della religione induista?


Si tratta di una sillaba nell'antico sanscrito, nel cui suono riecheggia – secondo i sacri testi – la creazione del cosmo, degli esseri e di tutte le cose.
Anzi, si potrebbe dire che l'Universo tutto è una manifestazione del suono dell'Ohm.
Nella lingua tamil, la scrittura dell'Ohm (Aum) genera un segno molto simile alla testa stilizzata di un elefante...
Ecco dunque la correlazione dell'Ohm con me, per identità di forma, e divengo in tal modo incarnazione del cosmo intero!
Oltre l'essenza di questo mantra, la gente che mi invoca è abituata ad appellarmi in molti modi, secondo i miei molteplici attributi.
Io sono Ganapathi, conduttore delle schiere celesti e ovviamente Omkareshwara: signore la cui forma e l'Ohm.
Gajavadana, quale signore dalla testa di elefante oppure Gajanana, signore dal volto di elefante.
Ma sono pure Vinayaka, il maestro dei maestri.
Vighneshwara, signore del superamento degli ostacoli.
Vighna ovvero il distruttore degli ostacoli.
Jagannatha, signore dell'Universo.
Shupakarna, colui che ha grandi orecchie.
Ekadante, colui che ha solo una zanna.
Mushika Vahana, colui che cavalca il topo.
Lambodhara, colui che ha un gran pancione.

Ognuno di questi nomi dà luogo a una murti.
Cosa sono le murti?
Sono rappresentazioni fisiche ma pur tuttavia figure ideali di un concetto divino per lo più sottoforma di statue e altri oggetti di culto.
La festa più importante in mio onore si svolge nell'India del Sud e dura ben dieci giorni.
La sua origine, a dire il vero, ha caratteristiche politiche poiché venne introdotta da Bal Gangadhar Tilak, leader del movimento di indipendenza indiana durante il colonialismo britannico.
Il leader voleva risvegliare presso gli indiani il sentimento nazionale.
Le celebrazioni in mio onore culminano nel giorno di Anant Chaturdashi, la cui data segue il calendario lunare.
Le murti in questo giorno vengono immerse nei fiumi.
E i corsi d'acqua costituiscono lo spazio sacro per eccellenza nell'ambito del complesso culturale, religioso e simbolico dell'induismo.
L'acqua compassionevole simboleggia il fluire della vita.
Mediante l'acqua si realizza il congiungimento dell'essere umano al divino.
L'acqua è luogo dello spirito.
Vorrei infine dedicare qualche parola al mio autista topo Mushika.
So già quelle che pensate.
La storia risaputa che gli elefanti vengon spaventati dai topi.
Il fatto però è un altro e forse rimarrà comunque di comprensione enigmatica.
La disproporzione tra me e il topo ha una valenza provocatoria.
Vuole dire che colui che è saggio sa vedere oltre e non si ferma all'apparenza di un paradosso.
Il topo è inoltre simbolicamente comparabile alle capacità della mente in grado di inoltrarsi nei luoghi impenetrabili e da questi trarne conoscenza.
E il nesso con la mia figura sta proprio nel voler rappresentare la mente dominata, sotto il mio peso, da quelle capacità intellettuali in grado di guidare e disciplinare un individuo.

 

 

 

 

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