VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

La Romagna e la non-cultura del dopo

Di Guido Barlozzetti

 

Sono giorni di dolore e sofferenza per la Romagna piegata ma non domata dall’acqua che ha scaraventato già una perturbazione imponente. Trentasei ore e 240 mm. di pioggia su un’area estesa e 23 corsi d’acqua che esondano, con allagamenti, città e paesi e case e aziende, uomini e animali, strade e aziende investite da un’onda immensa e devastante. Un evento catastrofico, un altro perché stiamo ormai dentro una dimensione seriale che accumula puntate drammatiche sulla Penisola con effetti, nonostante le previsioni, che sconvolgono la vita di interi territori, causano un bollettino tragico di vittime e rischiano di compromettere la continuità di attività economiche, dall’agricoltura all’industria al terziario, insieme alla normale quotidianità dei servizi e del tessuto delle relazioni sociali.

Adesso, si muove la macchina dei soccorsi così come la generosità che il paese sa esprimere in queste condizioni e però anche con la costatazione che quest’impegno arriva sempre dopo, quando il disastro si è consumato e s’impone il tempo dell’assistenza, dell’aiuto e del ripristino per quanto possibile di una condizione di normalità.

Rischia di essere un ritornello persino ovvio, quello che ogni volta ci ricorda quanto l’Italia sappia raccogliere le sue forze nel momento dell’emergenza e quanto sia incapace di darsi una visione di lungo periodo e una strategia consapevole e attrezzata per affrontare problemi che hanno ormai una densità e una scala che non possono essere risolti nella contingenza di questo o quell’episodio. Quanti terremoti si sono succeduti in questi decenni per non ritrovarci ogni volta a discutere di piani antisismici non realizzati e, poi, di tortuosità burocratiche e di complessità e insipienze amministrative che hanno impedito e continuano ad impedire il ritorno alle consuetudini di una vita in armonia con un territorio restituito alla sua identità. E così con gli eventi della meteorologia, alluvioni dirompenti, bombe d’acqua squassanti, frane gigantesche che travolgono tutto quello che trovano sul loro cammino. Per fermarci allo scorso anno, i fenomeni estremi sono aumentati del 55% rispetto al 2021, secondo l’osservatorio Città Clima di Legambiente, con punte sconvolgenti nelle Marche alla metà di settembre e a novembre la frana di Casamicciola a Ischia.

È evidente che ormai ci troviamo su una soglia, stiamo passando da un livello che non può più essere considerato congiunturale ma sta diventando strutturale e come tale deve essere affrontato. All’attivismo impotente del dopo deve sostituirsi una cultura del prima che alimenti anche e soprattutto un’idea della politica capace di misurarsi con qualità, competenza ed efficacia con il nuovo orizzonte dii problemi che non riguardano solo il nostro paese ma una dimensione ormai globale. L’abbiamo visto con il Covid - e alcune sirene non cessano di ricordarci che gli eventi pandemici possono diventare una normalità, continuiamo a vederlo con queste convulsioni del tempo meteorologico che si abbattono all’improvviso su un angolo di un Paese che non è certamente aiutato dall’orografia e dalla fragilità dei territori, nel contesto di un cambiamento climatico che sta diventando un destino allarmante.

Una condizione sfavorevole e minacciosa a fronte però della quale non si è stati capaci, e non si può parlare certamente solo dell’ultimo governo, di affrontare questa emergenza ormai quotidiana e di iscriverla nell’agenda politica come una questione decisiva e dirimente e dunque con una organicità di provvedimenti, sostenuti da risorse che poi possano essere effettivamente spese e nel modo più congruo possibile, e con un coordinamento organizzativo e di competenze che sia collocato in modo coerente, continuativo e responsabile nell’attività stessa del governo. Quando invece dobbiamo ancora prendere atto delle divisioni fra ministeri rissosi, di piani che vengono annunciati ma poi non hanno alcun seguito attuativo, di iniziative sparse, di fondi che vengono stanziati e restano nel cassetto, di task force messe in campo ma mai divenute operative e addirittura di unità di sistema varate da un ministero e cancellate dall’altro.

Adesso è il tempo della vicinanza e del soccorso, vediamo gli “angeli del fango”, distese d’acqua da cui emergono case, silos, capannoni, strade trascinate via, binari sospesi nel vuoto, donne e uomini disperati che non vorrebbero lasciare la casa della loro vita, gli animali da salvare, il conto delle vittime che si allunga. E la retorica non si trattiene, “Romagna mia…”, siamo tutti lì… , quando il rispetto che si deve a chi soffre non ha bisogno di fervorini di circostanza ma di una rigorosa presa di coscienza collettiva da cui solo può nascere una condivisa e organica politica dell’Italia che sarà.

 

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