INTERVISTA A DANIELE MENCARELLI

Poeta

Domanda: Ci vuole parlare di suo figlio, del vostro rapporto?

Risposta: Mio figlio ha un disturbo dello sviluppo, una patologia che rientra in quella enorme nebulosa che attiene alla crescita dei nostri figli. Una materia talmente complessa e in divenire che di anno in anno fa cambiare approcci diagnosti e terapeutici. Il disturbo di Nicolò, che inizialmente fu confuso con l’autismo, è di quelli che presentano, con le dovute terapie, un ampio range di miglioramento. Questo da un lato rende noi genitori ottimisti e fiduciosi. Dall’altro però, ci responsabilizza in modo totale, perché le nostre scelte, quel che possiamo o non possiamo permettere a nostro figlio, equivalgono alla sua condizione futura. Un peso micidiale. Mio figlio attualmente viene seguito da una neuropsichiatra e tre terapiste che svolgono settimanalmente tre terapie diverse. Tutto questo privatamente. Penso sia facilmente immaginabile la mole di sacrifici che ci troviamo ad affrontare tutti i mesi per far quadrare il nostro bilancio familiare.


Domanda: Immaginiamo i problemi burocratici...

Risposta: Lo affermo a malincuore ma le istituzioni, per chi si ritrova ad affrontare questo tipo di problemi, semplicemente non esistono. Quando ci sono, paradossalmente, è per complicare le cose. Un esempio abbastanza lampante, di un paio d’anni fa, è l’obbligo di far convalidare le diagnosi ottenute non solo nei centri privati riconosciuti ma anche negli ospedali pubblici e dalle proprie Asl territoriali. Ma questa convalida, che poi si sostanzia spesso in un semplice timbro, richiede tempo e pazienza. Molto spesso le Asl obiettano che non possono solamente prendere atto del lavoro altrui ma devono effettuare una nuova diagnosi per certificare la patologia. Spesso parliamo di attese di mesi e anni. Ma per chi come noi combatte con un disturbo dello sviluppo ogni giorno vale oro, perché la crescita di nostro figlio è una soltanto e attendere i tempi biblici dello stato può voler dire perdere tempo prezioso.


Domanda: Il rapporto con il mondo dei medici com’è stato?

Risposta: Abbiamo toccato con mano di quanta insensibilità possa essere dotato un medico, come le prime dottoresse che diagnosticarono a Nicolò l’autismo con lo stesso tatto e gentilezza con cui si dovrebbe diagnosticare a dir tanto un raffreddore. Sotto questo aspetto medici e paramedici devono ricordare tutte le volte che la loro ordinaria amministrazione equivale al bene più grande che un essere umano abbia in dote: un figlio piccolo, l’amore più grande di una vita intera. La nostra esperienza mi ha anche insegnato un’altra cosa. Spesso avere diagnosi precise e attendibili è difficile ma non impossibile. Per esempio il Bambin Gesù di Roma ha una struttura molto competente e disponibile, è grazie a loro se siamo riusciti ad inquadrare i problemi di Nicolò. Anche il Bambin Gesù però non tiene conto a sufficienza degli elementi contestuali che appartengono ad ogni singolo bambino. Anche qui faccio un esempio pratico, un ricordo che ancora oggi mi provoca una sofferenza enorme solo a rammentarlo. In una delle ultime visite che abbiamo fatto all’Ospedale Bambino Gesù conoscemmo una coppia di Catanzaro che aveva appena ricevuto una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Questi due genitori erano terrorizzati, perché sapevano perfettamente che nel loro territorio di strutture pubbliche capaci di fornire le terapie prescritte per il figlio non ce n’erano. Calatevi nella mente, nel cuore di un genitore che non sa come aiutare un figlio che richiede cure. C’è da impazzire.


Domanda: Nicolò è in età scolare. Ha trovato gli adeguati supporti, a cominciare dagli insegnanti, nell'integrarsi al meglio nell'attività scolastica?

Risposta: La scuola è l’altra declinazione infelice delle istituzioni in relazione a un disturbo dello sviluppo. Nicolò oggi frequenta la quinta elementare, oggi le cose vanno un poco meglio rispetto al passato. Ma abbiamo vissuto situazioni surreali. Gliene dico qualcuna. Negli anni dell’asilo una maestra ci disse che per lei Nicolò era autistico, poco le importava della diagnosi effettuata dal Bambin Gesù che diceva altro. In prima elementare ha avuto una maestra di italiano che a pochi mesi dall’inizio dell’anno scolastico interruppe con lui qualsiasi forma di didattica, come dire che per lei Nicolò era tempo perso. Un’altra maestra, questa volta di matematica, mi prese fuori dalla scuola e mi disse di portarmi via mio figlio perché, sue testuali parole, "me lo avrebbero rovinato". Parlo di maestre e strutture pubbliche ovviamente. Noi possiamo ritenerci fortunati, perché Nicolò con la crescita sta migliorando molto, e perché vivere vicino a una grande metropoli come Roma ci ha permesso di usufruire, privatamente s'intende, di terapie e professionisti che lo stanno aiutando molto. Ma se penso a tutti i genitori, magari alle prese con problemi più gravi rispetto a quelli di Nicolò come può essere l'autismo, non posso non provare una rabbia profonda. Perché quei genitori dovrebbero avere al proprio fianco degli alleati e non dei nemici, spesso da temere più della stessa malattia del figlio.

 

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