8 - 14 ottobre 2022

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L'Unabomber italiano

È Gianni Riotta, storico corrispondente dagli Stati Uniti per giornali e tv, a spiegarci come nasce il termine unabomber: è una sorta di acronimo di University and Airline Bomber cioè i luoghi, università e voli aerei, oggetto degli attentati di Theodore Kaczynski, un matematico di Chicago il quale, fra il 1978 e il 1995, ha ucciso tre persone e ferito una ventina prima di essere scoperto dall’FBI.

Riotta fa il suo racconto all’interno di “Unabomber” (Rai 2 giovedì 13 ottobre ore 21.25, disponibile su RaiPlay da venerdì 14), terzo documentario della serie “L’Italia criminale”, coprodotto da Rai Documentari.

Scritto da Pino Rinaldi, Luciano Palmerino e Valentina Magrin per la regia di Alessandro Galluzzi, la voce narrante di Lucio Saccone ci riporta dentro un incubo che tale è stato per l’Italia e ancora di più per il nostro nordest, duramente colpito da questo maniaco degli esplosivi che ha il solo discutibile merito di non aver provocato morti, a fronte comunque di decine di feriti anche gravi, i cui segni quelle vittime porteranno per sempre sulla loro pelle

Il documentario di Galluzzi non concede nulla all’immaginazione dello spettatore, anzi fa vedere in tutta la sua crudezza i primi piani di arti amputati (tremendo l’avambraccio, o quello che resta, di Anna Pignat) e la rabbia mista a rassegnazione di tutti verso questo mistero che difficilmente verrà mai risolto, con l’unica consolazione di sembrare ormai appartenere al passato.

Le imprese criminali di Unabomber iniziano il 21 agosto 1994 a Sacile quando, nell’affollato mercato degli osei (uccellini in dialetto veneto/friulano) esplode un tubo d’acciaio di pochi centimetri lasciato in terra; gli inquirenti pensano a un folle gesto isolato che non avrebbe avuto seguito. Invece, lo ebbe poco più di un anno dopo a Pordenone dove fu rinvenuto un tubo analogo a quello di Sacile, per fortuna non esploso; furono i Carabinieri del posto a commettere il grave errore di farlo brillare, perdendo così l’occasione di analizzarlo per poter risalire al colpevole.

Stupisce la leggerezza degli uomini in divisa, specie i clamorosi precedenti che hanno riempito le cronache e i libri di Storia degli anni di piombo, come ad esempio per la strage di Piazza Fontana del 1969 quando fu fatta esplodere la borsa contenente un ordigno e ritrovata in una banca adiacente a quella dell’Agricoltura in cui avevano appena trovato la morte 17 persone; o anche gli idranti che, nel 1974, pulirono Piazza della Loggia a Brescia subito dopo lo scoppio della bomba che aveva provocato 8 morti. Fretta, pressapochismo, inesperienza, sono le caratteristiche che legano eventi del genere.

In “Unabomber” è lunghissimo l’elenco degli intervistati; il lavoro degli autori, dei quali Rinaldi compare anche di fronte la telecamera, è preciso, non tralascia nulla di questa vicenda durata dodici anni durante i quali ci sono stati ben 30 attentati, alcuni davvero clamorosi come quello ai danni del tribunale di Pordenone dove, in una delle toilette, fu rinvenuto un ordigno con ben cinque inneschi, un attacco diretto, frontale e naturalmente provocatorio che il misterioso attentatore aveva voluto fare a chi gli stava alla costole.

Su questo episodio si inserisce Danilo Coppe, geominerario esplosivista, autorità indiscussa nel nostro paese, il quale si sofferma particolarmente su questo attentato proprio per la sua particolarità. Coppe, che è anche uno “storico della dinamite” (da leggere il suo “Crimini esplosivi”), avendo studiato i grandi eventi del passato più o meno recente, dalla citata strage di Piazza Fontana al crollo del Ponte Morandi, è anche fermo nel respingere la tesi dell’esistenza di un secondo Unabomber che avrebbe iniziato a colpire dopo quei misteriosi quattro anni di assenza di attentati: secondo lui la mano è sempre stata la stessa.

Quando nelle indagini si brancola nel buio, però, vengono a galla ipotesi spesso fantasiose, di certo mai supportate da prove certe e il caso Unabomber non ha fatto eccezione. Dopo l’attentato al tribunale di Pordenone, infatti, si arrivò a ritirare fuori lo stantio teorema dei servizi segreti ovviamente deviati e per non farsi mancare nulla anche Gladio, perché dopo tutto siamo nel Nordest. Il teorema nasce da semplicistiche considerazioni come, ad esempio, quella che punta il dito sulle telecamere di sicurezza del tribunale pordenonese che, pur funzionanti, non erano rivolte verso il posto giusto. Fin troppo facile la creazione del sillogismo “l’attentatore sapeva e per saperlo doveva frequentare spesso quel tribunale”.

La giornalista Michela Nicolussi Moro è la reporter che racconta dall’inizio alla fine la storia di Unabomber; a lei segue Felice Casson, magistrato veneziano il quale descrive l’arrivo sulla scena di Ezio Zernar, perito balistico del tribunale, successivamente condannato a due anni di reclusione per manomissione delle prove di reato ai danni di Elvo Zornitta, il grande accusato di questa storia, poi risultato innocente. Curiosamente anche il caso Zernar ne rievoca uno analogo accaduto molti anni fa sempre in Friuli, quando il perito Marco Morin occultò alcune prove durante le indagini sulla strage di Peteano e i suoi presunti legami con Gladio, un’inchiesta coordinata dallo stesso Casson.

La seconda parte del documentario di Galluzzi approfondisce come meglio non potrebbe la vicenda di Zornitta e Zernar, con il primo che, trattenendo a stento le lacrime, ripercorre il suo calvario di presunto colpevole con l’aiuto del suo avvocato Maurizio Paniz; un lamierino e un taglio effettuato su di esso sono le due cose sulle quali si è dibattuto per l’innocenza o meno di Zornitta. Alla fine quello che restano sono le vittime, le loro cicatrici, rimarginate fisicamente ma non certo psicologicamente. Lo si capisce dall’abbraccio e dal pianto con cui Francesca Girardi, ferita da un pennarello evidenziatore raccolto in terra quando era poco più di una bambina, abbraccia a Venezia Gary Wright, una delle vittime di Kaczynski


UNABOMBER di Alessandro Galluzzi – 2022 – 110’
Con Gianni Riotta, Michela Nicolussi Moro, Danilo Coppe, Felice Casson

Chi è stato Theodore Kaczynski, universalmente conosciuto come Unabomber? A raccontarlo è Riotta, da anni corrispondente dagli Stati Uniti, il quale traccia un ricordo dell’attentatore di Chicago utile a introdurre la vicenda dell’Unabomber italiano, rimasto a tutt’oggi senza un nome. Il 21 agosto 1994 al mercato degli osei di Sacile esplode un rudimentale ordigno costituito da un tubo d’acciaio, ci sono alcuni feriti non gravi e la cosa viene derubricata come un atto isolato seppur pericoloso. La narrazione prosegue attraverso le parole della giornalista Nicolussi Moro che fa da collante per tutta la storia dell’Unabomber del nordest. Coppe, esperto di esplosivi, espone in maniera chiara per chiunque come sono stati fabbricati i vari ordigni, ed è uno di quelli che non ha mai creduto all’esistenza di mani diverse negli attentati. Casson è il magistrato veneziano che racconta l’esito delle varie indagini e lo scontro con la procura di Trieste.

Produzione Rai Documentari/Verve Media Company. Prima tv Rai2 13 ottobre 2022.

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