Uomini e Profeti

Letture 'Antigone' con Rinaldo Ottone. 3a puntata 'La passione e il destino'

  • Andato in onda:17/01/2006
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Letture 'Antigone' con Rinaldo Ottone. 3a puntata 'La passione e il destino'

Nella terza puntata della serie dedicata all'Antigone di Sofocle, Gabriella Caramore e Rinaldo Ottone, sacerdote cattolico e studioso del mondo greco, si soffermano sulle interpretazioni e le letture che di questa tragedia hanno dato filosofi come Friedrich Nietzsche, scrittori come Maria Zambrano e esperti di diritto come Gustavo Zagrebelsky e Marta Nussbaum. La foto è tratta dall'Antigone di Sofocle, andata in scena nel 2005, nell'ambito della stagione organizzata dall'Istituto Nazionale del Dramma Antico nel teatro Greco di Siracusa. Antigone è interpretata da Galatea Ranzi, Ismene da Micol Pambieri. La regia è di Irene Papas Libri: Sofocle, Edipo Re, Edipo a Colono, Antigone, a cura di Dario Del Corno, traduzione di Raffaele Cantarella, Oscar Mondadori Rinaldo Ottone, Il tragico come domanda. Una chiave di volta della cultura occidentale, Pontificio Seminario Lombardo, Milano F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, ed. it. a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi Maria Zambrano, La tomba di Antigone, Diotima di Mantinea, La Tartaruga edizioni, 1995 Antigone, in verità, non si suicidò nella sua tomba, come Sofocle, incorrendo in un inevitabile errore, ci racconta. E come poteva, Antigone, darsi la morte, lei che non aveva mai disposto della sua vita? Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di se stessa. Destata dal suo sonno di bambina dalla colpa di suo padre e dal suicidio di sua madre, dall'anomalia della sua origine, dall'esilio; costretta a servire da guida al padre cieco, remendicante, innocente-colpevole, le toccò entrare nella pienezza della coscienza. Il conflitto tragico la trovò vergine e la prese interamente per sé; ella crebbe dentro di esso come una larva nel suo bozzolo. Senza di lei, la tragica vicenda della sua famiglia e della città non avrebbe potuto avere un seguito, e ancor meno emettere il suo senso. Il conflitto tragico, infatti, non arriverebbe a essere tale, a iscriversi nella categoria della tragedia, se non consistesse che in una distruzione; se dalla distruzione non discendesse qualcosa che la oltrepassa, che la riscatta. Se così non fosse, la Tragedia non sarebbe altro che il resoconto di una catastrofe o di una catena di catastrofi, esemplificante tutt'al più la rovina di un aspetto della condizione umana, o di questa tutta intera. Un resoconto che non avrebbe raggiunto esistenza poetica se non come interminabile pianto, lamentazione senza fine né finalità, se non eventualmente quella di sfociare nell'Elegia - che è già un'altra categoria poetica. Di tutti i protagonisti della tragedia greca, la ragazza Antigone è quello in cui la trascendenza propria del genere si mostra con maggiore purezza ed evidenza. In compenso, però, ella ebbe bisogno del tempo - quello che le fu dato e altro ancora. E anche il tempo ricadde su di lei: il tempo necessario al trasformarsi di Edipo, da autore di un duplice delitto "sacro", in "farmacos" che libera e purifica. E il processo distruttore, intanto, continuava, avido, a divorare. Con la guerra civile e, dopo che il loro padre li aveva maledetti, con la paradigmatica morte uno per mano dell'altro dei due fratelli - simbolo forse un po' ingenuo ma sempre valido di ogni guerra civile -; infine, col tiranno che crede di sigillare la ferita moltiplicandola con l'obbrobrio e la morte. Il tiranno che si crede signore della morte e che soltanto nel darla si sente esistere. (da Maria Zambrano, La tomba di Antigone)

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