24 - 30 settembre 2022

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CINEMA E TV

Dillinger e' morto

“Sono una scrittrice di lingua e non di trame, posso descrivere in due o tre pagine qualcuno che semplicemente fuma una sigaretta, impensabile fare la stessa cosa in un film… Forse l’unico ad azzardare una cosa del genere è stato Marco Ferreri che ha ripreso Michel Piccoli in primo piano, intento a pulire e ripulire lentamente e più volte la sua pistola”.

Il film al quale allude Valeria Parrella è “Dillinger è morto” (Rai 3 domenica 25 settembre ore 4.50, disponibile su RaiPlay). Nel raccontare la genesi di “Lo spazio bianco”, suo romanzo poi diventato un film diretto da Francesca Comencini, Parrella intendeva porre l’accento sulla maggiore velocità che le immagini hanno rispetto alla lettura delle parole, con le prime che possono essere addomesticate come fossero le seconde, a patto che a farlo sia un maestro della regia.

E a questo proposito Adriano Aprà non ha alcun dubbio che Ferreri sia un maestro. Critico e professore di Storia del Cinema Italiano, Aprà è irremovibile nel voler inserire il regista milanese nella cosiddetta prima fascia dei grandi autori accanto a Luchino Visconti, Federico Fellini, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni solo per indicare quelli più rinomati: “Ferreri è un regista originale, attuale, pieno di fantasia, innovativo, bravo a servirsi di star in ruoli molto particolari, non a loro consueti”.

In “Dillinger è morto”, che Ferreri ha girato nell’estate del 1968, Aprà ha il cameo di un critico cinematografico che in tv introduce un film senza specificarne il titolo; secondo Aprà per “Dillinger è morto” Ferreri si è ispirato a “Satellite”, un lungometraggio del pittore e amico Mario Schifano, uscito al cinema in quello stesso 1968, anch’esso con tre protagonisti principali: “Per la mia breve apparizione sono stato io a scrivere i dialoghi, praticamente il mio personaggio presenta un film di Schifano senza nominarlo”, conclude Aprà.

Di “Dillinger è morto” soggetto e sceneggiatura sono di Ferreri, con quest’ultima firmata anche da Sergio Bazzini, che diventerà una delle più importanti firme del cinema italiano degli anni Settanta: “Più che scrivere, il mio lavoro è stato quello di tagliare”, ricorda Bazzini quando parla di quello che a tutt’oggi rimane per molti il capolavoro assoluto di Ferreri.

È grazie ad Annie Girardot se Bazzini si è trovato alla corte di Ferreri: l’attrice parigina, che in “Dillinger è morto” interpreta la parte di Sabina, colf e amante di Glauco/Piccoli, era infatti stata chiamata da Salvatore Samperi in procinto di girare il suo film d’esordio “Grazie zia” per affidarle il ruolo di zia Lea, la protagonista, ma dopo aver letto lo script che Samperi aveva steso con Bazzini e Pier Giuseppe Murgia in cui Lea si sarebbe dovuta quasi innamorare di suo nipote e aver constatato che l’età media della troupe non superava i vent’anni, la quasi quarantenne Girardot declinò l’invito di Samperi che avrebbe poi chiamato al suo posto Lisa Gastoni, di pochi anni più giovane di Girardot: “Non era un regista che poteva attirare una come la Girardot, turbata anche da tutti quei giornali che parlavano di politica e di rivoluzione che Samperi aveva sempre in mano”, rammenta Bazzini.

A Girardot comunque non era affatto dispiaciuta la storia e soprattutto lo stile di scrittura di quella sceneggiatura, tanto da farla leggere a Ferreri che a sua volta ne rimase favorevolmente colpito. Tempo alcuni giorni e Ferreri e Bazzini si mettono al lavoro su alcuni progetti che, purtroppo, non diventeranno film. Finalmente al regista viene in mente la storia di “Dillinger è morto”, la espone a Bazzini il quale impiega una sola settimana per scriverne la sceneggiatura. Attraverso vecchi filmati di repertorio, a John Dillinger, Ferreri affianca altri personaggi totalmente diversi fra loro come Fausto Coppi e alcuni toreri spagnoli, tutti accumunati dall’essere stati icone di quello che oggi chiamiamo machismo ma che già alla fine degli anni Sessanta sembravano essere scomparse.

Bazzini rileva che in “Dillinger è morto” anche la figura della donna non ne esce bene: Anita/Anita Pallenberg, moglie di Glauco, è svogliata, apatica, preda di continue emicranie, Sabina ha una relazione col suo datore di lavoro e una passione ai limiti dell’infantilismo verso Dino, celebre cantante degli anni Sessanta, tanto intensa da indurla a baciare il poster che ha in camera da letto. Le ragazze che si intravedono nei filmati in super8 che Glauco proietta in casa, invece, hanno atteggiamenti voluttuosi che le rendono più simili a caricature di Lolita, e la superficiale proprietaria del veliero che chiede a Glauco di farle una mousse al cioccolato come prova delle sue doti culinarie, interpretata dalla non accreditata Carole André, splendida in bikini verde, dimostra più dei quindici anni che ha: “Francamente gliene davo qualcuno in più!”, esclama sorpreso Bazzini.

Il finale, che Bazzini rivela essere diverso da quello inizialmente previsto in sceneggiatura, vede il veliero salpare da Porto Venere e prendere il largo verso Tahiti, un’isola che rappresenta la ricerca di un’utopia che Ferreri immagina sia quella maoista con il sole e il cielo entrambi rossi, dove la figura dell’imbarcazione si staglia in lontananza. Eccetto gli esterni del quartiere dell’Eur e quelli di Porto Venere, il set di “Dillinger è morto” si divide fra la cucina che Ugo Tognazzi aveva nella sua villa di Velletri e la casa romana di Schifano di Piazza in Piscinula.

Guardando Piccoli destreggiarsi fra pentole, coperchi, posate e vivande nel luogo più sacro di casa Tognazzi, è inevitabile pensare che quattro anni dopo Ferreri avrebbe richiamato i due attori per farli morire di ingordigia nel suo “La grande abbuffata”: “In fondo è un film profetico della fine di Ferreri, da sempre una formidabile forchetta per la dannazione del suo medico”, commenta amaro Aprà quando cita l’improvvisa scomparsa del regista non ancora settantenne.

Impossibile non parlare di Ferreri con chi lo ha conosciuto bene: “Era eccessivamente taciturno, quando finalmente entrò in empatia con me smise di muovere il suo piedino che usava come forma di comunicazione”, ricorda ridendo Bazzini, prima di proseguire sottolineando che il suo carattere chiuso Ferreri lo aveva anche sul set dove, afferma, erano i suoi collaboratori, dei quali si fidava ciecamente, a portare a compimento il film: “Più che un regista di cinema, è stato un uomo d’arte”.

Alla sua uscita la Commissione Censura ha affibbiato a “Dillinger è morto” il divieto ai minori di anni 14 per “il clima di particolare tensione nevrotica sul quale è ambientata la vicenda e per alcune scene di nudo”; non da meno è stata la valutazione pastorale del Centro Cattolico Cinematografico che giudicò l’opera di Ferreri un film che “per idee o tesi o scene, è gravemente offensivo della dottrina o della morale cattolica”. Eh sì, Ferreri e il suo film erano davvero all’avanguardia. 

TRAILER
https://www.youtube.com/watch?v=-tnHTkGNeD4

DILLINGER È MORTO di Marco Ferreri – 1969 – 93’
Con Michel Piccoli, Anita Pallenberg, Annie Girardot, Gino Lavagnetto

Roma. Al termine di una giornata di lavoro passata insieme a un suo assistente (Lavagnetto) che gli ha esposto alcune novità in fatto di maschere antigas, l’ingegnere industriale Glauco (Piccoli) torna a casa sperando di gustare una cenetta preparata dalla sua bella moglie Anita (Pallenberg). A causa dell’ennesima emicrania della donna, Glauco è costretto a fare da sé e mentre è alla ricerca di vivande e posate, in un ripostiglio scopre una vecchia e arrugginita rivoltella, avvolta in un paio di quotidiani risalenti al luglio 1934, con in prima pagina la notizia dell’uccisione del bandito americano John Dillinger. Alternandosi fra i fornelli e il tavolo da cucina, con pazienza Glauco restaura la pistola dandole anche un tocco di fantasia dipingendola di rosso a pois bianchi. Mentre Anita dorme e la carne è sul fuoco, Glauco trova il modo di avere uno dei suoi rapporti occasionali con l’affascinante domestica Sabina (Girardot). Ma nella mente di Glauco c’è sempre quell’arma e una voglia incontrollabile di fuggire dall’alienante monotonia della sua vita. 

Produzione Pegaso S.r.L., distribuzione Ital Noleggio Cinematografico. In concorso al Festival di Cannes 1969. Uscita cinema 23 gennaio 1969, prima tv TV svizzera 25 luglio 1977, prima tv italiana Rai2 17 novembre 1979 con introduzione di Pietro Pintus. Nastro d’Argento 1970 miglior soggetto originale. 

FONTI
Segnalazioni cinematografiche vol.66, 1969
Radio Corriere Tv n.30 24/30 luglio 1977
AAVV Nuova Guida Cinematografica, Ente dello Spettacolo 1977
Radio Corriere Tv n.45 4/10 novembre 1979
Radio Corriere Tv n.46 11/17 novembre 1979
Alberto Scandola Marco Ferreri, Il Castoro 2004
Newsletter Rai, 8 ottobre 2021
Conversazione con Sergio Bazzini, 13 settembre 2022
Conversazione con Adriano Aprà, 14 settembre 2022

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