10 FEBBRAIO: IL GIORNO DEL RICORDO

Memoria di una tragedia umana, oltre i nazionalismi e la politica

Il tricolore e una croce issati sulla foiba carsica di Basovizza, in ricordo delle vittime.

 

Una storia troppo spesso manipolata

Ancora oggi – nonostante le numerose ricerche effettuate, specie a partire dagli anni Novanta – la ricostruzione degli eccidi delle Foibe presenta molti punti oscuri.

Nel corso del tempo, infatti, la vicenda è stata mano a mano riportata a seconda dell’ideologia politica di appartenenza, contribuendo a non chiarire del tutto le ragioni storiche dei ripetuti massacri avvenuti durante e immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale.

L’area interessata da questi eccidi è quella della Venezia Giulia e della Dalmazia, e segnatamente delle città di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume.

In questo lembo di terra, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si era sviluppata una disputa secolare tra le popolazioni italiane e slave (a loro volta minate da lotte intestine) per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale.

In principio le differenze di carattere sociale e linguistico non produssero attriti tra le differenti etnie, raggruppate intorno a una comunità italiana incline alla gestione economica e politica e a un’ampia comunità slava formata dal clero e da una borghesia crescente, a sua volta appoggiata dall’Austria.

Invece, in un secondo momento, prevalsero sentimenti di appartenenza nazionale alimentati dalle rivendicazioni della popolazione croata, dall’espansione di quella serba, dal governo asburgico, favorevole al nascente nazionalismo degli sloveni, e infine dall’irredentismo italiano, che fece da contraltare alla costante diminuzione della popolazione nazionale.

In territori etnicamente così misti, la Prima guerra mondiale portò a una nuova registrazione dei confini – persino con l’intervento del Regno di Ungheria, interessato allo sbocco marittimo di Fiume – insieme ad aspre contese diplomatiche, che scaturirono da processi più geopolitici che naturali e che produssero un inasprimento dei rapporti tra le popolazioni.

Un ulteriore peggioramento delle condizioni sociali fu dato dal fascismo, che dopo l’invasione della Jugoslavia (e la conseguente annessione della Slovenia, della Banovina di Croazia, della Dalmazia e delle Bocche di Cattaro) annullò l’autonomia linguistica e culturale degli slavi, esasperando l’avversione nei confronti dell’Italia.

Fu a partire dal 1941 che si inasprì la violenza tra tutte le parti in causa. Una lotta senza quartiere che coinvolse italiani, serbi, croati, cetnici, sloveni, nazionalisti monarchici, cosacchi caucasici, coloro che si rifacevano al cosiddetto regime ustascia (che rivendicava a sua volta l’autonomia di altre popolazioni slave residenti all’interno dei Balcani), e i partigiani di Tito, futuro Presidente della Jugoslavia.

Il clima di confusione politica e di odio razziale trovò un’ulteriore accelerazione dopo l’armistizio tra l’Italia e gli alleati dell’8 settembre 1943.

Tra le truppe tedesche che controllavano Trieste, Fiume e Pola, e i Comitati popolari di liberazione jugoslavi, sembrò che ciascuno avesse un sedicente pretesto, a margine di processi estremamente sommari, per condannare a morte centinaia di uomini e di donne: prevalentemente italiani e suddivisi tra esponenti del regime fascista, potenziali nemici del futuro stato comunista jugoslavo, funzionari e dirigenti del Regno d’Italia, Carabinieri o anche semplici cittadini finiti sventuratamente nelle liste dei sospetti.

In molti furono legati a un macigno e fatti annegare in mare. Ma la maggior parte di essi fu scaraventata nelle Foibe, come venivano chiamati i grandi inghiottitoi tipici del carso triestino, dove l’acqua penetra o sprofonda nel sottosuolo. Sovente gli sfortunati erano lanciati nel vuoto ancora vivi, negando loro qualsivoglia pietà.

Furono i nazisti, nell’autunno del ’43, i primi a ispezionare le Foibe e a ritrovare i corpi mostruosamente ammassati gli uni sugli altri. Ne approfittarono per effettuare una campagna di diffamazione, denunciando loro per la prima volta dei crimini contro l’umanità. Ma la rappresaglia che misero in atto fu altrettanto cruenta, al punto da portare la provincia di Gorizia a essere la prima in Italia per numero di morti nei campi di sterminio.

La carneficina, portata avanti con la stessa ferocia sia dei tedeschi sia dai partigiani slavi, terminò con l’arrivo degli alleati – che tuttavia non riuscirono a giungere fino a Fiume, dove infatti il bagno di sangue continuò ancora.

Alla fine della guerra il governo presieduto da Alcide De Gasperi, l’ultimo del Regno d’Italia, domandò riscontro proprio al Generale Tito dei circa 2.500 morti e dei 7.500 scomparsi. Tito riconobbe i massacri delle Foibe, non precisando il numero esatto delle vittime. Ammesso che lo sapesse o lo considerasse, da militare, un elemento significativo. Avrebbe provveduto la storia a ristabilire la verità.

 

Luce sugli avvenimenti con gli archivi Rai

Il giorno e la storia di GrParlamento (durata 3 minuti) introduce brevemente le vicende che si commemorano ogni 10 febbraio a partire dal 2004, anno in cui il Parlamento italiano ha stabilito di dedicare questa data al ricordo della tragedia delle Foibe.

Mentre si celebra la ricorrenza del 2018, possiamo riflettere con alcuni degli spunti che il palinsesto Rai ha proposto negli anni passati.
Radio1 ha affrontato il tema in molte delle trasmissioni del 10 febbraio dello scorso anno. Tra queste, ad esempio, Radio Anch'io (durata 21 minuti), che ha accolto ai microfoni il direttore dell’Archivio Storico del Museo delle Foibe di Fiume, Marino Micich, l’esule Ferruccio Conte e lo storico Gianni Oliva.
Italia sotto inchiesta (durata 57 minuti) ha, invece, ospitato Simone Cristicchi e utilizzato il suo spettacolo Magazzino 18 per parlare della tragedia delle Foibe.

Fahrenheit, il programma dedicato ai libri di Radio3, ha affrontato, ancora il 10 febbraio 2017, il problema legato al “Raccontare delle memorie ferite” (durata 35 minuti) con Raoul Pupo, docente di storia contemporanea all’Università di Trieste che ha dedicato diversi libri all’esodo istriano, e con lo scrittore Mauro Covacich, che nel suo romanzo La città interiore ha ripercorso il rapporto con le proprie origini.

Anche la rubrica I libri a GrParlamento ha presentato, nel corso degli anni, alcuni testi legati alla storia dei massacri negli inghiottitoi.
Il 12/04/2014 la trasmissione è stata dedicata a Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle Foibe di Giuseppina Mellace (durata 15 minuti) [Newton Compton editori, Roma 2014].
Il 14/02/2013 era stata la volta di Foibe. Una tragedia annunciata di Vincenzo Maria De Luca (durata 15 minuti) [Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2012].

A far conoscere i luoghi della memoria dell'esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale ha pensato Inviato Speciale di Radio1 che, in occasione del Giorno del Ricordo 2016, ha compiuto un itinerario tra Basovizza, Trieste e Gorizia: ecco il resoconto del viaggio (durata 14 minuti).

E’ ancora il 2016 ad aver visto portare in scena al giovanissimo regista Luca Andreini – per questo minacciato di morte – uno spettacolo teatrale dal titolo Rumoroso silenzio: una storia d’amore e di desiderio per riconquistare l’identità perduta dopo l’orrore delle Foibe e dell’esodo istriano. Lo ha raccontato al pubblico di Radio1 Restate scomodi del 10/02/2016 (durata 14 minuti).

Radio 2 ha affidato le testimonianze dei protagonisti scampati ai massacri all’inconfondibile verve di Pezzi da 90: riascoltiamo la puntata del 2016 “Nel giorno del ricordo per le vittime delle Foibe” (durata 13 minuti) e quella del 2015 “L'inghiottitoio” (durata 10 minuti).

Vi lasciamo, infine, all’ascolto dell’audiodescrizione della miniserie Rai Il cuore nel pozzo, incentrata sulla fuga di un gruppo di bambini dai partigiani di Tito, negli ultimi anni della seconda guerra mondiale. Prima puntata (durata 98 minuti) – Seconda puntata (durata 102 minuti)

 

 

Torna alla Homepage di Rai Easy Web