Che spettacolo!

Un miliardo e duecento milioni: è il contributo di cui ha beneficiato l’industria cinematografica italiana negli ultimi cinque anni, più di tanti altri settori a cui è precluso l’aiuto di Stato. Con i soldi del contribuente è discutibile salvare una banca, secondo l’Unione Europea, ma sovvenzionare il cinema si può: è una questione di identità culturale. Che film abbiamo finanziato per il loro interesse culturale? Si va da “Sapore di te” di Carlo Vanzina, ad “Amici miei – come tutto ebbe inizio” di Neri Parenti, a “Il ricco, il povero e il maggiordomo” di Aldo Giovanni e Giacomo. E poi ci sono i contributi sull’incasso. “Cado dalle nubi” di Checco Zalone, una delle rare pellicole italiane che al botteghino è andata benissimo, ha ricevuto un milione e novecentomila euro: ne aveva bisogno? Ma la principale forma di sostegno che noi contribuenti garantiamo al cinema è il “tax credit” che vuol dire oltre cento milioni di sconti fiscali ai privati che decidono di investire nel cinema. Per ogni euro investito, lo Stato restituisce loro il 40%. Si scopre che a investire sono state soprattutto le banche: Unicredit, Bnl, Monte dei Paschi, la Popolare di Vicenza. Quanti dei soldi del tax credit sono finiti veramente ai film?

Intanto i leggendari studi cinematografici di Cinecittà cadono a pezzi nel degrado e hanno accumulato debiti per oltre 32 milioni. Come siamo arrivati a questo, in una realtà che è stata gestita da super manager come Luigi Abete, Diego Della Valle e Aurelio De Laurentiis? Anche Roberto Benigni è uno che ha investito del suo, ma quando le cose si sono messe male è riuscito a sfilarsi. Cinecittà invece pare che ce la dovremo ricomprare noi contribuenti.

24/04/2017: prima di chiudere una precisazione. Massimo Corridori, che avevamo intervistato nella puntata scorsa sul Cinema, all’interno di Cinecittà, ci dice che ha rilasciato le sue dichiarazioni in qualità di sindacalista Uilcom-Uil. Bene, ne diamo conto

28/02/2023: in merito all'anticipazione dell'inchiesta "Che Spettacolo!" del 10/02/2017 e dell'inchiesta andata in onda il 17/04/2017, si fa presente che Nicoletta Braschi e Roberto Benigni per acquistare e ristrutturare i teatri di posa di Papigno hanno utilizzato solo fondi personali. L’acquisto e la ristrutturazione dei teatri di posa di Papigno ha dato la possibilità di realizzare capolavori quali “La vita è bella”, “Pinocchio” “La tigre e la neve”. Nicoletta Braschi e Roberto Benigni sono riusciti a recuperare buona parte dell’ingente investimento effettuato in occasione dell’acquisto e della ristrutturazione dei teatri di posa di Papigno. A conclusione della realizzazione del loro ultimo film, Nicoletta Braschi e Roberto Benigni hanno venduto, nel 2005, i teatri di posa di Papigno a Cinecittà Studios, una Società per Azioni leader del settore, all’epoca a gestione privata. Dal momento dell’acquisto da parte di Cinecittà Studios, Nicoletta Braschi e Roberto Benigni non hanno avuto più alcuna responsabilità, nella gestione successiva di Cinecittà Studios. 
Report non ha mai affermato che Benigni e Braschi avessero usufruito di finanziamenti pubblici per ristrutturare gli studi di Papigno: ci rammarichiamo qualora siano nate delle incomprensioni a seguito del servizio e siamo lieti che queste ulteriori precisazioni abbiano consentito a Nicoletta Braschi e Roberto Benigni di rinunciare alle iniziative giudiziarie intraprese nei confronti di Report.