Cesira

[Racconto di Giovanna Gra]

 



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durata 17 minuti - Credits




Forse ve ne ho già parlato.
Io ho una vicina di casa:
la signora Cesira.
Cesira è una donna anziana, molto simpatica e alla mano.
Ci siamo conosciuti e abbiamo legato perché è l'unica altra frequentatrice di questa terrazza da cui vi scrivo...

Un tempo mi sentivo un po' solo quassù, la vita scorreva molti piani sotto, lungo la strada e io mi sentivo un cronista sospeso, seduto sulle sue spigolose paure di affrontare il mondo.
Beh, sappiate che Cesira è una persona molto importante per me.
E io sono molto importante per lei.
Beh, sì, forse è il caso che vi racconti la storia dal principio...

Quando ho iniziato a vivere su questa terrazza avevo deciso di chiudere i miei rapporti con il mondo.
Tutto mi sembrava terribilmente difficile, inarrivabile.
Non saprei dire con esattezza ma... diciamo che vivere a mille non faceva per me!
Ero stanco, provato e spaventato e avevo bisogno di un posto sicuro.
Il giorno in cui sono salito su questa terrazza ho capito che il mio posto sicuro sarebbe stato questo.
Così è incominciato il mio cammino verso un'infelice condizione: quella del Hikikomori.

Cos'è un Hikikomori?
Hikikomori è una parola in lingua giapponese.
Significa, letteralmente, ritirarsi.
Si dice di chi vive isolato.
E si usa per indicare chi si comporta come un isolato sociale.
La parola è giapponese perché questo fenomeno è nato proprio in Giappone.
Naturalmente, grazie all'arrivo improvviso di Cesira nella mia vita, io non vivo più la dimensione del Hikikomori.

 

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Immagine del primo piano del volto di Li Hacker (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Gli occhi e i capelli scuri, uno sfondo fucsiaParticolare del volto, lato destro.Particolare del volto, lato sinistro.
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Sapete com'è successo?
Cesira veniva sempre a stendere i panni sulla terrazza.
Mi parlava con dolcezza e mi cantava antiche canzoni...
Piano, piano, mi ha riconciliato con il mondo.
Anche lei si sentiva oppressa dal mondo esterno: troppo veloce, troppo confuso, troppo violento.

Sentivo il suo arrivo dal profumo del bucato pulito, dal rumore delle lenzuola sbatacchiate dal vento... tendevo le orecchie e lei cominciava a cantare.

"Cosa avrà mai di tanto interessante quella scatoletta?", mi diceva per punzecchiarmi, per prendermi in giro.
Per intenderci, quella che lei chiamava scatoletta, era il mio computer.
"Beh, niente di più e niente di meno di sua sorella, la scatola più grande!", le rispondevo sarcastico.
Per intenderci, la scatola più grande era la televisione a cui lei era assolutamente devota.
Quando saliva con il cesto dei panni, ogni tanto sentivo che si fermava e sfogliava un giornale.
"Cosa leggi?", le chiedevo.
"I programmi TV...", rispondeva lei distratta e presa dalla lettura.
Leggeva solo quello.
Inesorabilmente quello.
Abbiamo passato molte ore così.
Io ticchettavo sulla mia tastiera e lei commentava le sinossi delle sue telenovelas preferite.



 

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Immagine di Li Hacker visto dall'alto (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vede Li Hacker al computer, seduto in terra.Particolare del laptop.Particolare del ragazzo.
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Il suo mondo era la TV, navigava ventiquattrore su ventiquattro fra mille canali ed era informatissima su tutto.
Il mio mondo era Internet, e anch'io rimanevo connesso ventiquattro ore su ventiquattro.

Avevo imparato che, se volevo chiacchierare con lei, bastava manomettessi l'antenna della sua TV.
Saliva in quattro minuti esatti i piani che ci dividevano con un'espressione furiosa.

Un giorno, invece, chissà perché, è salita con una torta.
Non mi ha detto nulla, l'ha posata sul muretto e ha atteso.
Era certa che il mio strepitoso fiuto di non vedente se ne sarebbe accorto in un secondo.
Ha atteso ancora meno, mentre io mi beavo degli effluvi di vaniglina che mi chiudevano la gola.
Slurp...!
"Come mai questa meraviglia?", ho chiesto scettico.
"Beh, fra prigionieri ci si aiuta no?", ha risposto lei serafica.
"Prigionieri?!", mi sono stupito.
Che voleva dire?
"Esatto, prigionieri.
Ti ho osservato, ragazzo..."
Poi, giocherellando con le chiavi che aveva nella tasca del grembiule come faceva sempre aveva aggiunto:
"Tu sei come me e tutt'e due siamo prigionieri di una scatola, questa è la verità.
Prima d'incontrarti non guardavo i giovani con molto favore.
Il vostro mi sembrava un mondo violento e aggressivo.
Infatti, se proprio dovevo, preferivo vedervi dalla mia scatola:
cioè a distanza.
Poi ho conosciuto te e ho capito che, pur essendo totalmente diversi, hai le mie stesse paure.
Vecchi o giovani non ha importanza... questo mondo, quando fa paura, fa paura a tutti nello stesso modo!"

Ragazzi, Cesira aveva ragione.
Hai voglia ad atteggiarsi da indaffarato informatico!!
Vivere attraverso schermo e tastiera fa sentire protetti eccome!
Quello era proprio il mio nascondiglio preferito.

Mentre lei, con l'abitudine da vecchia comare, aveva sostituito la finestra (a cui stavano affacciate le donne un tempo nei paesi o negli antichi quartieri di Roma e di tutte le cittadine d'Italia) con la TV.
Molto più pratico.
Molto più sicuro.
"Devi uscire, Lì.
Non ti fa bene stare sempre quassù.
Io lo so come si chiamano i ragazzi come te, l'ho visto alla TV.
Non è sano."

In realtà, la prima volta che mi aveva parlato così mi ero molto arrabbiato.
Quindi le avevo risposto.
"E tu allora?
Che parli dei personaggi della TV come fossero tuoi parenti?
Ti preoccupi se quella avrà il bambino, se lui la lascerà, se il fratello tornerà a casa... cara Cesira, li racconti come se parlassi di amici tuoi!"

Ovviamente, alle mie parole anche lei si era risentita.
Ci siamo lasciati male quel giorno, ma a me era rimasta la curiosità.
Chi erano i ragazzi come me?
A cosa, a chi mi stava paragonando?
Ovviamente mi gettai a capofitto in Internet.
Non ci misi molto a capire cosa stava cerando di dirmi.

Grazie a Cesira ho saputo dell'esistenza degli Hikikomori, ragazzi che si ritirano nelle loro stanze e che rifiutano di vivere un'esistenza piena e normale.
Sono ragazzi che scambiano il giorno con la notte, ergo, vivono di notte e tendono a isolarsi da tutto e da tutti.
In Giappone, il numero di questi ragazzi è impressionante.
In Italia incominciano a nascere i primi casi...
Il fenomeno è prevalentemente maschile, per ora.

L'idea è quella di rinchiudersi nelle proprie stanze e di comunicare e vivere attraverso la vita virtuale che ci si crea in rete.
Un'occhiata alla TV, qualche libro di fumetti... e tutto il resto viene completamente accantonato.

 

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Immagine Li Hacker sul cornicione (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). L'immagine è vista da lontano: il ragazzo al computer, sul cornicione e dietro il profilo della città al crepuscolo.Particolare della città.Particolare del ragazzo.
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Da noi qualcuno li ha associati ai bamboccioni.
Secondo me il comportamento di un Hikikomori è molto diverso da quello dei bamboccioni.
Di fatto, l'isolamento degli Hikikomori è totale.
Spesso mangiano solo nelle ore notturne, specie se vivono in casa.
Questo accade proprio per evitare di incontrare familiari e affini.

Si raccontano casi di ragazzi che hanno comunicato con i propri genitori attraverso la porta delle propria camera per anni.
Sembra che il record massimo raggiunto sia stato di quindici anni, nella totale impotenza dei parenti...

Gli Hikikomori escono col buio come degli animali notturni e frugano nelle loro case come estranei.
Rubano, come ladri.

Cibo, sigarette, vestiti puliti...
Trovano tutto quello che gli serve nelle borse dei loro fratelli, nei frigoriferi delle loro cucine.
E negli armadi che di giorno vengono foraggiati da montagne di panni lavati e stirati dalle loro madri.

Un'altra cosa che caratterizza questi ragazzi è che sono tutti giovanissimi:
sotto i diciotto anni e, particolare non trascurabile, sono molto intelligenti.

Tanti non li comprendono.
Altri accusano le famiglie di inettitudine.

Gli specialisti, nel circoscrivere il fenomeno al Giappone, sostengono che è la risposta dei giovani più sensibili alla fortissima pressione sociale della società nipponica.

Molti, parlando del fenomeno dei Hikikomori, hanno paragonato questo comportamento alla bulimia e all'anoressia che funesta i ragazzi in Occidente.

Forse è così... certo è che il fenomeno sta prendendo piede anche nel mondo occidentale e fa particolarmente paura.

Una strana prigionia, un'aberrante reclusione auto imposta.
Tutto per difendersi dalla pressione che il mondo esercita sulla loro fragile e incerta crescita.

Un'esistenza nascosta, vissuta dietro un nickname che tutela la loro vera identità.
In queste stanze chiuse, cominciano a vivere in due e forse più, se si contano gli spettri che questi ragazzi si portano dietro...

Secondo gli studiosi nipponici, nessuno di questi ragazzi è mai guarito da questa patologia quando la situazione è diventata acuta.

 

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Li Hacker davanti al laptop (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vede il ragazzo, davanti al computer con aria pensierosa. Dietro di lui il profilo della città.Particolare della città.Particolare del volto.
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Praticano lo sport e i giochi attraverso dispositivi virtuali e tutto, inesorabilmente, viene effettuato nei pochi metri quadri che si sono concessi.

Questa clausura forzata colpisce, ovviamente, i soggetti considerati più fragili e timidi.
Spesso, dietro a questo rifiuto di affrontare la realtà, c'è un'incapacità di fondo di relazionarsi, di accettare e di combattere le proprie frustrazioni.

E c'è la sensazione di una realtà sempre più opprimente perché competitiva.
Stavo per scrivere una realtà veloce, ma non è esatto.
Questi ragazzi sono in realtà velocissimi, proprio come me, in talune connessioni.
Credo che l'unica velocità che li spaventi sia la richiesta pressante di essere al top.
Una sorta di ansia da prestazione che tende a paralizzarli.

Pare che la società nipponica, da questo punto di vista, sia estenuante e che favorisca moltissimo questa condizione.
Inoltre, a differenza di quella occidentale, il legame fra genitori e figli in Giappone è più coriaceo.
Insomma, l'idea di andarsene da casa a una certa età appartiene molto più a noi che a loro.
Purtroppo, oggi, variazioni sociali e condizioni economiche diverse, anche da noi stanno creando delle circostanze simili a quelle del sol levante.

Per fortuna, io ho avuto un'amica che, mettendomi sull'avviso, mi ha salvato in tempo!
Eh, sì, Cesira mi ha obbligato ad uscire... almeno per comprare le cartucce della stampante!
Certo, bisogna stare in allerta ragazzi, perché la vita, la vita vera, non è quella che viviamo dentro gli schermi dei nostri portatili.
Certi Avatar possono essere molto pericolosi...

Volevo ricambiare l'affetto di Cesira, le sue attenzioni.
Sapevo che avrebbe tanto desiderato imparare a usare il computer, così mi sono offerto di darle delle lezioni.
Il corso è stato molto divertente.

Ma Cesira mordeva il freno, aveva fretta.
Il computer per lei è ancora oggi un oggetto assai ostico.
Qualche volta ci si arrabbia a tal punto che decide di smettere d'imparare.
Altre volte si lamenta:
"Accidenti, se sapessi navigare quanto mi sarebbe utile..."

L'abbiamo risolta così:
In attesa che la sua mente si rilassi e sia pronta ad accettare un nuovo linguaggio, le ho suggerito di navigare col telefonino attraverso i portali vocali.
Per me è stato un must per molto tempo...
Ormai le opzioni sono molte e diverse, si fa un numero e ci si relaziona con un'interfaccia vocale.
Mi sembra che se la cavi benissimo, del resto lei adora telefonare...

E' buffo ragazzi, ma un amico lo puoi trovare davvero ovunque, basta tendere le orecchie e tenere il cuore socchiuso.
Un amico che t'impedisca di chiudere le porte al mondo.
Che ti dica:
"Ehi tu, sai che mi interessi?
Facciamo un pezzo di strada insieme?"
E forse, a pensarci bene, a me serviva solo una mano tesa... che, in questi tempi individualisti, non è poco.
Il mio migliore amico l'ho trovato su un tetto.
Si chiama Cesira.
E spero tanto che un giorno riesca a leggere quanto io ho scritto di lei in rete.

Ma la vera amicizia è anche saper attendere...
Ciao Cesira, ti aspetto qui, e grazie davvero! Li

 

 

 

 

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