VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Mattarella al secondo mandato

Di Guido Barlozzetti

 

Il tredicesimo Presidente della nostra Repubblica si chiama come il dodicesimo. Sergio Mattarella. Dopo una gestazione complicata e contrastata, la fumata bianca è arrivata nella giornata di sabato 29, con la proclamazione finale, dopo l’ottava votazione, da parte del Presidente della Camera Roberto Fico. È stato rieletto Mattarella, apparso come punto di riferimento affidabile e insostituibile in una situazione bloccata e senza altre prospettive, forte di un settennato che lo ha imposto alla generale considerazione degli Italiani per il rigore, la misura e lo sforzo ininterrotto volto alla cura delle istituzioni e alla stabilità del sistema.

Una votazione dopo l’altra, la strada si è ristretta fino a che il nome del presidente in uscita si è posto come l’unica soluzione possibile. Così, i capigruppo della Camera - esclusi quelli dei partiti che non lo avrebbero votato - gli si sono presentati per verificarne l’assenso a un’eventuale elezione, seguiti dai governatori delle Regioni.

A quel punto, ottava votazione, 983 votanti dei 1009 aventi diritto, è stato eletto Mattarella che con 759 voti ha riunito gli schieramenti della maggioranza di governo. Per il resto, 90 voti per Carlo Nordio (un po’ più del perimetro di Fratelli d’Italia), 37 per Nino Di Matteo (Sinistra Italiana), 9 per Silvio Berlusconi, 6 per Elisabetta Belloni, Mario Draghi 5, Pier Ferdinando Casini 5, Elisabetta Casellati 4.

Ci sono state votazioni molto più lunghe, ne servirono 16 nel 1992 per Scalfaro, 21 nel 1964 per Giuseppe Saragat e 23 nel 1971 per Giovanni Leone, ma è perfino banale dire quanto i tempi siano cambiati se non altro per alcune condizioni: la comunicazione, diventata un amplificatore in tempo reale che ormai stressa la percezione del tempo e tutto brucia; il rapporto consumato per tanti motivi tra la Politica, nella sua generalità, e il Paese; e l’emergenza Covid intervenuta ad accentuare contraddizioni antiche e a rendere problematico il futuro delle persone come dell’economia e della stessa tenuta di un sistema delle istituzioni.

Oggi, il succedersi delle sedute senza un risultato è stato percepito come inaccettabile ed anche questo aspetto deve essere messo in conto nella decisione finale.

In ogni caso, con l’elezione di Mattarella, restano immutati i due vertici previsti dalla Costituzione, la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio, sarà appena il caso di ricordare che, nelle difficoltà seguite alla caduta del secondo governo Conte, fu l’intervento deciso di Mattarella a mandare a Palazzo Chigi Mario Draghi.

Adesso, si ritrovano insieme, nella diversità-complementarietà dei ruoli, a gestire l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) - fondamentale uscire non solo dalla crisi post-pandemica ma per creare le condizioni di uno sviluppo duraturo - e l’anno che separa dalla conclusione della legislatura un sistema politico che questo passaggio costringe a una profonda riflessione.

Dunque, Sergio Mattarella ha dovuto rivedere il programma più volte annunciato e ribadito, nessuna disponibilità ad andare ad un secondo mandato, perché i Costituenti avevano già voluto prevedere una durata della carica più lunga rispetto ad altri contesti nazionali europei e quindi sarebbe stata inopportuna e non in linea con il ricambio della democrazia, una presenza al Quirinale di altri sette anni.

Come si è arrivati, allora, a questo esito e dunque a “costringere” l’ex-presidente a rivedere scelte che l’avevano già portato a riorganizzare la sua vita lontano dal Quirinale? La causa sta nell’impasse delle trattative tra i partiti, dopo veti incrociati e candidati variamente bruciati. Tutti in linea di principio alla ricerca di un candidato unificante e però alla fine indisponibili a votarne uno proposto dalla parte avversa, in una situazione fortemente ambigua per le divisioni all’interno degli stessi schieramenti, centro-destra e centro-sinistra, e per il rischio che avrebbe comportato un Presidente eletto da una maggioranza diversa da quella del governo presieduto da Draghi.

Così, dopo le schede bianche delle prime sedute, è andata in fumo la candidatura della presidente del Senato Elisabetta Casellati, come anche sono evaporati altri nomi come Carlo Nordio e Letizia Moratti. Sullo sfondo, possibili aspiranti come Pier Ferdinando Casini, ascendenze democristiane e militanze negli opposti schieramenti, e lo stesso Presidente del Consiglio. Stallo, quindi, raccontato, analizzato, interpretato dalla macchina dell’informazione presente a tempo pieno sulle reti generaliste della televisione e della radio. In particolare, la cronaca a cura del Tg1 di Monica Maggioni, le dirette di Rainews e di Sky, e la maratona orchestrata su La 7 da Enrico Mentana. Un accompagnamento continuo con inviati appostati nei punti chiave attorno al palazzo di Montecitorio e giornalisti di consumata esperienza delle vicende della politica a commentare in studio, con analisi a spaccare il capello dell’ultima dichiarazione, in attesa della prossima che venisse (inevitabilmente) a modificare il quadro.

Questa insistita copertura ha avuto certamente il pregio di costruire un serial dell’Elezione con la relativa narrazione offerta al pubblico, e però ha anche saturato il tempo dell’attesa e accentuato perversamente l’impressione di un tempo insopportabilmente lungo e dunque con il rischio sia di generare un paradossale boomerang per la stessa informazione sia di alimentare una sfasatura tra la “Politica”, nella percezione diffusa che se ne ha, e la Società. Problemi che pongono più di una domanda - sui modi e i tempi dell’informazione, sulla costruzione degli eventi, sugli effetti nella percezione del pubblico … - su cui sarà il caso di riflettere.

Lo stallo è sembrato improvvisamente concludersi con la candidatura di Elisabetta Belloni, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Il nome esce da una riunione, la prima tra Matteo Salvini/Lega, Giuseppe Conte/M5S e Enrico Letta/PD - sarebbe la prima donna a diventare presidente, si dice con qualche retorica - e il suo annuncio genera una reazione a catena che finisce per bruciarlo. Segue una notte che deve essere stata di confronti brutali e rese dei conti, dalla quale, come estremo ancoraggio di una nave sbandata che non è riuscita a produrre un nome che fosse trasversale e unitario e desse il senso di un nuovo passo, esce la proposta di Mattarella, già esplicitata dai 336 voti senza nome ricevuti nella sesta votazione. Tutti d’accordo, meno Fratelli d’Italia e Sinistra Italiana, i capigruppo salgono al Quirinale.

 

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