15 - 21 ottobre 2022

Settegiorni

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copertina Il mistero Moby Prince
PER NON DIMENTICARE

Il mistero Moby Prince

“È convincente l’ipotesi che tutto sia ruotato attorno al contrabbando. È l’unica soluzione logica. Se fosse stato un mero incidente, perché tante coperture?”. È la domanda che Luchino Chessa, figlio minore di Ugo Chessa, comandante del traghetto Moby Prince, si fa nel rispondere a un’intervista concessa a La Stampa all’indomani della conclusione della seconda Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla tragedia accaduta sulla nave, che ha escluso l’ipotesi dell’incidente causato dalla nebbia e/o dell’errore umano.

A ripercorrere la storia del traghetto Moby Prince è il documentario “Il mistero Moby Prince” (Rai 2 giovedì 20 ottobre ore 21.20, disponibile su RaiPlay da venerdì 21 ottobre), quinto episodio di “L’Italia criminale”, la serie coprodotta da Rai Documentari che rievoca sette celebri e tragici fatti accaduti nel nostro paese, fra la fine degli anni Sessanta ai nostri giorni.

Diretto da Jovica Nonkovic, la vicenda del Moby Prince è introdotta da Salvo Sottile che ha il compito di tenere le fila di un racconto altrimenti ingarbugliato anche, ma non solo, per i trent’anni trascorsi dai fatti.

La sera del 10 aprile 1991 nel porto di Livorno sta salpando il traghetto Moby Prince con destinazione Olbia, a bordo 141 persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio. Alle 22.25 Ugo Chessa ordina una manovra come se dovesse tornare improvvisamente al porto e nel farlo urta la petroliera Agip Abruzzo: è l’inferno.

Dalla seconda imbarcazione fuoriesce una gran quantità di petrolio che invade la Moby Prince, lo sferragliamento fra le due navi fa il resto, provocando un terribile incendio che causerà la morte delle 140 persone della Moby Prince con l’unico superstite Alessio Bertrand, mozzo napoletano, che riesce a gettarsi in mare.

Prima di essere trasportato in ospedale, Bertrand grida che sulla nave ci sono altri superstiti. E qui siamo al secondo mistero. La ricchezza del lavoro scritto da Lorenzo De Alexandris, Andrea Felici e Salvatore Gulisano rende complicato elencare tutti gli intervistati e riportare le loro dichiarazioni che sono alternate alle immagini di repertorio, alcune inedite, altre dimenticate, tutte interessanti. Quelle girate da Alessandro Gaeta per “Samarcanda”, il programma di Rai 3, sono un vero e proprio pugno nello stomaco; il giornalista, all’epoca trentunenne, era salito a bordo della Moby Prince esattamente alle ore 16 del giorno successivo al rogo, con le lamiere ancora calde. Seppur evitando macabri dettagli, le telecamere di Gaeta non indugiano a inquadrare quei corpi straziati dalle fiamme, poi pietosamente coperti da teli di gomma.

Intanto nei telegiornali nazionali si fanno le prime ipotesi, fra tutte quelle della nebbia e dell’errore umano “nei disastri marini c’è quasi sempre l’errore umano”, “molti dei passeggeri sono rimasti in trappola perché erano radunati nel salone a guardare la semifinale di Coppa Coppe Barcellona-Juventus”.

Angelo Chessa, figlio maggiore del comandante della Moby Prince, nel 1991 aveva venticinque anni, conosceva bene suo padre, sapeva della sua lunga esperienza in mare, la questione della nebbia non lo convinceva per due ragioni: suo padre era avvezzo a navigare con la scarsa visibilità visti i numerosi viaggi fatti in passato fra Dover e Calais, ma soprattutto non c’erano prove della presenza di nebbia; anzi, esistono testimonianze che dicono l’opposto, come quella di Roger Olivieri, ex guardiamarina presente a Livorno quella sera, il quale non solo esclude anche un’eventuale foschia, ma velatamente accusa l’insistenza da parte degli inquirenti a convincerlo del contrario. Al massimo saranno stati i fumi dell’incendio a causare una comunque minima scarsa visibilità, non certo la nebbia. Qui si inserisce un altro punto fondamentale di questa storia, ovvero il mancato tempestivo soccorso, e su questo il rammarico è davvero profondo per Luchino Chessa il quale, nel difendere suo padre, ricorda che i passeggeri avevano seguito perfettamente il regolamento di navigazione che si applica nei casi di collisione: raduno nel salone più grande, giubbotti di salvataggio indossati e tutti in attesa dei soccorsi. È così che sono stati ritrovati.

Fra i vari momenti toccanti de “Il mistero Moby Prince” ci sono quelli delle testimonianze dei parenti delle vittime che, nel freddo elenco stilato dalle autorità competenti, hanno tutte un numero di appartenenza. Paola Bruno è la mamma di Alberto, passeggero n.83; Giuseppe Tagliamonte è il fratello di Giovanni, membro dell’equipaggio n.5; Francesca Cini è la figlia di Antonio, passeggero n.21 e così via. Tutti hanno qualcosa da raccontare sui loro cari, con la signora Bruno che avrebbe preferito avere un figlio disoccupato ma vivo, anziché vederlo andare in Sardegna a lavorare. Francesca provò pentimento per aver esultato alla partenza del padre, che di fatto la lasciava libera di guardare in tv i suoi amati manga giapponesi, detestati dal papà. Tagliamonte si rammarica di aver accompagnato suo fratello alla nave, rimanendo poi in ginocchio sulla sua salma per un quarto d’ora. Fra i famigliari delle vittime, davanti alle telecamere di Nonkovic, Tagliamonte è forse quello che mostra più grinta, più rabbia, lo si capisce bene quando ricorda che, nei casi come quello della Moby Prince, di solito ben l’80% dei famigliari si rassegna facilmente ad accettare il risarcimento economico, rinunciando ad andare fino in fondo a cercare la verità. Prerogativa questa che non hanno avuto i due Chessa, con Angelo subito in trincea a combattere la sua battaglia.

Riguardo gli esperti, Gregorio De Falco, ex comandante di capitaneria di porto, punta il dito sulla mancanza di soccorsi, fra gli intervistati è forse il più duro e spietato critico di come è stata gestita la situazione quella notte. Marco Giunti è il legale dei famigliari delle vittime, è uno di quelli che ha combattuto la sua battaglia nelle aule dei tribunali, luoghi di cui Angelo Chessa ha un ricordo se possibile più negativo della vicenda stessa, con i magistrati che percorrevano (ma non soltanto loro) pervicacemente la strada della fatalità, unita all’errore umano. Finalmente arrivano le conclusioni della seconda Commissione d’Inchiesta che ha sancito che le navi coinvolte nel fatto sono almeno tre, con la terza ancora da identificare ma certamente co-responsabile della collisione.

Ne “Il mistero Moby Prince” Angelo Chessa si dichiara ottimista nell’intravedere l’inizio dei titoli di coda di questa storia. Purtroppo, però, ancora una volta il destino si è accanito sui Chessa quando ha deciso che il cancro contro cui Angelo stava lottando da otto anni, doveva vincere la battaglia. A detta di tutti, i funerali di Angelo sono stati quelli del secondo comandante della Moby Prince. 

IL MISTERO MOBY PRINCE di Jovica Nonkovic – 2022 – 96’
Con Salvo Sottile, Angelo Chessa, Alessandro Gaeta, Marco Giunti

Sottile introduce la tragica vicenda del traghetto Moby Prince che nella tarda serata del 10 aprile 1991, salpando dal porto di Livorno, andò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Delle 141 persone a bordo della Moby Prince, 140 morirono a causa delle fiamme e del fumo sprigionato dall’incendio esploso immediatamente dopo la fuoriuscita del petrolio dall’altra imbarcazione. Le prime indagini adombrarono l’errore umano ed è proprio su questo punto che inizia la battaglia di Chessa, figlio maggiore del comandante della Moby Prince, e dell’avvocato Giunti, legale rappresentate dei famigliari delle vittime. Una battaglia durata più di trent’anni e ancora non terminata del tutto. Il documentario alterna interviste recentissime a filmati di repertorio, incluso quello girato da Gaeta per Samarcanda.

Produzione Rai Documentari/Stand By Me. Prima tv Rai2 20 ottobre 2022.

FONTI
La Stampa, 17 settembre 2022

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