Un panettone... al Polo Nord

[Racconto di Paola Manoni]

 



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durata 24 minuti


Son certa che gli ultimi tocchi non saranno sufficienti e dimenticherò qualcosa di capitale importanza... e il maestro se ne accorgerà.
Ho questo pensiero da giorni...
La mostra che sto per inaugurare mi ha veramente impegnata.
Selezionare la documentazione sul personaggio, miliare per la musica e soprattutto così presente nella cronaca del suo tempo...
Quando l'arte, l'opera e il teatro erano veramente vissuti e seguiti.
E la stampa riportava gli eventi con tinte forti e critica verace.
Stiamo per dare inizio a un collegamento con un grande direttore d'orchestra...
Ore 19.00 UTC, pochi secondi e andremo in Rete...
"Carissimi affezionati internauti, a me il piacere di inaugurare una personale molto attesa...
E' qui a parlare con noi il maestro Arturo Toscanini."
Partenza della sigla introduttiva.
Il ritratto del musicista illustre campeggia in galleria.
Apparentemente è tutto secondo programma, tutto a posto.
Sono solo io estremamente agitata...
Il maestro però mi sorride e mi fa l'occhiolino...
Si sa quanto il Toscanini sia stato sensibile al fascino femminile... però che esordio, nemmeno è finita la sigla e già mi fa il cascamorto??
"Buonasera Jo Peg.
Che piacere stare in compagnia di una bella figliola come lei", esordisce Toscanini, senza darmi il tempo di proferire parola, a sigla terminata.
Spirito d'iniziativa.
E' il primo intervistato che si prende la parola da solo senza nemmeno aver incominciato!
"Buonasera a Lei!
E nel dare inizio all'intervista le domando subito qualche notizia circa il suo esordio giovanile nel mondo della musica", vado spedita anch'io, senza preamboli.
"Considerando che venni ammesso al Conservatorio a soli nove anni... cosa considera lei con giovanile?", risponde Toscanini con un'altra domanda, assai pertinente e dal tono vagamente ironico...
"Diciamo dopo il diploma del Conservatorio", propongo io... e il timbro della mia voce è flebile... speriamo che riesca a dissimulare fino alla fine la soggezione che mi incute Toscanini!
"Al Conservatorio di Parma ci andai vincendo una borsa di studio e lì, studiai violoncello e composizione.
Al termine degli studi ebbi l'occasione di entrare nell'orchestra del maestro Bianchi che si recava in tournée in Sud America..."
"E' a Rio de Janeiro che si ebbe il suo primo esordio sul podio: è così?"
"Correva l'anno 1886 e il direttore Leopoldo Miguez, per motivi che non sto qui a narrare, abbandonò l'orchestra.
Il suo sostituto, Carlo Superti, avrebbe dovuto dirigere l'Aida."
"Che però diresse lei al suo posto."


"Poiché vi fu una contestazione..."
"Ovvero il pubblico che interruppe l'esecuzione?", Toscanini non conferma e riprende il discorso, velando l'episodio per il buon nome del direttore screditato...
"E' sufficiente ricordare che altri orchestrali mi spinsero a dirigere..."
"E a soli 19 anni lei eseguì la sua prima direzione d'orchestra e, come sempre accadrà, senza spartito... tutto a memoria!"
"Ovviamente, cara ragazza, tutto a memoria... come si fa a dimenticare l'espressione della purezza musicale di un brano!?!"
"Le cronache ci riferiscono della sua capacità mnemonica prodigiosa, sia per la musica sia per le immagini...", vedo che Toscanini sbadiglia... questi geni non sai mai come trattarli... di sicuro trova noioso il mio encomio!
Ora lo sistemo io...
"Dalle cronache del tempo, cito:

Egli non ha davanti a sé né leggio né partitura. Egli disegna, nell'aria, degli arabeschi e precisa e ottiene sfumature, flessibilità, attacchi e crescendo di una qualità assolutamente unica al mondo... [E. Vuillermoz su Excelsior]"

Il maestro alza un sopracciglio, quale segno di manifesta curiosità...
Ed io continuo:

"La sua storia è puntellata da successi e exploits, dalle grandi esecuzioni così come dalle amicizie illustri con i musicisti del suo tempo: Verdi, Debussy, Puccini...
E non vi sarà il tempo per narrare tutta la sua mirabile carriera...
Per questo le chiedo se, nella sua storia favolosa, non vi sia un anno che ricorda in modo eccezionale, così da presentarlo al nostro pubblico, desideroso di sapere..."
Toscanini si fa più interessato, lo comprendo dallo sguardo.
Meno male che ho trovato la chiave per renderlo più collaborativo.
"Un anno fra tutti?", domanda il maestro.
"Il suo successo è colmo di eventi e di rappresentazioni... per questo le chiedo un anno a sua scelta."
Quasi non termino la frase che lui incalza:
"Il 1930, non v'è dubbio."
"Bene, può narrarlo per il nostro pubblico?", detto fra noi: ero certa che avrebbe scelto questo anno... eh, mi sono ben documentata, meno male!
"L'anno si fece interessante a partire dal 25 marzo, con il conferimento della laurea ad honorem ricevuta alla Georgetown University di Washington..."
"Diciamo che fu uno dei primi contatti formali con gli Stati Uniti."
"Diciamo pure così, vista la mia vita trascorsa lì!"
"Andiamo con ordine...", suggerisco io, "E rimaniamo nel 1930.
Sappiamo che venne insignito del titolo magister magistrorum e che il direttore durante la cerimonia si rivolse a lei in latino..."
"Vero... e io risposi in inglese... non dimentichiamo che già dirigevo la stagione concertistica della Philarmonic Symphony Orchestra.
Ma è proprio della tournée europea del 1930 che vi voglio parlare."

"Magnifico", commento cercando di smorzare lo slancio, per non apparire troppo emotiva.
"Il 23 aprile ci imbarcammo da New York per Le Havre.
Avremmo svolto in trentacinque giorni ventitré concerti in sedici città differenti."
"Un vero tour de force", dico senza troppo riflettere.
Toscanini non replica e mi domanda:
"Vuole avere un'idea del giro?"
"Volentieri, ascoltiamo!"
"Il 3-4 maggio all'Opéra di Parigi con una prima assoluta per l'Europa: il Rondò Veneziano di Pizzetti.
Il 6 maggio a Zurigo con la Pastorale d'Eté 231 di Honegger.
L'8-9 maggio alla Scala di Milano con brani di Rossini, Schumann, Pizzetti, Mendelssohn, Bach, Wagner e Mussorgsky-Ravel."
"A proposito", lo interrompo, senza sapere con quale coraggio (da leone!) io possa scippare la parola a Toscanini.
"Mi dica cara signorina!", mi risponde lui, con tono evidentemente divertito dal mio gesto...

"Mi riferisco a Ravel e al suo Bolero...
Ho letto di un certo aneddoto, possiamo raccontarlo, fermando per un istante la descrizione della tournée?"
"Intende quando Ravel, dopo che io ebbi eseguito il suo famoso brano, venne da me a lamentarsi?"
"Esattamente!" replico di slancio.
"Dopo l'esecuzione (non ricordo ora in quale teatro) Ravel raggiunse il mio camerino e con gran convincimento mi disse sdegnato che il tempo del Bolero era stato alterato.
Dopo averlo fatto parlare e lagnare e ancora parlare, chiesi di avere un grammofono con il disco del Bolero diretto dallo stesso Ravel."
"Seduta stante?"
"Certo che sì: la falsità va smascherata sul nascere, lo tenga sempre a mente!
Dimostrai che il tempo era battuto nel medesimo, identico modo e congedai l'autore assicurandolo a chiare note che non avrei mai più diretto la sua musica."
"Inutile dire che mantenne la parola...", concludo.
"Appunto...", precisa Toscanini, "...quella sera avevo diretto alla lettera la monotonia implacabile del tema del Bolero, che corre lenta e cupa fino a raggiungere il finale... ma ora torniamo al calendario europeo del 1930 con la Philarmonic Symphony Orchestra", propone lui con tono vigoroso.
"Giusto... eravamo in maggio, alla Scala di Milano..."
"A cui fece seguito il giorno 10 il concerto a Torino, poi il 12 e il 13 a Roma, il 14 a Firenze, il 16 a Monaco di Baviera, il 18 e il 19 a Vienna, il 21 a Budapest, il 23 a Praga e il 25 a Lipsia, il 26 a Dresda, il 27 e 28 a Berlino, il 30 a Bruxelles e poi dall'1 al 4 giugno a Londra."
"Mamma mia!
Considerando i trasporti di allora, i bagagli degli strumenti d'orchestra e tutto il resto... è un giro veramente portentoso!", il mio commento è ovvio ma sicuramente spontaneo.
"Pensi che muovemmo 280 colli di cui 26 solamente della mia famiglia!
Rientrammo poi a New York e io ripartii in luglio per dirigere al teatro wagneriano di Bayreuth."
"Energia senza esaurimento!", aggiungo io.
"Avevamo un grande entusiasmo... e se uso il plurale non è per magnificarmi ma per intendere l'Orchestra e io."
"Ci può parlare degli orchestrali?"
"Erano centodiciotto musicisti eccezionali, provenienti da più parti del pianeta."
"Ad esempio?"
"Per darle un'idea: oltre agli americani vi erano musicisti di quasi tutte le nazioni d'Europa.
Quattordici italiani, sette francesi, ventinove russi, dieci tedeschi, cinque olandesi..."
"Cosmopolitismo musicale!"
"Dice bene, cara Jo Peg!
Universalismo nel senso della libera espressione della musica.
Pensi poi che la tournée del 1930 era il primo viaggio oltreoceano dell'orchestra."
"Quali erano i suoi rapporti con i musicisti contemporanei?
Sono noti tanti episodi... "
"Esemplifichi, signorina...", chiede il maestro in modo perentorio.
Io, intimidita come una scolaretta, rispondo:
"Ad esempio con Verdi, Debussy...", quasi non respiro.
Temo che per qualche motivo Toscanini possa esplodere contro di me!
Lui fa un respiro profondo; poi dice:
"Giudichi lei:
Verdi dopo la mia esecuzione del suo Falstaff mi scrisse, cito [ovviamente] a memoria: Io l'ho composto ma voi lo avete creato.
Fu uno dei ringraziamenti più belli che io abbia mai ricevuto."
Toscanini fa una pausa di silenzio che io non oso interrompere e poi aggiunge:
"E ancora Verdi accolse sempre con grande rispetto ogni mio consiglio.
Il tempo in un passo del Te Deum che modificò secondo mia indicazione, per farle ancora un esempio..."
"Cosa ci racconta di Debussy?"
"Portai la sua composizione La mer per la prima volta in Italia nel 1911.
Ci misi l'anima.
In seguito Debussy mi disse che la mia interpretazione raggiungeva il suo ideale per quella musica.
Quanto di più alto si possa accordare a un direttore d'orchestra...
Comprende cosa voglio dire?"
"Credo di comprendere", rispondo prontamente e poi proseguo l'intervista, "Cosa ci può raccontare invece circa le esecuzioni wagneriane?"


"Fu sempre nel 1930 che ebbi l'invito di dirigere nel famoso teatro di Bayeruth il Tristano e Isotta."
"E, se non erro, lei fu il primo direttore d'orchestra reclutato fuori dalla Germania ad avere tale onore... prima di lei tutti i Kapellmeister erano rigorosamente tedeschi, nevvero?"
"Sì, vero!
Ma, a essere molto sincero, le dico anche che trovai l'orchestra di Bayeruth al di sotto delle mie aspettative.
E la famiglia Wagner mi assicurò che per l'anno successivo avrebbero migliorato gli orchestrali, reclutando degli elementi dallo Staatsoper di Berlino."
"Cosa che fecero?", domando io incuriosita.
"Sì, mantennero la parola!", risponde il maestro.
"In proposito, circa Wagner: ho letto di una sua intervista al giornale tedesco Berliner Börsen-Zeitung, del 1932:

Amo tutte le opere che dirigo, sinfoniche o teatrali, perché dirigo soltanto quelle che amo. Nel campo sinfonico la mia predilezione è per i grandi, Haydn, Mozart, Beethoven [...] fra le opere stimo soprattutto quelle di Wagner e di Verdi. E' difficile dare la preferenza a un'opera di Wagner. Ho osservato che, se dirigo o suono al pianoforte questa o quell'opera di Wagner, proprio l'una o l'altra possiede il mio cuore [...]"

"Vedo che si è ben documentata, signorina", mi rivolge la parola con un velo di malinconia...
Percepisco un certo trasporto e nota di tristezza.
Esito nel chiedergli un maggiore approfondimento nei suoi rapporti con la famiglia Wagner e il proseguio nella direzione d'orchestra presso il teatro Bayeruth.
Ho letto infatti che la collaborazione s'interruppe nel 1932, a seguito di diversi dissensi con il soprintendente del teatro, designato dalla famiglia Wagner.
Preferisco non approfondire e vado piuttosto a domandare ragguagli su altri fatti salienti...

"Il pubblico vorrà sapere qualcosa del famoso episodio incorso a Bologna nel 1931..."
"La ringrazio per questa richiesta", risponde risoluto Toscanini, "perché vorrei chiarire diversi aspetti dell'accaduto..."
"D'accordo ma le chiedo di narrare la cronaca della vicenda al nostro pubblico... non tutti sono al corrente."
"Certamente, ora narro:
Una serata calda e profumata a Bologna, precisamente il 14 maggio, si inaugurava la Fiera di Maggio a cui prendeva parte il ministro Costanzo Ciano.
Per l'occasione al Teatro comunale veniva dato un concerto, sotto la mia direzione d'orchestra.
Preciso che le date erano state spostate a causa della mia artrosi al braccio e il pubblico prese l'evento del concerto come un'appendice al festival.
Il programma prevedeva di commemorare le opere di Martucci.
Ma il pomeriggio stesso venni a sapere dal vicepodestà di Bologna, Giuseppe Lipparini, che avrei dovuto eseguire fuori programma, a mo' d'introduzione, gli inni italiani: la Marcia Reale e Giovinezza per onorare la presenza dei gerarchi di regime, che avrebbero assistito al concerto."
"E cosa rispose al Lipparini?", domando sulla scia della suspense creata dal maestro.
"Cara ragazza, la musica non può e non potrà mai piegarsi al volere di uno o di un altro regime o logica di Stato.
Dal mio punto di vista, e in prima istanza per libertà puramente estetica, rifiutai perché le musiche che si volevano imporre avrebbero alterato il gusto della commemorazione.
Quindi, non accordai il mio consenso anche alla proposta di far gestire al primo violino i due inni italiani, e solo dopo di apparire sul podio.
La musica appartiene al suo regno e non può mischiarsi con altro.
Questo allora fu puramente il mio punto di vista."
"Sì, ma come si volsero poi gli eventi della sera?"
"In città e tra i fascisti si diffuse subito la notizia del mio diniego.
Presso il teatro vi fu il piantonamento di diverse camicie nere.
Quando io mi avvicinai all'entrata degli artisti percepii una tensione incredibile.
Gli squadristi mi minacciarono, imponendomi l'esecuzione degli inni.
Io continuai a mantenere fermo il mio proposito.
Così venni schiaffeggiato e insultato e feci immediatamente ritorno all'Hotel Brun, dove ero alloggiato.
Lì venni raggiunto da un federale fascista che mi imponeva di partire subito per evitare peggior guai."
"E cosa accadde dentro il teatro?"
"Intanto i capi di governo tardarono (volutamente s'intende) e i loro palchi riservati rimasero vuoti.
Venne poi semplicemente annunciato che per un'indisposizione del maestro Toscanini il concerto era stato sospeso!
Ma torniamo ai fatti nell'albergo.
Il federale arrivò a mezzanotte.
Per fortuna era con me Ottorino Respighi che da musicista e bolognese poteva far valere la sua parola.
Devo a lui se mi fecero partire.
Mia moglie Carla e io lasciammo Bologna alle due del mattino, scortati e in macchina.
Giurai a me stesso di non fare più ritorno in Italia."
"E sappiamo mantenne la promessa."
"Infatti sono tornato in patria solo per brevi periodi e per concerti e poi definitivamente nel cimitero di Milano, dove sono sepolto!"
"Eppure lei ha amato moltissimo il suo paese."
"Certo che sì, la sua gente, la musica e i teatri.
Nel mio ideale di patria v'era l'educazione musicale degli italiani."
"Ci può fare un esempio della sua didattica?", domando incuriosita.

"Quando ho amministrato La Scala ho introdotto diverse novità.
Ho vietato che si mangiasse e bevesse durante il concerto, introducendo un intervallo nel mezzo.
Migliorai il sistema d'illuminazione, per creare maggiore suggestione nella coreografia, così come pensai di nascondere l'orchestra, nella fossa antistante al palco, per dare ancora un maggiore effetto all'effluvio musicale nella scena."
"E' anche nota la sua intolleranza ai rumori provocati dal pubblico", aggiungo io.
"Esattamente! La gente si doveva abituare a fruire della musica in modo puro, annullando tutto il resto, sospendendo il tempo e riconoscendo l'eccellenza dell'arte."
"Un re può piegarsi a raccogliere il pennello di un artista, diceva Oscar Wilde."
"E io feci di quest'affermazione il mio motto: ora le è chiaro il senso dell'educazione musicale della gente?"
"Chiaro a me come a chi ci segue", rispondo con convinzione.
"Posso osare nel dire che il suo carattere passionale non era comunque facile?"
"Osi pure, cara signorina!
Ma come me sono stati tanti musicisti."
"Ha mai avuto dei dissensi con i suoi colleghi?"
"Mah... mi viene in mente di raccontarle un episodio spiritoso."
"Sentiamo, sentiamo", rispondo divertita.
"Ho avuto diversi momenti di attrito con Puccini, nonostante la stima reciproca che ci accordavamo.
Ma accadde qualcosa che per un certo periodo ci allontanò.
Letteralmente non ci parlavamo.
Si fece tempo di Natale e Puccini mi inviò un panettone ma subito dopo si ricordò che non ci si parlava più sicché mi inviò un telegramma che diceva:
Panettone inviato per errore. Puccini."
"E lei cosa rispose?"
"Semplice, l'unica cosa da rispondere:
Panettone mangiato per errore. Toscanini!"
"Rimanendo in tema gastronomico, lei è stato goloso?", domando per cambiare discorso.
"Certo che sì e della buona cucina italiana che nel mio peregrinare all'estero ho sempre ricercato", risponde il maestro con tono bonario.
"Ci può parlare di qualche sua altra passione, al di là della musica?"
"Ho amato con pari intensità gli animali: selvatici, domestici, quelli avuti in casa e non."
"Qualche episodio di vita da raccontarci?"
"Ho cercato sempre di viaggiare con i miei animali, per non lasciarli soli... pensi che nell'estenuante tournée del 1930 ero accompagnato da tre piccoli compagni di viaggio.
L'adorato cagnolino Picciù e una coppia di canarini che viaggiava in tre gabbie molto eleganti di diverse dimensioni."
"Perché tre gabbie, per due canarini?"
"Semplice: una gabbietta-treno per i viaggi in ferrovia.
Una gabbietta un poco più larga per i viaggi in mare e poi un'ultima più larga per le soste in albergo."
"Come si chiamavano i due canarini?"
"Si chiamavan Veniero (in onore di Veniero d'Annunzio che me lo aveva regalato) e la femmina Margherita."
"Venerato Maestro, siamo in chiusura d'intervista.
Tra pochi minuti il collegamento verrà interrotto: è tempo di salutare il pubblico... può regalarci ancora qualche parola, prima del commiato?", domando in modo gentile ma risoluto, devo per forza rispettare i tempi di programmazione...
"Voglio condividere con voi un'esperienza.
Sono stato venerato, mitizzato da vivo come da trapassato.
La mia popolarità è sempre stata alle stelle.
Ma un anno, all'inizio del secolo (intendo quello scorso), andai in villeggiatura in un piccolo paese delle Cinque Terre (in Liguria).
Lì ebbi il piacere di non essere riconosciuto come il famoso direttore d'orchestra.
E le persone presero a chiamarmi l'uomo dei giochi cioè prestigiatore.
Questo titolo lo guadagnai unicamente per il filo delle relazioni umane che mi legava con quella gente e non per altra ragione.
Ho conservato la memoria di quella vacanza in modo molto caro perché quel titolo fu una vera onorificenza.
Sicché vi esorto a ricordarmi come l'uomo dei giochi... perché giocare, saperlo fare, è la prima regola per la libertà e per raggiunger l'arte!
Addio cara e bella signorina... che purtroppo nella virtualità non posso corteggiare... abbia tanta cura di lei e del suo pubblico!!!"


 

 

 

 

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