Cani in guerra




[Racconto di Paola Manoni]


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durata 31 minuti



Era un gelido mattino di dicembre sul fronte occidentale.
Il vento penetrava nelle ossa e la neve ghiacciata scrocchiava sotto ogni passo.
Qualunque azione bellica così come di vita da campo era condizionata dal rigore invernale.
La morsa del freddo gelava la riserva d'acqua, bloccava i tubi di erogazione dei fornelli, le carrucole dell'alzabandiera, il cane delle baionette.
Qualunque cosa da fare comportava il doppio della fatica; il semplice gesto di togliere i guanti e lavorare a mani nude costituiva di per sé un problema.
Nelle baracche degli avamposti tedeschi era sempre una scommessa mettere in funzione la cucina e avere cibo da preparare per la colazione mattutina.
Ma tutti sapevano che quando si alzava una colonna di fumo bianco il rancio era in preparazione sui fornelli.
Il castano Hans e il tenebroso Tim, nonostante l'adunanza obbligatoria del mattino, erano ancora sdraiati e avvolti dal magnifico torpore concesso loro da Morfeo.
A destare i due militari dall'olfatto impeccabile fu la traccia di un odore sottilissimo di cibo.
Il languore di stomaco, mai effettivamente sopito, vinse il desiderio di dormire.
"Salsicce stufate", disse Hans, "forse con qualche patata lessa."
"Magari", rispose Tim sbadigliando, "secondo me è la carne bollita ripassata in padella, avanzata dalla mensa degli ufficiali nelle retrovie... loro sì che fanno una bella vita!"
"Mi domando chi sia a portare gli avanzi...", aggiunse Tim sbadigliando.
"Chi ti dice che questo ben di Dio sia per noi!!!
Si capisce come tu sia pivello da queste osservazioni ingenue!", commentò seccamente Hans, "Noi siamo carne da macello, ergo la base della nostra di alimentazione è considerata di scarto!
Lo è per noi, fanti a quattro zampe, e lo è pure per la fanteria umana, almeno per i soldati semplici."
"In altre parole significa che a noi - animali - arriva lo scarto dello scarto?", replicò Tim.
"Esattamente ragazzo, vedo che i tuoi neuroni si scongelano lentamente", rispose causticamente l'altro.
Hans era un dobermann vigoroso, dal manto lucido e castano.
Un combattente, veterano delle imprese coloniali tedesche, cane da lavoro arruolato nell'esercito fin da cucciolo.
Nell'ambito delle gerarchie delle unità cinofile militari, Hans era tenente colonnello ma non riusciva a fare carriera a causa del suo caratteraccio.
Si trovava bene nell'addestramento delle reclute così come nelle azioni impossibili.
Era un ottimo formatore di soldati in erba e un incredibile agente speciale.
Era pluridecorato, come poteva facilmente comprovare il collare tempestato di medaglie al valore.
Ma per il suo mestiere Hans aveva un grande difetto: era un solista, un cane che dava il meglio in imprese individuali.
Nella gestione del gruppo era comunque un elemento problematico, da tenere a bada, soprattutto perché in aperta polemica con Wolf.
Quest'ultimo era il capo supremo, generale Schäferhund, pastore tedesco che rispondeva al comando del tenente Barth, l'uomo responsabile della cura dell'unità cinofila, di stanza nel campo Edelweiss.
L'intero comando era sveglio e operativo dopo l'alzabandiera, in fila per ricevere la colazione.
Sembrava una mattina tranquilla anche se la tensione era sempre alta, in continua allerta per un attacco nemico.


Vi era un serio problema da risolvere: i francesi erano riusciti ad avanzare al punto da penetrare oltre la linea di trincea.
L'avamposto tedesco era compromesso.
Il fondato timore era che i francesi potessero scavare una galleria e fare irruzione in prossimità della trincea per mettere a ferro e fuoco l'intero campo.
Sarebbe stato uno sfondamento in piena regola che avrebbe avuto delle ripercussioni nefaste su tutto il fronte occidentale.
Hans non poteva conoscere questi dettagli ma aveva un fiuto finissimo per percepire il pericolo sicché da giorni dormiva con un orecchio sollevato: segno per tutti evidente, nella squadra cinofila, che qualcosa non andava.

Il comandante generale si aggirava nervosamente con la pelliccia arruffata sul dorso e la coda con un live tremito.
Un breve mugolio e un corto abbaio (frase che in dialetto canino traduce un imperativo categorico del tipo Hans vieni subito qui) tolsero al dobermann ogni dubbio: il comandante generale stava cercando proprio lui.
"Comandi, signore!", disse Hans facendosi avanti, scattando sull'attenti, con le orecchie leggermente indietro.
"Prego, si avvicini", chiese Wolf ansimando con la lingua di fuori, "devo dirle una cosa in modo riservato."
Hans lasciò indietro l'amico, il quale stava finendo di leccare una gamella completamente vuota.
"Tenente Colonnello Hans", disse il comandante con un tono meno marziale, "dall'umano battaglione giungono notizie poco rassicuranti."
Hans si trattenne dal dire subito: "Cosa succede?"
Non era nel protocollo chiedere spiegazioni.
In questi casi era richiesto tacere, reclinare il capo in segno di deferenza, nell'attesa di ricevere gli ordini.
Non si trattava di una conversazione o di un dialogo alla pari.
Era una comunicazione di servizio che aveva le sue regole precise.
Parlare/Ascoltare e Ordinare/Eseguire: questi i ruoli in gioco.
Tuttavia Hans non onorava completamente il protocollo gerarchico poiché non si prostrava ai piedi del capo, attendendo istruzioni.
Inutile dire come questo fosse ovviamente notato e giudicato in modo riprorevole.
Hans lo sapeva bene ma la provocazione era il suo debole.
Lui si sentiva il numero uno, il migliore, l'eroe di mille imprese: un fuori classe che poteva derogare alle regole.
Dopo una pausa di silenzio, Wolf cominciò un lungo panegirico di retorica patriottica, invero riassumibile in una sola sentenza, come ad esempio, Deutschland über alles [La Germania al di sopra di tutto], alla quale seguì finalmente la circostanza specifica.
Che si trattasse di un conferimento di incarico speciale era di per sé assodato.
"E' pervenuto un dispaccio urgente dal generale di divisione.
Il nostro reparto speciale deve provvedere al ripristino della comunicazione tra il campo Edelweiss e il nostro avamposto rimasto isolato per via dell'intrusione nemica."
Hans deglutì e con un solo abbaio assentì:
"Jawohl!"
"Il tenente Barth verrà da lei e le darà precise istruzioni.
Il Kaiser si attende che lei sia pronto a dare la sua vita per il successo della missione."
Hans reiterò l'assenso.
"Jawohl!"
Dopodiché si congedò distendendo le zampe d'avanti e reclinando il muso, come richiedeva il protocollo.

Tim, da lontano, guardava il suo maestro e forse per la prima volta si rese conto che il generale Wolf ignorava completamente la sua presenza.
Hans trotterellò verso di lui col muso alto, lasciando delle impronte tonde e piccoline sulla neve.

Tim provò a dare una pacca al dobermann in segno di amicizia, cioè una zampata leggera sul petto che fece risuonare le molte medagliette al valore, pendenti dal collare del veterano.
Ma Hans non gradì e rispose con un deciso ringhio.
"Ragazzo, giù la zampa!
Questa è una guerra mondiale e tu sei qui per lavorare, non per giocare!"
Tim era stato arruolato per via del suo eccezionale fisico.
Era un robusto rottweiler nero, destinato a lavori di fatica.
Lo aveva trovato il tenente Barth, abbandonato tra i morti, dopo un combattimento, in un campo francese e fu subito reclutato.
"D'accordo maestro, à la guerre comme à la guerre,del resto stiamo al fronte.
Ma io ho capito che lei era a rapporto dal Generale...", disse Tim mentre nervosamente scalciava con le zampe di dietro, tagliando la neve.
Ogni tanto Tim aveva un eccesso di motilità, non di rado girava in tondo come una trottola, segno di traumi da combattimento.
"Si sentono colpi di mortaio che arrivan da lontano!", aggiunse il rottweiler agitandosi e lasciando una traccia gialla di orina sul candido suolo innevato, "Mi dica solamente se la battaglia è imminente!"
Hans comprese il nervosismo del giovane cane e allora decise di raccontare.
"Vieni qua", disse il dobermann, "facciamo una buca nelle neve che stiamo più caldi e sediamoci."
Tim fu molto confortato da questo atteggiamento paterno e, preso da incredibile foga, fece in quattro e quattr'otto una buca rotonda dalle dimensioni perfette.
Il lucido manto castano di Hans si era riempito di fiocchi di neve alzati dal turbine provocato dal rottweiler.
Prima di sedersi nella buca entrambi i cani si diedero una scrollatina di dosso.
"Allora, figliolo...", il sibilo di un proiettile vagante superò le loro teste.
"Meno male che stiamo qui dentro", commentò Tim coprendosi un orecchio con la zampa.
"Allora figliolo...", ricominciò Hans, "l'esercito tedesco conta un regolare numero di cani, come noi, che sono arruolati per svolgere diverse mansioni: lavori di fatica, lavori di soccorso e di recupero vittime ma anche missioni pericolose nelle primissime linee.
Quest'ultimi incarichi speciali ce li affidano per evitare ai soldati di essere presi prigionieri o uccisi."
"Quindi siamo vittime sacrificali...", concluse l'intelligente rottweiler.
Hans non lo poteva negare ma al contempo non voleva nemmeno approvare una definizione così cruda.
Non voleva essere definito in tal senso.
Soprattutto non voleva considerare che il fallimento di un'azione eroica commutasse immediatamente l'eroe in vittima votata al sacrificio.
"Ragazzo!", concluse Hans, "Siamo dei valorosi che svolgono azioni eroiche e che donano la propria vita per preservare quella dei bipedi.
Questo è il sentimento generale perché non c'è un cane che non si sia infatuato del tenente Barth il quale è un addestratore perfetto..."
"Tutto vero", lo interruppe Tim, "mi perdoni se insisto ma lei continua a non dirmi nulla della missione assegnata dallo Schäferhund capo..."

"Non conosco ancora i dettagli ma penso sia roba forte", rispose Hans.
Il dobermannn si alzò dalla buca avvicinando lievemente il suo muso a quello di Tim, per far sentire al ragazzo il suo respiro tiepido, in segno di affetto.
Dopo aver marcato il territorio si diresse alle cucce delle crocerossine.
Aveva un debole per una San Bernardo dall'odore irresistibile.

Una colonna di muli sfilava in mezzo al campo, carichi di vettovaglie e di acqua, provenienti dal battaglione della retrovia.
I muli procedevano lentamente e alla fine della fila Hans scorse le gambe del tenenente Barth.


Generalmente Hans sentiva l'arrivo dell'addestratore dal suo odore che si avvertiva ancor prima della sua presenza.
Ma stavolta l'odore dei muli aveva coperto l'effluvio del tenente Barth.
Hans scodinzolava (contrariamente ai suoi simili di razza, era un dobermann con la coda intera) e non appena Barth gli fu vicino, con uno slancio affettuoso lo cinse con le zampe.
L'addestratore si chinò verso il cane.
"Hans, amico mio!", disse con un caldo tono di voce, "dobbiamo lavorare un bel po' insieme, come ai vecchi tempi...!"
La rassicurante mano del tenente Barth si allungò sulla testa del cane per una carezza.
Hans apprezzò moltissimo la carezza senza guanti, a mano nuda, a cui ne seguì un'altra e un'altra ancora.
Nell'altra mano il tenente stringeva un guinzaglio e un lungo spezzone di cavo addugliato.
Tim guardava da lontano questa scena e vide andar via Hans tenuto a guinzaglio da Barth.
Quando li vide sparire dietro le ultime baracche del campo, si diresse a sua volta verso le cucce delle crocerossine.
In effetti anche lui subiva il fascino di Marlene, l'ammaliante San Bernardo.

Il tenente Barth aveva disposto un percorso a ostacoli formato da rocce, detriti, scivoli, rami attorcigliati, staccionate di legno posizionate sul suolo innevato.
Il primo giro Hans lo fece con Barth, a passo veloce, tenuto al guinzaglio.
Il dobermannn superò tutti gli ostacoli con grande agilità e per questo ricevette in premio mezzo biscotto delizioso.
Il secondo giro fu come il primo ma venne eseguito di corsa.
Al termine Hans ricevette la restante metà di biscotto.
Una vera squisitezza!
Fu la volta di un terzo giro ancor più accelerato e, poco prima del suo termine, Barth lo sganciò dal guinzaglio in corsa, segnale per Hans di dover continuare da solo.
Una volta libero il cane, orecchie aerodinamicamente all'indietro, si mosse nel percorso in modo così rapido che sembrava lo sorvolasse in volo.
Nel mezzo c'era Barth il quale improvvisamente gridò:
"Achtung! Stop!"
Hans frenò repentinamente nella neve e senza far troppo vedere il suo ansimare si mise sull'attenti.
Barth si avvicinò a lui, pronto a dare al cane un altro biscotto.
"Siamo in forma, eh??!!", disse il tenente con soddisfazione.
"Ora, caro amico mio, facciamo un nuovo esercizio."
Hans lo guardava concentratissimo.
Il tenente si chinò a raccogliere il capo del cavo addugliato.
"Afferra!", disse a Hans agitando l'estremità del cavo davanti al suo muso.
Hans riconosceva i toni di comando del tenente Barth e non si fece ripetere due volte l'ordine impartito.
Dopo che Hans afferrò il capo, il tenente gli mise nuovamente il guinzaglio e iniziò a correre nella neve, a mezzo trotto, guidando il cane e svolgendo il cavo, strattonando Hans nella giusta direzione.
L'esercizio consisteva nel distendere il cavo evitando gli ostacoli.
Hans comprese il fine e eseguì il compito con estrema attenzione.
Ogni volta che sentiva tensione nell'estremità tenuta tra i denti, diminuiva la velocità o si arrestava per tornare indietro, liberare la torsione del cavo e riprendere il percorso.
Fece molti giri che avevano l'obiettivo di distendere il cavo lungo tutto il percorso.
Ci furono molti biscotti ricevuti in premio di cui uno che Hans ovviamente prese ma solo per depositarlo sulla neve, sperando che Barth non lo raccogliesse.
L'allenamento durò per l'intera giornata.
Al tramonto Hans fece ritorno con Barth alle cucce dell'unità cinofila.
Prima di lasciare il percorso, mentre il tenente riponeva il cavo, raccolse con la bocca il biscotto precedentemente lasciato al suolo: lo avrebbe portato a Tim, sonnecchiante nella cuccia collettiva dei cani da lavoro.


"Ragazzo!
Sveglia e mangia prima che arrivi qualcun altro", disse Hans dopo aver depositato delicatamente il biscotto in terra.
Tim ingurgitò il biscotto come un aspirapolvere, senza nemmeno masticare.
"Squisito!
Roba da missione speciale... eh?!?"
Hans non commentò nulla e si voltò, seduto e ansimante verso la cuccia dei cani del soccorso.
"L'hai vista?", chiese Hans a Tim che ancora si leccava gli angoli della bocca.
"Altro che se l'ho vista!", disse Tim con tono gagliardo, "abbiamo bevuto l'acqua assieme nella stessa ciotola.
Ahhh, che signora!!!!", sospirò il giovane rottweiler.
"Bada a quello che fai!", ringhiò il dobermannn, "e resta nei ranghi, è un avvertimento... oltre che un ordine!"
Hans non scherzava e il rottweiler, imbarazzato, eseguì compulsivamente un giro su sé stesso.
La libido era un istinto più forte dell'amicizia e Tim era un pivello che doveva sottostare ai privilegi dei capi.
"Jawohl!", rispose Tim scattando sugli attenti.
Il mantello della notte calò velocemente senza portare la cena.
La bruma ghiacciata coperse ogni cosa e i cani si strinsero l'un l'altro per trovare un po' di tepore e resistere al congelamento.
In modo non dissimile si comportarono i soldati semplici, umani, a cui era stata assegnata una coperta ogni due commilitoni.

Il giorno dopo il generale Wolf, al seguito di Barth, venne a svegliare Hans.
Un abbaiare corto e ripetuto fece precipitare Hans dalla cuccia.
"Deutschland über alles! Agli ordini!", abbaiò Hans.
"Forza ragazzo!
Ci attende ancora parecchio lavoro.
Devi esser in forma: non abbiamo molto tempo e tu dovrai compiere ben presto la missione..."
Wolf dal canto suo, coda in alto, sottolineava le parole del tenente con una postura decisamente marziale.
Anche il pastore tedesco aveva una carriera militare mirabile.
Si diceva avesse solcato i cieli a bordo dei velivoli del famigerato Barone Rosso.
Si favoleggiavano incredibili lanci con il paracadute in zone di guerra impervie; si raccontavano imprese eroiche per schivare la contraerea nemica.
Ma ora, con l'avanzare dell'età, l'incarico di Wolf era solo quello di dirigere il campo ovvero imporre la sua ferrea gerarchia tra gli altri cani.
Tim scese dalla cuccia sbadigliando e vide nuovamente portare via il suo amico.

La colonna di mercurio era ulteriormente scesa.
Il freddo umido aveva veramente raggiunto una forte intensità e per Hans, come per tutti i dobermann senza sottopelo, si trattava di operare un considerevole auto controllo per non tremare e battere i denti.
Per fortuna Barth aveva alzato il livello di qualità dei premi: il giro si concludeva con tocchetti di würstel che aiutavano a buttare dentro una maggiore quantità di calorie.
Ma il percorso si era fatto più lungo e di andamento non più circolare.
Gli ostacoli erano aumentati e la distensione del cavo doveva evitare diverse torsioni.
Tutto questo per Hans era da valutarsi nelle sensazioni all'interno della bocca, a seconda della percezione della tensione dell'estremità del cavo tra i denti.
L'arresto poteva dipendere da due fattori: cavo completamente disteso oppure cavo trattenuto da un ostacolo.
Hans aveva un solo criterio per capire la differenza.
Un volta che sentiva la massima tensione, tornava indietro e allora eseguiva qualche movimento a destra e a sinistra per liberare l'incastro, scuotendo il muso vigorosamente.
Poi con delicatezza riprendeva ad avanzare.
Se il cavo era effettivamente terminato, ritornava la tensione precedente.
Se invece il cavo era stato sbloccato, continuava lentamente a camminare.
La mèta, la fine del percorso, era in effetti segnata dalla svolgimento di tutto il lungo filo.
Barth e Hans fecero nuovamente ritorno al campo al tramonto.
E come il giorno prima, Hans aveva in bocca l'ultimo pezzetto di würstel da offrire al compagno d'armi Tim.

Il rottweiler lo aspettava scodinzolando, con le orecchie basse in segno di rispetto.
Si ricordò del giorno precedente: un'altra zampata sarebbe stata fuori luogo.
Hans passò davanti a Tim e depositò, senza dir nulla, il prezioso bocconcino.

Il marconista arrivò allarmato alla baracca del comando generale.
Da fuori i due cani percepirono un gran trambusto fino al calare delle tenebre della notte.
All'alba Barth arrivò personalmente alla cuccia di Hans il quale dormiva acciambellato assieme a Tim.
Il tenente aveva nelle mani una ciotola fumante di latte ma quando vide che il dobermann era assieme all'amico, fece dietro-front per tornare con due ciotole.
I cani, increduli per questo servizio in camera, bevvero il latte l'uno accanto all'altro.
Anche Tim comprese che questo gesto tanto delicato faceva intendere due cose: che la missione si sarebbe svolta in giornata e che sarebbe stata delicata tanto quanto il gesto di attenzione ricevuto.
"Allora campione", disse il tenente Barth carezzando il muso di Hans, "ora andrai in missione e tutto il campo farà il tifo per te."
Dietro di lui c'era il maggiore Kreuzer il quale teneva alla cavezza un mulo sul cui dorso era montata una grande bobina: un cavo lungo oltre un migliaio di metri.
Hans aveva compreso chiaramente che doveva stringere il cavo tra i denti e andare avanti, evitando ostacoli e districando il filo, come durante le prove.
Il tenente Barth gli avrebbe dato la direzione e lui avrebbe fatto il resto.
Tim li vide andare via.
Il cane, il mulo e i due militari risalirono lentamente il pendio.
Il sole stava per sorgere e Venere brillava all'orizzonte.
Arrivati sulla sommità della collina, il mulo si fermò, Hans comprese che sarebbe dovuto entrare in azione e Barth si inginocchiò nella neve ghiacciata davanti al dobermann, carezzandogli ancora una volta la testa.
Dalla bobina venne fatta scivolare l'estremità più esterna del cavo.
Prima che il cane l'afferrasse coi denti, il tenente Barth porse a Hans un ultimo biscotto e un pezzetto di würstel.
Hans prese quest'offerta più per compiacenza che per gola: era così teso da avere lo stomaco ritorto.
Poi il tenente gli porse il cavo nella bocca e lo prese al guinzaglio.
Barth e Hans a piccolo trotto si incamminarono assieme per circa trecento metri.
Infine il tenente lo sganciò in corsa e gli urlò:
"Freundschaft über alles [l'amicizia al di sopra di tutto]."
Hans avrebbe voluto girarsi ma non lo fece.
Doveva rimanere concentrato, andare avanti.
Doveva percepire la disomogeneità del terreno, evitare le roccette affioranti sul manto nevoso.
Gli umani avevano architettato qualcosa di perfetto.
Far procedere un cane le cui tracce sul manto nevoso sono piuttosto indistinte al fine di distendere un cavo di un diametro sottile da far scivolare facilmente sotto la superficie innevata.
Hans procedeva in modo uniforme.
Sulla collina il maggiore Kreuzer srotolova la bobina poco alla volta.
Ad un certo punto il meccanismo sembrò incepparsi.
Il filo si mise in tensione.
Hans si arrestò e a marcia indietro cercò di tornare sui suoi passi.
Poi eseguì un zig-zag trasversale.
Una volta, una seconda volta.
Infine si rimise in cammino con una consapevolezza istintiva che lo guidava nel compiere la manovra di sblocco.
Piano piano, piano piano... e poi sì, cavo libero!
Dall'altra estremità, sulla collina, sentendo tensione nel cavo vi fu un certo nervosismo.
Poi la distensione da entrambe le parti... meno male!

La mattina era come sempre assai pungente per via del freddo ma incredibilmente limpida con un cielo completamente terso.
Hans non percepiva alcuna variazione corporea.
Il suo obiettivo era andare avanti e avanti e avanti.
Quasi in uno stato di trance arrivò alle prime baracche dell'avamposto tedesco rimasto isolato.
Un soldato lo vide e a gran voce diede notizia dell'arrivo del cane.
Il capitano Rottermeir accolse Hans, il quale depositò ai suoi piedi l'estremità del cavo.
Missione conclusa con pieno successo!
Hans si sdraiò in preda a un respiro sincopato, esausto dalla fatica.
Rimase nella stessa posizione per diversi minuti e poi si riebbe.
Ma era esausto e si addormentò.
Grazie alla sua impresa i due campi tedeschi erano nuovamente in comunicazione e potevano organizzare un'azione congiunta in grado di affrontare l'attacco nemico.

Il capitano Rottermeir svegliò il dobermann con una ciotola piena di brodo con carne bollita e pane raffermo.
Roba da mensa dei sotto ufficiali!
Hans mangiò tutto, tranne un pezzetto.
"Cos'è... il boccone della creanza?!
Al fronte nessuno penserebbe mai di lasciare qualcosa nel piatto."
Hans prese la carne e la portò via.

Era il momento di tornare indietro.
Il capitano Rottermeir prese Hans dal collare e lo mise nella direzione da dove era venuto.
"Stai già facendo parlare di te!
Ora torna al campo: avremo modo di ringraziare come si conviene il tuo addestratore!"
Detto questo lasciò di slancio il collare e il cane andò via correndo.
C'era una bella distanza da percorrere e le condizioni erano mutate.
Vide delle tracce di cingolati sulla neve, segno che i francesi stavano manovrando...
Percepì degli odori poco familiari.
Aumentò la velocità di marcia ma doveva rimanere concentrato per non perdere la direzione.
Sulla destra, nel bosco poco lontano, sentì qualcosa stormire tra le foglie.
Non era il vento.
Era un rumore meno lieve, come un passaggio di una persona.
Si arrestò di scatto e si stese, bene appiattito nella neve, per non farsi vedere.
Il cane agì per la sua sopravvivenza; in effetti così facendo non insospettiva il nemico: se si fosse avvicinato, avrebbe potuto trovare porzioni di cavo ancora visibili.
Trascorsero diversi interminabili minuti.
Hans era completamente immobile, quasi fermo anche il respiro.
Le orecchie tese, analizzando il minimo brusìo.
Il tartufo nero affondava nella neve e questo lo innervosiva perché non poteva fare alcuna perlustrazione olfattiva.
La paura ha un odore che un cane formidabile come Hans può sentire anche a un centinaio di metri di distanza.
I cani lo sanno bene: tutti i soldati hanno paura e gli odori in battaglia non sono solamente di sangue e polvere da sparo ma anche di tutti gli ormoni che trasudano dai corpi.
Quando la presenza nemica si dileguò, Hans si rimise in piedi per riprendere il cammino.
Ma non era tranquillo per via delle tracce che non corrispondevano ad alcun mezzo a disposizione nel campo Edelweiss.

Per tutto il giorno Tim lavorò al trasporto di legna dal bosco.
I cani da lavoro trainavano le slitte con il carico di tronchi da tagliare e da ardere.
Hans raggiunse la collinetta quando la slitta di Tim stava rientrando.
Hans non aveva una vista acuta ma sentì l'odore dell'amico sicché si fermò ad aspettare.
Tim era meno percettivo e non si accorse subito di Hans.
C'era inoltre con lui il pingue sergente Humboldt che emanava un cattivo odore, a causa del fatto che non sopportava farsi la doccia con la neve.
E non c'è cosa più persistente, per un cane, del lezzo di un bipede sporco che copre qualunque altro odore.
Beninteso, Hans aveva percepito anche Humboldt ma era comunque stato in grado di avvertire il ritorno di Tim.

Sentì il rumore degli sci di legno della slitta, non più perfettamente avvitati alla base.
Hans si mise seduto, scodinzolante, sulla sommità della collina.
Poco dopo arrivò Tim il quale, vedendo l'amico, emise tre guaiti di suprema gioia.
Hans scodinzolò ancor più forte, incurante della neve spazzata che si alzava da destra e da sinistra.
Il sergente Humboldt fu distratto da questa scena e non si rese conto dell'agguato.
Accadde tutto in un attimo.
Un proiettile trapassò la schiena del sergente e s'impiantò nel cuore.
Il sergente cadde sulle ginocchia e poi si distese bocconi, senza vita.
Poi ci fu un altro colpo che centrò Tim, in corsa verso Hans.
Quando il dobermann lo raggiunse Tim era ormai agli ultimi respiri.
Vi era una striscia di sangue sulla neve.
Il rottweiler prima di spirare fece in tempo a sentire l'odore di un bocconcino di bollito, deposto accanto al suo muso dalla bocca di Hans.
"Era questo il sapore dell'amicizia, della fratellanza, della lealtà", pensò infine il coraggioso molossoide e...

...come era dolce!

[Il racconto è liberamente tratto da una storia vera:
il cane, eroe della Prima Guerra Mondiale, si chiamava Hans (il suo allenatore era il luogotenente Müller).
Hans svolgeva un servizio di posta regolare lungo un percorso di 10 chilometri.
Una volta ebbe il compito di srotolare oltre mille metri di cavo per congiungere due reparti avanzati e esposti al fuoco dall'artiglieria francese; cfr. Gianfranco Giannelli, Cani e soldati, 1998]

 

 

 

 

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