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Un romanzo gotico, omaggio agli anni '70

L'intervista a Loredana Lipperini sul RadiocorriereTv

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Questo romanzo si ispira a “Il segno del comando”, uno degli sceneggiati più belli e più amati prodotti dalla Rai nel 1971. Come nasce?
Questa idea nasce da una chiacchierata con Roberto Genovesi, direttore di Rai Libri, sul fatto che ci siano state nel passato della Rai delle produzioni che sono veramente diventate culto fra gli sceneggiati e che non soltanto hanno affascinato i telespettatori di allora, ma anche generazioni di persone le hanno viste in dvd, oppure che se le vanno a cercare su RaiPlay. Fra queste io sono sempre stata particolarmente legata a “Il segno del comando”, da quando lo vidi quattordicenne per la prima volta, perché sono una scrittrice e studiosa di letteratura fantastica e ho trovato straordinario che fosse stata proprio la Rai a tentare il primo esperimento di sceneggiato gotico nel momento del suo massimo fulgore. E da lì è nata l'idea di raccontare quella storia in un altro modo  sia alle persone che conoscono lo sceneggiato, sia a quelle che invece non lo hanno mai visto e che magari chissà a questo punto lo vedranno. Detto questo, il romanzo è fedele alla vicenda, ma è completamente autonomo.

Quindi quella che leggiamo è un’altra storia…
È una storia simile, perché dentro ci sono tutti i personaggi dello sceneggiato. C'è il professor Forster, c'è George Powell, e ci sono altri.  Ma è anche una storia molto diversa. L'ambientazione è la stessa ma con qualche elemento logistico in più. L'anno è sempre il 1971, però io ho aggiunto molte cose. I personaggi sono di più, ci sono molte donne che aprono ogni capitolo, personaggi che nello sceneggiato erano marginali, come la portiera, oppure personaggi completamente nuovi, come Morgana, che Foster incontra a Campo UN ROMANZO GOTICO,  omaggio agli anni ‘70 dei Fiori, una delle piazze che stranamente non c'era nello sceneggiato e che io ho inserito.

Il racconto è un’avventura che assume tinte sempre più misteriose…
Sì. Tanto che ho inserito gli alchimisti, perché Roma ne è stata sempre piena, dai tempi della Regina Cristina di Svezia che ha sempre attirato a sé tutta questa serie di studiosi, di ricercatori, di maghi, si possono chiamare in molti modi. L'altro elemento che ho inserito nel romanzo, sono gli occultisti filo-nazisti, perché il nazismo ha avuto un forte interesse esoterico. Mi sembrava il modo giusto per raccontare questa storia, cioè ampliarla, immaginare altre derivazioni, naturalmente immaginare anche un altro finale e dare un'altra identità alla misteriosa Lucia, che ovviamente si scoprirà solo alla fine. Questo libro è un omaggio. A chi? Alla capacità di inventare, agli autori dello sceneggiato, a Giuseppe D'Agata, a Daniele D'Anza e a quelli che sono riusciti a realizzare una storia di quel tipo in anni in cui era veramente difficile immaginarla. Un omaggio agli anni ‘70, perché quello era l'inizio di un decennio che viene raccontato solo come terribile. Qual è la vera essenza della realtà? Quella delle storie, perché “Il segno del comando” è soprattutto una grande, meravigliosa storia, e le storie spesso raccontano altri tipi di realtà, quella che non si vede, non si tocca, ed è forse una realtà che abbiamo bisogno di sentirci raccontare di nuovo, perché raccontare solo di se stessi o raccontare solo di ciò che si vede e si tocca, come direbbe il professor Forster, forse non ci porta molto lontani, forse abbiamo bisogno proprio di questo tipo di reincanto. Ha scritto diversi romanzi e racconti gotici. Perché questo genere? Mi appartiene tutto di quel genere, sia da lettrice, che da scrittrice, che da insegnante di letteratura fantastica. Sono sempre stata convinta che respingere il fantastico e il gotico in particolare, in favore del realismo, sia stato molto miope. Tra l'altro è una cosa molto italiana, in altri paesi non avviene, perché il gotico è in grado di raccontare, forse con forza addirittura maggiore rispetto al realismo, qual è lo spirito del tempo. Scrittrice, giornalista, conduttrice radiofonica, insegnante. Cosa c’è di tutto questo ne “Il segno del comando”? Un po' tutto. Ci sono io anche se non appaio e c'è lo sguardo di una ragazzina che a 14 anni cominciava a capire che stava arrivando un tempo dove molte possibilità potevano avverarsi. Diciamo che in parte si sono avverate e molte altre no, purtroppo. Questa storia si avvicina molto di più alla me che mi piace di più.