Antonio Pappano: Nielsen Concerto per flauto, Andrea Oliva flauto

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    Orchestra dell ’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

    Antonio Pappano
    Direttore

    Andrea Oliva
    Flauto

    Carl Nielsen
    (N∂rre Lyndelse, Odense 1865 - Copenhagen 1931)
    Concerto per flauto e orchestra
    Allegro moderato
    Allegretto
    (prima esecuzione nei concerti dell’Accademia)

     

    Le musiche in programma
    Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
    di Mauro Mariani


    Il Concerto per flauto e orchestra di Nielsen
    Data di composizione
    1894 - 1895
    Prima esecuzione
    Parigi, 1926
    Direttore
    Emil Telmányi
    Flauto
    Holger Gilbert Jespersen
    Organico
    Flauto solista,
    2 Oboi, 2 Clarinetti,
    2 Fagotti, 2 Corni,
    Trombone basso,
    Timpani, Archi

    A differenza di Jean Sibelius, l’altro grande compositore scandinavo suo coetaneo, Carl Nielsen non raggiunse facilmente un’ampia notorietà internazionale e fino a cinquant’anni fa la sua musica era assai poco nota fuori dalla Danimarca. Oggi è considerato non soltanto il maggior compositore che la Danimarca abbia mai avuto ma anche uno dei più importanti compositori in assoluto dei primi decenni del Ventesimo secolo.

    Forse nessun altro compositore ebbe origini altrettanto umili. Era nato in una famiglia povera e fu il padre – un imbianchino che suonava il violino e la tromba per arrotondare le sue magre entrate – ad insegnargli i primi rudimenti di questi due strumenti. A quattordici anni Carl era progredito abbastanza da entrare nella banda della Marina Militare Danese, a diciannove fu ammesso con una borsa di studio al Conservatorio di Copenhagen, due anni dopo si diplomò in violino e cominciò a suonare in orchestra per potersi pagare gli studi privati di composizione, coltivando nello stesso tempo i suoi insaziabili ed eclettici interessi letterari, artistici e filosofici. Per venticinque anni fu legato all’Orchestra Reale di Copenhagen, dove entrò come violinista nel 1889, per poi assumerne la direzione stabile dal 1908: quest’esperienza gli permise d’imparare a padroneggiare magistralmente i più sofisticati effetti orchestrali. Nel 1914 lasciò l’orchestra per accettare la direzione del Conservatorio, che gli permetteva di dedicarsi con maggiore tranquillità alla composizione.

    Un anno particolarmente importante sia per la sua vita privata che per la sua produzione artistica fu il 1922: gli fu diagnosticato un grave disturbo cardiaco, si riconciliò con la moglie dopo quasi sette anni di separazione, imparò a guidare, diresse con grande successo la prima esecuzione della sua Quinta Sinfonia e completò un lavoro per il Quintetto a fiati di Copenhagen,oncerto per faun ensemble che l’impressionò per l’altissima qualità dei suoi componenti, tanto che decise di comporre un Concerto per ciascuno dei cinque strumentisti, in modo da evidenziare le caratteristiche dei singoli strumenti e anche da tracciare una sorta di ritratto musicale degli strumentisti, di cui nel frattempo era diventato amico. Ma solo il Concerto per flauto e quello per clarinetto furono completati, rispettivamente nel 1926 e nel 1928. Il Concerto per flauto e orchestra fu iniziato a Monaco di Baviera e portato avanti in Italia, prima a San Gimignano, dove la figlia e il genero del compositore passavano le vacanze estive del 1926, e poi a Firenze. La prima esecuzione era fissata a Parigi il 21 ottobre di quell’anno ma per quella data il lavoro non era finito e il compositore fu costretto a inventare una conclusione provvisoria. Nielsen rimase soddisfattissimo dell’esecuzione e dell’accoglienza: «Il concerto di questa sera è stato una delle grandi esperienze della mia vita. La celebre Orchestra del Conservatorio ha suonato magnificamente. Emil Telmányi [il direttore d’orchestra, che era il genero del compositore] ha iniziato le prove in modo un po’ freddo ma alla fine era sempre più entusiasta! Era presente la crema della società musicale; Roussel e Honegger e molti direttori tedeschi mi hanno fatto i complimenti e i due compositori menzionati hanno parlato benissimo di me». In effetti Arthur Honegger scrisse nella sua rubrica su un giornale parigino che “il Concerto per flauto [...] è pieno di belle combinazioni, per esempio il dialogo tra il flauto e i timpani o il fagotto [...] Noi ammiriamo Carl Nielsen come un tecnico di prima categoria e come un artista la cui abbondante inventiva è costantemente rinnovata. La sua intera opera dà l’impressione di benessere, forza e superiorità”. La versione completa, col finale definitivo, fu ascoltata per la prima volta il 25 gennaio 1927 a Copenhagen: in quest’occasione dirigeva il compositore, mentre il solista, come a Parigi, era l’ispiratore e destinatario del pezzo, Holger Gilbert Jespersen (1890-1975), descritto da chi lo conobbe come una persona di animo gentile, dotata di uno speciale senso dello humour, ma anche ricca di ombre e di lati sfuggenti. In più era un eccellente virtuoso del suo strumento, preciso, raffinato e musicale. Questo è il personaggio che Nielsen ha voluto ritrarre nel Concerto per flauto. Ma cercare in questa musica una linea descrittiva o programmatica potrebbe portare fuori strada, perché il compositore più che al carattere dello strumentista pensava alle qualità dello strumento: “Il flauto non può rinnegare la propria natura. La sua patria è l’Arcadia e preferisce le atmosfere pastorali. Quindi il compositore deve obbedire alla sua natura gentile, a meno che non voglia essere considerato un barbaro”. Proprio per rispettare la personalità e la sonorità del flauto, scelse un’orchestra di dimensioni mozartiane (il trombone è l’unico strumento che non ha riscontro nelle sinfonie e nei concerti del salisburghese). Il primo dei due movimenti, Allegro moderato, si apre con un’aspra dissonanza tra un mi bemolle tenuto dagli ottoni e dagli archi gravi e un passaggio in re minore dei legni e degli archi acuti, ma quest’atmosfera tesa e drammatica è rapidamente dissipata dall’entrata del flauto con un tema luminoso, spigliato e sbarazzino. Nielsen descrisse questa cdprima parte come “composta in uno stile libero e improvvisato, con il solista che si muove come se cercasse qualcosa, finché trova e afferra un motivo più deciso”. Solista e orchestra trasportano questo tema dall’iniziale mi minore ad altre e lontane tonalità, lo sviluppano e lo alternano ad un pacato e gentile secondo tema. Dopo momenti di tensione, quando l’orchestra entra in contrasto col solista, si giunge ad un’ampia cadenza, in cui però il flauto non è solo ma dialoga prima con i timpani, poi con il clarinetto. La conclusione, in un’atmosfera di coinvolgente malinconia, è in sol bemolle maggiore, com’è tipico dell’idea di Nielsen di una “armonia progressiva”, che si muove in direzioni sempre diverse, concludendo in una tonalità che, a differenza dell’armonia classica, non deve necessariamente essere quella dell’inizio.

    Il secondo movimento, Allegretto, ha frequenti cambiamenti di tempo e d’umore, che gli danno un carattere volubile e inafferrabile. Inizia con una serie di aspre interiezioni degli archi, che però si attenuano presto, passando dal fortissimo al piano, e cedono il passo a un tema del flauto quasi infantile, dal tono innocente, amabile e venato da un gentile umorismo. Il movimento continua con una serie di dialoghi tra il flauto, spesso impegnato in passaggi di alto virtuosismo, e gli altri strumenti, soprattutto i fiati. La parte finale è un tempo di marcia, che inizia pianissimo ma rapidamente sale al fortissimo, senza però intaccare l’atmosfera fondamentalmente serena del brano. Dopo un grottesco dialogo tra il gentile flauto e il ruvido trombone, e successivamente i timpani, gli archi ritornano ad una versione più delicata del tema di marcia (tutta questa parte mancava nella prima esecuzione a Parigi e fu aggiunta solo nella versione definitiva). Un’ultima brillante idea è far suonare forte il flauto nelle ultime due battute, mentre l’orchestra si spegne in un sussurro.

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