7-13 maggio 2022

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copertina I dilemmi di Gianrico
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I dilemmi di Gianrico

“Dilemmi” è la prima esperienza da conduttore televisivo. Come si è trovato in questa nuova veste? 
Devo ammettere che è stata una cosa abbastanza strana. Mi è capitato spesso di essere ospite in trasmissioni televisive e, almeno all’inizio, pensavo che la conduzione non fosse una condizione molto diversa. Ero certo che non avrei avuto alcun problema, ed effettivamente problemi particolari non ce ne sono stati, ma devo ammettere che ho avvertito, soprattutto dopo, alla fine delle registrazioni, una sensazione di disagio, come di essermi avventurato in territorio non mio. È il motivo per cui non ho rivisto le puntate, e le guarderò anch’io in onda in tv. Ma è stato sano, perché tendo a volte ad affrontare le sfide in modo un po’”spaccone”. 

Com’è nato “Dilemmi”? 
L’idea di una rubrica, di una trasmissione radiofonica o televisiva sul tema l’avevo già da tempo in testa, ma credevo fosse destinata a rimanere lì, per sempre. Poi un giorno, in un contesto non lavorativo ma sociale, ho incontrato l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, che conoscevo dai tempi del Teatro Petruzzelli di Bari, e parlando del nuovo corso della Rai mi ha chiesto se avessi in mente un progetto da proporre. Così, chiacchierando tranquillamente, gli ho raccontato in poche parole quello che avevo immaginato da tempo e cioè un modo diverso di fare talk show e di introdurre un dibatto sereno e civile attorno a contenuti e interrogativi importanti. Qualche giorno più tardi mi ha richiamato e chiesto di dare vita al progetto. Ecco la genesi, quasi casuale, di “Dilemmi”. 

Sei puntate, sei grandi interrogativi: come si è destreggiato nella scelta degli argomenti da trattare?
Li abbiamo individuati e scelti insieme con tutti gli autori, ma alcuni “dilemmi” sono quelli a cui pensavo quando ho immaginato per la prima volta lo schema del progetto, come quello dell’obbligo di dire la verità o meno, o il dilemma sull’eutanasia. Altri, invece, come il dilemma legato al mangiare carne o no, o quello sulla cannabis, o sull’impegno degli intellettuali sono nati da un confronto autorale. Tutti temi che ci hanno permesso di portare il dibattito ad un livello alto, ma straordinariamente comprensibile. E questa è una cosa davvero importante perché consente di arrivare a tutto il pubblico, anche a quella parte meno “attrezzata”. 

Che ascolti si aspetta?
Non so cosa aspettarmi, a dir la verità. La tv non è il mio mondo. Se fosse stato un libro le avrei potuto dire le prospettive con cognizione ragionevole, ma la televisione è cosa alquanto diversa. Con un programma può davvero succedere di tutto. Ci sono molte variabili che mi sfuggono. Diciamo che sarei stupito se andasse male e sarei altrettanto stupito se andasse eccezionalmente bene. Tutto il resto…
(la prima puntata è stata vista da 800mila spettatori, con il 6,2% di share, ndr) 

“Dilemmi” prevede regole ferree per il dibattito-confronto, musica per scandire i ritmi del ragionamento: può essere un metodo di analisi dei “grandi interrogativi” estendibile oltre lo studio televisivo, nella vita di tutti i giorni?
Sicuramente sì. La struttura del programma è anche rispettosamente pedagogica. L’idea è quella di proporre un metodo che vada al di là della formula del dibattito televisivo, per suggerire che il conflitto si affronta in modo diretto, non si elude e lo si affronta con le regole della buona argomentazione. Che sono regole in positivo, ovvero quello che si deve fare, e in negativo, cioè quello che invece non si deve fare. Non è un caso che nella seconda parte del programma, in ogni puntata, dopo il dibattito tra i due ospiti, c’è una striscia in cui io, con l’aiuto di Lella Costa che mi fa interlocutrice su questo, spiego una fallacia del discorso: cioè uno degli errori logici, o degli espedienti illeciti che vengono sviluppati nelle conversazioni perché semplicemente sbagliamo a pensare o perché cerchiamo di manipolare l’avversario e vincere scorrettamente un dibattito. Ecco, in “Dilemmi” sono spiegati sei degli artifici più comuni, che sono come dei modi di barare alle carte. Se io so come l’altro sta barando e mi viene spiegato sarà molto più difficile che riesca a imbrogliarmi. E dall’altra, se sono consapevole del tipo di errore che può riguardarmi, magari anche inconsapevolmente, forse riuscirò a ridurne l’impatto. Quindi sì, l’ambizione forse un po' alta, è quella di offrire un metodo per discussioni civili, che vada al di là della semplice fruizione della trasmissione. 

Carofiglio li affronta così, i suoi dilemmi? 
La teoria va benissimo, ma che io sia sempre capace di applicare questo metodo nella risoluzione dei miei dilemmi è tutto un altro discorso. Cerco di farlo, mi sforzo, ma ovviamente c’è sempre uno scarto tra tutte le perfette regole a cui sappiamo doverci attenere e il modo in cui ci comportiamo in concreto.

 

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