Nel 2010 i detenuti in Italia sono quasi 69.000, compressi in spazi spesso degradati che potrebbero accoglierne poco più di 45.000. Basti pensare che ogni detenuto dispone in media di due o tre metri di spazio, mentre le norme europee ne prevedono sette. Di queste persone, solo il 56 per cento ha una condanna definitiva. Gli altri sono in attesa di giudizio. Un disagio nel disagio che condiziona pesantemente la personalità, i comportamenti e le soluzioni che ciascuno adotta. Con risultati drammatici. I numerosi casi di suicidio, le denunce periodiche di maltrattamenti e di scarse cure sanitarie, le rivolte dei detenuti riaccendono antiche polemiche sulla qualità delle nostre case circondariali. Non a caso lo scorso febbraio le Camere hanno approvato il decreto legge governativo denominato “svuota carceri” con l’obiettivo di ridimensionare il numero di chi è costretto a vivere “dietro le sbarre”. Un primo passo, che però non esaurisce il problema. Che fine hanno fatto dunque i diritti umani in questi contesti? Come si conciliano questi fenomeni con i programmi di prevenzione e di recupero che prevedono ore di lavoro, di formazione, di attività sociali e culturali, di lettura? E’ possibile in questo scenario immaginare un reale reinserimento di queste persone nel mondo civile? E poi. Sono tutte così le carceri italiane? C’è qualche segnale di cambiamento, qualche esempio virtuoso? Per parlare di questo, avremo con noi un sociologo del diritto, esperto in materia… E ci collegheremo col carcere romano di Rebibbia dove è stato girato il film “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino. Una pellicola in controtendenza, che ha come protagonisti proprio i detenuti, alle prese con la rappresentazione teatrale del “Giulio Cesare” di William Shakespeare. Un modo di vivere diversamente lo stato di reclusione: non una riabilitazione sociale ma una riabilitazione umana, sintetizzabile nelle parole che uno dei protagonisti detenuti pronuncia alla fine del film, quando esaurito il momento scenico, a “luci spente”, rimane nella solitudine della sua condanna: “Da quando ho scoperto l’arte, ‘sta cella è diventata una prigione”. Ospite ilprof. EMILIO SANTORO, professore di Sociologia e Filosofia del Diritto della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Firenze e direttore di “Altro diritto” (Centro di documentazione su carcere, marginalità e devianza). COLLEGAMENTO CON REBIBBIA: CARMELO CANTONE, direttore del carcere di Rebibbia di Roma FABIO CAVALLI, regista teatrale, coautore della pellicola “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani, e presidente dell’Associazione “La Ribalta” Centro Studi e Archivio Storico Enrico Maria Salerno. COSIMO REGA, detenuto e attore del film