VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Sinner e l’equazione della vita

di Guido Barlozzetti

Sono stato davanti alla televisione per sei ore, non mi succedeva da chissà quanto.
Un minuto dopo l’altro, tanto è durata la finale del torneo del Roland Garros di Parigi tra Carlos Alcaraz e Jannik Sinner. Una testuggine compatta dalla Spagna e uno stelo con i capelli rossi dall’Alto Adige che fu il Sud Tirolo della Penisola.

È stata una finale lunghissima, giocata al meglio dei cinque i set. In un pomeriggio che è diventato sera si è andati avanti, un game dopo l’altro, un set dopo l’altro, fino al quinto e addirittura al tie-break, quel gioco eliminazione crudelissimo che si gioca quando si arriva in parità, 6 a 6, alla fine dell’ultimo set.

Ha cominciato Sinner che ne ha conquistati due e tutti hanno pensato che fosse spianata la strada della vittoria e invece ha proseguito Alcaraz facendo altrettanto. Poi, il duello finale che ha messo sugli altari parigini lo spagnolo che al momento giusto ha tirato fuori i colpi che decidono.

Il rischio è sempre quello della retorica e tuttavia sulla terra rossa dell’Estade de Roland Garros è andato in scena uno scontro che assurge all’epica, con due campioni che si sono confrontati senza esclusione di colpi, hanno giocato con tutte le forze che avevano a disposizione, combattuto e ribattuto colpo su colpo in una sequela di ribaltamenti, avvincenti e disperanti per il cuore dei tifosi.

Sembrava fatta per Sinner, poi è sembrato che il vento cambiasse perché Alcaraz è tornato a farsi sotto, dando l’impressione di poter chiudere il match. Così non è stato, anzi Sinner si è trovato sul 5 a 4 per lui con tre match ball, sarebbe bastato chiuderne uno e invece sono svaniti tutti. E così set allo spagnolo e dunque passaggio al quinto, in cui Sinner, mai domo, è riuscito a raddrizzare il risultato e a raggiungere la parità, 6 a 6. Nella coda decisiva si è imposta la freddezza potente di Alcaraz.

Il tennis è un rituale estenuante, ha le sue regole immutabili, i game suddivisi in mini sotto partite, che compongono i set nei quali si suddivide il match.

Quello a cui ho assistito è stata un’altalena ininterrotta con un andirivieni di emozioni e tonalità psicologiche. Inevitabilmente, mi sono trovato a parteggiare per Sinner, per tanti motivi, perché è italiano, ancorché di un lembo estremo nel del nostro paese, perché è un ragazzo timido, di poche parole, semplice ed educato nei modi, composto, mai un gesto o una parola fuori posto, e anche perché il pubblico non era dalla sua parte, forse perché era un italien o per tutta quella storia del clostebol che lo perseguita nonostante le sentenze.

Stiamo parlando di un giovanotto, come d’altronde l’avversario, che ormai guadagna decine e decine di milioni di euro all’anno per cui c’è chi ricorda che solo di soldi alla fine si tratterebbe. Solo che poi c’è lo spettacolo dei colpi e la tensione di un duello, in questo caso impareggiabile perché giocato al top del virtuosismo tecnico. Assisti e non come uno spettatore disinteressato, perché per un verso non puoi che ammirare la bellezza di un gesto, di chi sia sia, per l’altro devi parteggiare e vivere all’unisono con il tuo campione l’esperienza tumultuosa e in questo caso del tutto imprevedibile di una partita.

Il bello del gioco è proprio questo, tenere insieme le regole e uno schema codificato in ogni parte, e aleatorietà di quello che vi accade. Contano la potenza e l’abilità dei giocatori e però nello svolgersi in tempo reale infinite sono le pieghe che può prendere il confronto, una palla che tocca il nastro e cambia traiettoria o come in Match Point di Woody Allen rimane sospesa a metà, su quel nastro, con la possibilità di cadere di qua o di là, un’altra che esce di un niente dalla riga, un giocatore che incespica, la svista di un arbitro.

Si dirà, non è che una partita a tennis, un accadimento che riguarda lo sport e dunque bisognerebbe fare un passo indietro, forse anche due, rispetto alla drammaticità delle cronache che ci investono da tutto il mondo.

Oggi, tanto per dire, c’erano le votazioni per il referendum sul lavoro e sui termini per acquisire la cittadinanza italiana, i poveri cadaveri di madre e figlia neonata ritrovati nella vegetazione di villa Pamphili a Roma, Elon Musk che ha annunciato di voler fondare un partito dopo alcuni scambi di battute per niente gentili via social con il presidente Trump, la Guardia Nazionale che su ordine di Donald a Los Angeles carica i manifestanti che protestano per i raid anti-immigrati, la Russia che annuncia una nuova offensiva in Ucraina… insomma, un panorama drammatico su scala locale e globale rispetto a cui una partita di tennis appartiene a un’altra dimensione, quella di un intrattenimento sportivo che scompare rispetto alla gerarchia delle tragedie mondiali.

Non c’è bisogno di essere moralisti per capire dove mettere lo sport ma neanche però per capire che anche lo sport un posto ce l’ha. È infatti uno degli ultimi territori in cui troviamo degli eroi con i quali appassionarci e anche identificarci, eroi che si affrontano in duelli come facevano quelli omerici sotto le mura di Troia o nella saga di Re Artù, solo che in questo caso e fortunatamente non sono i rappresentanti di due eserciti in guerra. Sono invece dei giovanotti dotati di qualità fisiche e tecniche che non appartengono alla medietà del genere umano, che si confrontano in sfide che alla fine debbono decretare un vincitore.

Ecco quindi il fascino spietato di una partita che procede nella sospensione sempre incerta, un istante dopo l’altro, e mai incerta come sul campo del Roland Garros. Sei ore vissute nell’attualità sempre sorprendente in cui l’unica certezza è il punteggio che via via si aggiorna. Davanti allo schermo del televisore, la meraviglia e la rabbia, la gioia e la delusione, si replicano gli stati d’animo dei contendenti, più estroverso Carlos, trattenuto e impassibile Jannik.

Non bastasse questo rimando, la regia dello spettacolo si diverte a frugare tra il pubblico a volte con un’insistenza i primi piani così ravvicinati che dovrebbero allertare anche il garante per la privacy. In particolare, ci tocca il volto della madre del fenomeno altoatesino, in perenne stato di apprensione, mentre sul campo lui passa da una prima palla di servizio che va a colpire il nastro o esce a un lungolinea che si abbatte sul bordo del campo.

Poi con l’ultimo, definitivo, punto si irrigidisce in una sentenza fatale che lascia euforici o disorientati, come mi è accaduto dopo le sei ore e la caduta di Sinner. Portata al massimo grado, mi pare sia l’equazione stessa della vita che è fatta del suo divenire sulla soglia in cui tutto diventa passato in attesa del futuro che sarà. Fino all’ultimo colpo.

 

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