Connessioni incredibili

[Racconto di Giovanna Gra]

 



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durata 13 minuti - Credits



Ciao amici!
Questa sera voglio parlarvi di cose di questo mondo e dell'altrove, e navigare nell'immenso.
Credo sia così che s'incontrano le idee, gli imprevisti, le insolite connessioni...
Ergo, per queste cronache dal cyberspazio, andamento ondivago e mente libera e... avanti tutta!

Voglio raccontarvi di ponti fra le stelle, di stazioni siderali, di vuoti improvvisi e messaggi perduti nel nulla interstellare.
Voglio parlarvi del mare, del suo silenzio e delle grandi fatiche degli uomini che navigavano verso l'ignoto.
Voglio parlarvi degli uccelli come postini.
Voglio parlarvi di piccoli uomini con una immensa voglia di comunicare.

Quante speranze vane...
Un messaggio, una notizia, un avviso, un bollettino, una bottiglia...
ma dal mare, per tanto, tanto tempo, è tornato solo il silenzio.
Poi...
...il gorgoglio di trasmissioni radio incerte e disturbate e, quindi, ancora il nulla.

Mentre il cielo osservava attento, elettrico, pieno di promesse e sinergie inesplorate, l'uomo costellava il suo passaggio di domande:
Come posso fare per raggiungerti?
Pensava, fissando la sua fortunata stella.

Qual era il mezzo?

Una lunga scala, forse.
Tanto lunga da sfiorare le punte acute delle stelle!
Oppure, oppure...
un grande gancio per afferrare al volo, nell'iperspazio, il girovita di qualche pianeta obeso.

Le ampie zone di silenzio che del cielo erano i continenti più vasti, fissavano l'uomo mute e inermi.
E, anche se lui passava le ore a fissare il cielo, l'immensa arcata stellare si limitava ad adagiarsi silente e pigra lungo la sua volta blu, interrotta con frequenza quasi irritante dalle piccole lucine delle tante, tante stelle.

Poi, nel corso della storia, mentre gli ultimi mistici abbandonavano le loro ricerche siderali, quel piccolo uomo, più logico, più curioso e meno esposto ai timori divini, fece l'incontro con Venere e i suoi suscettibili transiti.
Incominciò a prevedere i moti dei pianeti e delle stelle.
E a disegnare il tutto su consunte tavole di legno.
Iniziò a scandagliare i cieli con i suoi strumenti imperfetti, inventò astrolabi e balestriglie.
E più spiava quell'immenso mantello blu, aggrappato al suo inseparabile quadrante di Giacobbe, e più cresceva dentro di lui il timore di essere troppo piccolo e insignificante per poter, un giorno, lanciare all'universo il suo grido.

Come poteva comunicare con l'altra parte del mondo?
Che genere di dispacci lo avrebbero raggiunto in mezzo al mare?

Fece delle ipotesi...

Forse doveva creare delle notizie... leggere?
Forse dovevano essere le parole ad imparare a volare?
Come avrebbe annunciato alle genti i suoi proclami?
Come e quali foreste avrebbero lasciato passare i suoi ordini?
Forse avrebbe potuto sacrificare i suoi pochi saperi terreni a Mercurio?
O sperare nelle preghiere recitate presso il tempio affinché le ninfe dell'aria fossero, alfine, compiacenti e propizie?

Il piccolo uomo studiava, osservava e capiva.
E, mentre faceva tutto questo, cresceva.
E, insieme a lui, la pila di libri, pergamene, fogli di calcolo, aumentava a dismisura sul suo tavolo.

E un giorno, guardando quella lunga distesa di carte, pensò:
forse sarà una torre di libri la scala con cui toccherò il cielo?
O forse... sarà la guerra?
Potrebbe la gloria condurmi finalmente a tu per tu con le stelle?

O, magari, la scoperta dell'ultimo astro neonato?

Così, si rivolse al cielo del Nord, esattamente verso Cassiopea.
E la più nota costellazione di quel quadrante di cielo gli tese la mano.

In effetti, in quel teorema di stelle dei cieli del Nord che disegna sul manto azzurro una doppia v ideale, gli parve di scorgere della luce di troppo.
Così, l'uomo prese i suoi consumati strumenti imperfetti.
Studiò, osservò.
Si diede al calcolo, ai confronti.
Segnò punti, tracciò mappe.
E... eccola!
Chiara come un sì, apparire fra i suoi schemi come un ospite tanto atteso.



Aveva scoperto una supernova!
La prima.
L'uomo, allora, si perse davvero nella contemplazione del cielo.
Si compiacque della rarissima congiunzione fra Giove e Saturno.
Notte dopo notte, tracciò molti segni sulle sue carte, e ampie ellissi attorno ai movimenti dei pianeti.
Il cielo, grazie ai suoi pennini, divenne graduato e puntellato dalla rosa dei venti.
Geometrie celesti facevano da corredo alle sue mappe, dove i segni erano ogni volta diversi.
In altre occasioni tracciava sempre gli stessi quadri, per certificare la fissità di certe stelle.

Ci mise quasi cinque anni per determinare il viaggio del Sole attraverso i pianeti.
Trent'anni per disegnare il misterioso vagare di Saturno...

Poi, vide saettare le comete, perfette come postine.
Ma come sfruttare le loro corse?

Insomma, quanto tempo doveva ancora trascorrere perché l'uomo riuscisse a comunicare a distanze indicibili?

Beh, amici, molto, vi dirò...

E non furono le comete, le scale di libri, le parole che impararono a volare...
Il mezzo più veloce, adatto e potente per sparare le notizie in cielo raggiungendo qualsiasi parte del globo in men che non si dica, in realtà, si rivelò... un'idea!!!

Che idea pensare a un'idea!

E il padre di quell'idea, pensate, era un signore che di idee impensabili aveva una certa pratica.

Vi sto parlando di Arthur Charles Clarke, scrittore e sceneggiatore.
L'autore di 2001 Odissea nello spazio, il famosissimo film di Stanley Kubrick!

Arthur Clarcke, classe 1917, fu il primo a pensare, anzi, a immaginare, dei satelliti descrivendoli con una tale precisione che l'idea apparve lì, sul tavolo, pronta per essere realizzata.

Egli ipotizzò che un satellite posto a una determinata distanza, cioè con un raggio ben preciso calcolato dal centro della Terra, avrebbe avuto un'angolazione esattamente identica alla Terra medesima.
E che, in virtù di ciò, sarebbe risultato esattamente immobile rispetto alla crosta terrestre.
Da quella posizione, il satellite avrebbe potuto fare da ponte radio fra i due punti dell'emisfero più estremi, ma visibili ai suoi occhi.
Anzi, alle sue antenne!

Non contento, Clarcke ipotizzò anche l'esistenza di altri satelliti e, calcolando una distanza ideale fra loro, sostenne che avrebbero potuto coprire l'intera circonferenza di un piccolo globo chiamato Terra, consentendo a tutto il pianeta di comunicare quasi in tempo reale.

Data l'idea, non ci volle molto a realizzarla.
Clarcke tornò a scrivere i suoi libri e le sue sceneggiature, ma intanto...
...Intanto, sopra la sua testa, le cose stavano cambiando e di parecchio!

Naturalmente ci vollero molti anni per realizzare una visione tanto audace, e i primi satelliti non ebbero molta fortuna.
Ma dal 26 luglio del 1963, le piccole stazioni astrali incominciarono a fare il loro lavoro.

A lui, in conseguenza della sua idea, dobbiamo sicuramente il progetto del ricevitore satellitare vocale, un oggetto che, se utilizzato come cellulare e grazie alla disponibilità di un satellite, indica ai non vedenti la strada e le coordinate per muoversi negli spazi aperti, elenca i negozi presenti nelle diverse vie nonché gli alberghi, le fermate degli autobus, gli uffici pubblici...
Insomma, fornisce tutte le informazioni utili per navigare on the road a pieno ritmo!

Oggi, i satelliti e le connessioni che da loro ne derivano, ci hanno permesso di comunicare con qualsiasi parte del mondo.
Il satellite resta una grande, grande, grande idea.
Un'idea davvero con... le antenne!

Ma non è finita qui!
C'è un'altra connessione di cui voglio parlarvi.


Forse lo sapete, forse no, ma esistono stelle nei nostri cieli, che hanno circa dieci miliardi di anni.
Nate con le galassie.
Nate nella notte dei tempi.

La lista alchemica di cui si compone una stella parla di gas, polveri e detriti infinitamente piccoli e spaziali.
Ora, per farvela breve, la famosa polvere delle stelle, in tutte le galassie era data per esaurita.
E, per farvela ancora più breve, nel blu profondo si pensava che quello che era nato, era nato.
Ma non era affatto così!

Bisogna dire che era abbastanza normale pensarlo.
Infatti, già dal tempo in cui l'uomo si dimenava per comunicare, gli anni erano trascorsi alla velocità della luce (figuriamoci dieci miliardi di anni prima!) e, francamente, si credeva che non ci fosse proprio più posto per altre stelle.

Ma non la pensavano così delle giovanissime... aspiranti stelline!
"Ah sì?" devono aver urlato risentite nel vuoto iper spaziale.
"Alla faccia della materia!
Noi diventeremo delle stelle blu, ci chiameremo Blue Stragglers e, se ci garba, metteremo su anche un complessino pop stile ammasso globulare!!!"

Il cielo fu costretto a prenderne atto, insieme a qualche studioso nostrano operante nel suolo terrestre.

Ma la vita delle Blue Stragglers, forse proprio a causa del loro cognome (che significa: chi è rimasto indietro, sbandato) o forse per mancanza di polveri, o forse perché erano troppo blu, si rivelò assai breve.

Un vero flop.
Che peccato!

Ma poi...
...Terra chiama spazio iperstellare!
Terra chiama spazio iperstellare!



Io posso solo raccontarvi il mio stupore, la mia fascinazione, la mia meraviglia... e condividere tutto questo con voi!

E adesso ditemi un po':
siete davvero sicuri che il paradiso non esista?

A presto, Li


 

 

 

 

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