Milano e la trasformazione urbanistica degli ex scali ferroviari

di Claudia Di Pasquale 18 dicembre 2019 ore 18:17
Nel 2017 viene sottoscritto un accordo di programma per consentire la trasformazione urbanistica di sette ex scali ferroviari all'interno della città di Milano, estesi in totale 1,2 milioni di metri quadrati. Si tratta di fatto della più importante operazione immobiliare dei prossimi anni. Le aree interessate dall'accordo sono: Scalo Farini, Scalo di Greco-Breda, Scalo di Lambrate, Scalo di Rogoredo, Scalo di Porta Romana, Scalo e Stazione di Porta Genova, aree ferroviarie di San Cristoforo. La loro posizione è strategica, la maggior parte degli ex scali si trova infatti in zone semicentrali, quindi il loro cambio di destinazione urbanistica rappresenta senza dubbio un'occasione da non poter perdere per ricucire le fratture tra centro e periferia.

L'accordo di programma è stato firmato da: Comune di Milano, Regione Lombardia, Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., FS Sistemi Urbani Srl, Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., e dal Fondo Olimpia. Con il cambio di destinazione urbanistica negli ex scali si prevede un indice di edificabilità pari 0,65. A conti fatti significa poter edificare 674.460 metri quadri. In cambio Ferrovie dello Stato si impegna, oltre a dare gli oneri di urbanizzazione, a investire 50 milioni di euro nella cosiddetta Circle Line, una linea ferroviaria interna alla città di Milano, la cui forma è più simile a quella di un ferro di cavallo che a quella di un cerchio chiuso. Leggendo l'accordo si comprende che gli interventi promessi consistono nella riqualificazione o nell'adeguamento di alcune stazioni e nella realizzazione di due nuove fermate, previo studio di fattibilità. Secondo il professore Emilio Battisti del Politecnico di Milano, questi interventi sono troppo "minuti" rispetto al valore dell'intera operazione e all'aumento di valore delle aree generato dal loro cambio di destinazione urbanistica. Si stima infatti che l'intera operazione valga oltre due miliardi di euro. Un dato che appare ancora più grande se si pensa che Ferrovie non ha mai acquistato quelle aree ma le ha ricevute in concessione gratuita dal demanio all’inizio del secolo per effettuare il servizio ferroviario. 

In ogni caso in base all'accordo, Ferrovie si impegna a investire in servizi ferroviari anche il 50% delle plusvalenze, se queste dovessero mai superare i 50 milioni di euro, ma i conti saranno fatti solo alla fine delle operazioni di valorizzazione e trasformazione urbanistica delle aree. 
Il problema è come verranno conteggiate le eventuali plusvalenze. In un articolo pubblicato sulla rivista online arcipelagomilano.org, il professore Camagni del Politecnico di Milano ha criticato le modalità di calcolo definite nell'accordo, perché potrebbero portare a un azzeramento delle plusvalenze stesse: "Il testo costruisce una definizione del tutto fantasiosa e fuorviante del computo di tali plusvalenze: esse risulterebbero dalla differenza fra “i valori di cessione delle aree (…) e i valori netti contabili delle aree al momento delle cessioni delle stesse (VNC)” (art. 14.5.a dell’AdP). Questa definizione dei valori netti contabili (cioè in sostanza del valore economico dell’intero programma di trasformazione urbana) è quella che vige nella tassazione statale dei redditi di impresa e dei capital gain, ma non ha nulla a che fare con quella che governa la tassazione locale delle trasformazioni urbane, che fa riferimento alle plusvalenze realizzate grazie alla variante rispetto alle vigenti disposizioni di piano in materia di usi del suolo e volumetrie costruibili (2). Attraverso opportune rivalutazioni dei cespiti fondiari e immobiliari prima della loro vendita ogni impresa potrebbe sempre azzerare le plusvalenze ai fini del contributo da pagare al Comune!" 
 
Contro l'accordo di programma si è schierata anche l'associazione nazionale Italia Nostra, che ha fatto ricorso al Tar per annullarlo. Diverse le criticità sollevate dall’associazione, tra cui una “macroscopica elusione delle garanzie partecipative e di pubblicità”. Nello specifico Italia Nostra lamenta la mancata ripubblicazione del progetto di variante urbanistica, avvenuta solo alla fine del 2009. Il Tar ha però rigettato il ricorso ritenendo la procedura legittima.  

La trasformazione urbanistica degli ex scali può quindi prendere il via. Due i principi fondamentali da dover seguire: il 65% delle superfici devono essere destinate a verde, mentre il 30% delle superfici edificabili deve essere riservato all’edilizia convenzionata e sociale. Il professor Camagni però sottolinea come l’edilizia convenzionata non debba essere confusa con l’edilizia popolare,  destinata a chi non può permettersi una casa. Per poter conciliare inoltre il 65% di verde con i 674mila metri quadri previsti c’è solo un modo: costruire in altezza. 
 



Report torna lunedì 23 dicembre alle 21.20 su Rai3 con l'inchiesta di Michele Buono sulle città intelligenti e quella sulla terra dei fuochi firmata da Bernardo Iovene.

Altre news