“Gli anni ’70 sono stati il nostro Vietnam”.
Sergio Castellitto definisce così gli
anni di piombo, un momento della nostra storia di cui ancora oggi non si riesce ad avere una memoria condivisa. L’attore romano conosce bene quel periodo, non soltanto per averlo vissuto nel pieno della sua maturità, ma anche per alcuni ruoli interpretati per il grande e piccolo schermo: dal terrorista in
Tre fratelli di Francesco Rosi, che segna il suo esordio al cinema, al recente
Aldo Moro il professore di Francesco Miccichè, la miniserie prodotta da
Rai Fiction (visibile su Rai Play). Nel 1990 Castellitto vestì i panni di Ruggero Manni in
Una fredda mattina di maggio: un film che, come recita il cartello iniziale, è liberamente ispirato alla tragica vicenda di
Walter Tobagi, l’editorialista del Corriere della Sera ucciso il 28 maggio 1980 a Milano dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terroristico “rosso”.
Nella prima metà del 1989
Luigi Locatelli e
Agostino Saccà, direttore e vice di
Rai2, incaricarono il loro capo struttura
Giovanni Leto e il suo dirigente
Enzo Tarquini di realizzare un progetto dedicato al caso Tobagi. Fu Tarquini a contattare
Graziano Diana chiedendogli di scrivere soggetto e sceneggiatura. Inizialmente Diana si attenne quanto possibile ai fatti accertati, compresi i nomi dei personaggi coinvolti. I capitoli giudiziari in quel momento non del tutto chiusi e la difficoltà di disegnare correttamente i profili di alcune persone coinvolte nel caso Tobagi spinsero Diana e la produzione a rivedere la sceneggiatura. Non furono poche le modifiche fatte, a cominciare dai nomi dei protagonisti.
Dopo aver scelto Castellitto per il ruolo principale, negli uffici di Rai2 si cercò un regista adatto al progetto: furono contattati
Carlo Lizzani e
Damiano Damiani, ma fu
Mario Colangeli, responsabile della
fiction per la seconda rete, a suggerire il nome di
Vittorio Sindoni. Benché avesse manifestato da tempo la volontà di non fare più cinema, grazie all’insistenza di Castellitto Sindoni acconsentì e chiese a Diana di tornare di nuovo sul suo
script per eliminare quelle parti che, secondo Sindoni, rendevano la storia troppo cupa. E fu proprio il lavoro dello sceneggiatore livornese che causò un disaccordo fra Sindoni e Tarquini: a quest’ultimo piaceva la prima stesura, sicuro che la scelta di Sindoni avrebbe provocato una sorta di impoverimento del film. Nella disputa Sindoni ebbe la meglio.
La storia che il regista siciliano si apprestava a dirigere prendeva di mira quella parte dell’alta borghesia milanese i cui giovani figli erano impegnati nell’estremismo politico di sinistra, che non di rado prevedeva anche il ricorso alla violenza. Attraverso la storia di Manni Sindoni racconta come la lotta armata fosse divisa su vari livelli, dai simpatizzanti agli assassini passando per fiancheggiatori e complici. Il titolo fu scelto da Sindoni, colpito dall’incipit di un articolo che
Claudio Martelli, esponente tra i più importanti del Partito Socialista, aveva scritto in memoria di Tobagi.
Per il ruolo di Lia, moglie di Ruggero, fu scelta
Margaret Mazzantini, nella vita moglie di Castellitto, qui in una delle sue ultime prove di attrice. Le riprese erano appena iniziate quando Sindoni fu costretto a interromperle perché constatò che alcuni dei giovani attori non avevano la più pallida idea di cosa fossero stati davvero i nostri
anni di piombo. Insieme a Castellitto e con l’ausilio di libri e filmati, Sindoni passò quasi tre giorni a raccontare a quei ragazzi non ancora maggiorenni quale Italia si erano persi, per certi aspetti fortunatamente.
Gli interni del giornale dove lavora Manni sono quelli della redazione de
Il Giorno. Per le sequenze degli scontri di piazza fu scelto un gruppo di frequentatori dei centri sociali di Milano i quali, guidati da un leader che ricordava bene quegli anni turbolenti, furono talmente credibili nell’urlare i loro slogan ‘anti sistema’ che un’anziana che passava in quel momento ebbe quasi un collasso temendo fossero tornati i drammatici ‘sabati milanesi’. Sulla veridicità di alcune scene, Sindoni ricorda divertito la richiesta che gli fece un capitano dei Carabinieri, sul set con i suoi uomini nella parte delle forze dell’ordine, di effettuare la carica contro i “manifestanti” senza preoccuparsi troppo di farla per finta, visti gli insulti di quest’ultimi che avevano tutta l’aria di venire dal profondo del cuore.
Nando Dalla Chiesa chiese a Sindoni una cassetta del film con l’intento di farlo vedere al figlio, perché un giorno potesse capire cos’era la Milano di quegli anni.
Alla conferenza stampa di presentazione tenuta a Milano, Sindoni fu aspramente criticato da molti giornalisti: il suo film era accusato di essere targato Psi. Per la sua prima tv
Una fredda mattina di maggio fu introdotto dallo storico
Arrigo Petacco e dal presidente della Repubblica
Francesco Cossiga. Castellitto rivendica con orgoglio di aver interpretato il film, ed è felice di aver condiviso quell’esperienza proprio con sua moglie, con la quale ha costruito un progetto artistico e sentimentale “frutto di una complicità - afferma l’attore - messa al servizio delle idee e non delle ideologie”.
Scheda del film
Una fredda mattina di maggio di Vittorio Sindoni - 1990 - 102’
Con Sergio Castellitto, Margaret Mazzantini, Marie Laforét, Gabriele Ferzetti
Milano, fine anni ’70. Ruggero Manni (Castellitto) è un giovane giornalista che da tempo si distingue per la sua indipendenza di pensiero e per il suo coraggio nel denunciare la lotta armata. Sua moglie Lia (Mazzantini) è preoccupata per i pericoli ai quali il marito sta andando incontro e a nulla valgono alcuni inquietanti segnali del dramma che sta per arrivare.
Produzione Bravo Productions/Rai2. Distribuzione Artisti Associati. Prima cinema 15 novembre 1990, prima tv Rai2 30 novembre 1991.
Fonti
Christian Uva
Schermi di piombo, Rubbettino 2007
Conversazione con Graziano Diana, 16 aprile 2019
Conversazione con Vittorio Sindoni, 17 aprile 2019
Conversazione con Sergio Castellitto, 18 aprile 2019
Conversazione con Enzo Tarquini, 18 aprile 2019