Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto quasi il 30 per cento. Molti di questi hanno titoli di studio elevati. (Anche se i laureati in Italia sono ancora pochi: il 20 per cento della fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Un dato ben lontano dall’obiettivo del 40 per cento fissato dall’Europa per il 2040). Secondo recenti indagini di Almalaurea – Il Consorzio che raggruppa i più importanti Atenei Italiani per sostenere il lavoro dei laureati – negli ultimi anni la disoccupazione di chi ha raggiunto lauree triennali o specialistiche continua ad aumentare. E chi lavora, spesso ingrossa le schiere dei precari, guadagna sempre di meno e fa sempre meno carriera. Ad essere penalizzate sono soprattutto le donne, che rispetto ai maschi hanno meno opportunità di impiego e stipendi più bassi. Ma al dato quantitativo si aggiunge uno qualitativo. A cinque anni dalla laurea, l’11 per cento dei dottori ritiene il titolo di studio poco efficace per trovare lavoro. Sono più scoraggiati i laureati in materie letterarie, in quelle socio – politiche, in quelle linguistiche, in quelle geologiche e biologiche. In controtendenza i medici, i chimico – farmaceutici, gli ingegneri e gli architetti… La domanda a questo punto sorge spontanea: vale ancora la laurea per assicurarsi una occupazione? Quali titoli di studio possono garantire qualcosa in più? Perché i datori di lavoro hanno difficoltà ad inserire laureati? Fino a che punto è colpa delle Università che non riescono a tenere conto delle esigenze delle imprese e del contesto produttivo? E lo studio, da solo, è in grado di dare la preparazione adeguata per entrare nel mondo attivo? Quanto può valere un percorso che contempli studio e lavoro, università e apprendistato in azienda? Ospiti :ANDREA CAMMELLI, direttore di Alma Laurea e STEFANO DI NIOLA, responsabile relazioni sindacali del CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e media Impresa) Nazionale.