“Pure questa è cos’e nient’. È sempre cos’e nient’. Tutte le situazioni le abbiamo sempre così risolte. È cos’e nient’. Non teniamo che mangiare: è cos’e nient’. Ci manca il necessario: è cos’e nient’. Il padrone muore e io perdo il posto: è cos’e nient’. Ci negano il diritto della vita: è cos’e nient’. Ci tolgono l’aria: è cos’è nient’, che vvuò fa. Sempre cos’e nient’. Quanto sei bella. Quanto eri bella. E guarda a me, guarda cosa sono diventato. A furia di dire è cos’e nient’ siamo diventati cos’e nient’ io e te. Chi ruba lavoro è come se rubasse danaro. Ma se onestamente non si può vivere, dimmi, dimmi vabbuò è cos’e nient’. Non piangere è cos’e nient’. Se io esco e uccido a qualcuno è cos’e nient’. E se io impazzisco e finisco al manicomio e ti chiedono perché vostro marito è impazzito tu devi dire: è impazzito per niente. È cos’e nient’. È niente”.
È il monologo che lo stesso
Eduardo De Filippo ha interpretato nell’originale televisivo
Peppino Girella andato in onda in sei puntate sul
Secondo Programma televisivo (
Rai 2) sessant’anni fa, esattamente i
l 14 aprile 1963.
Peppino è un bambino che aiuta i suoi genitori, lavorando in un bar e campando di mance. Col suo lavoro, il ragazzo si trova a frequentare gli ambienti più diversi come uffici,
ateliers, palcoscenici di terz’ordine e a essere testimone di piccoli drammi attraverso una galleria di personaggi sullo sfondo della Napoli tipica dei drammi di Eduardo.
“Basta girare per questa città - dice Eduardo (
Radiocorriere, 1973 in occasione della replica dieci anni dopo) – per vedere una folla di Peppini Girella, questi ragazzini in giacca bianca che entrano ovunque, che vedono tutto, che ascoltano i discorsi dei grandi, spesso senza comprenderli e senza che noi grandi ce ne accorgiamo”.
De Filippo si serve del ragazzino, figlio di una camiciaia e di un disoccupato cronico per esplorare l’universo umano dei “bassi” napoletani. Nel dramma di un arrancare quotidiano, la chiave di volta della storia sta nel contrasto tra la forza positiva e allegra del figlio e la mortificazione del padre, irrisolto perché ferito nell’orgoglio di non poter provvedere al sostentamento della sua famiglia.
“Questo padre – racconta Eduardo – è un particolare tipo di disoccupato; un uomo appartenente a una generazione rimasta fuori, per ragioni storiche, da una serie di provvidenze sociali oggi largamente acquisite dalle giovani leve del lavoro. Egli si trova irrimediabilmente tagliato fuori dalla società e persino dalla famiglia, costretto a subirne l’aiuto”.
Nei sei atti di De Filippo sfilano una serie di personaggi e di storie parallele, il cast, accuratamente selezionato per rendere la vicenda intimista che Eduardo aveva in mente, comprende una lunghissima lista di nomi da
Angela Luce a
Giuliana Lojodice da
Luisa Conte a
Enzo Cannavale oltre molti attori della compagnia De Filippo. Lo “scugnizzo” è interpretato da
Arturo Fusco, al suo debutto televisivo, trovato dopo una lunga serie di provini e di ricerche in giro per Napoli, figlio di una domestica dello stesso drammaturgo, scelto per i suoi occhi di bambino cresciuto troppo in fretta.
Per ulteriori approfondimenti:
https://www.teche.rai.it/biblioteche-rai/ http://www.radiocorriere.teche.rai.it/
PEPPINO GIRELLA - Radiocorriere