• Terremoti - Il Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    Quest’anno in 25 puntate si è parlato di arte, storia, cultura, economia, con speciali reportage realizzati a Cuba e in Cina, approfondimenti sull’architettura del passato e contemporanea, excursus sulla nostra memoria risorgimentale, un’appassionante trilogia biografica attorno alla figura di Michelangelo Buonarroti, incursioni nella storia del capitalismo attraverso le grandi figure della borghesia europea e i loro riflessi artistici, conservazione, valorizzazione, cura del paesaggio storico-ambientale e discariche annunciate, fortunatamente restate solo sulla carta.
    Questa settimana si chiude affrontando il tema dei terremoti, vale a dire il momento più drammatico relativo al nostro capitale comune. I terremoti infatti colpiscono il capitale umano, le vittime, il capitale produttivo, le fabbriche, il capitale del risparmio, le case e i beni mobili che contengono, e infine i beni culturali, il capitale storico.
    L’indagine si struttura passando in rassegna tutti gli eventi sismici italiani più disastrosi dell’era recente, partendo da quello della Valle del Belice in Sicilia nel 1968, fino alla stretta attualità dei nostri giorni, documentando sul campo, il terremoto che sta interessando le terre emiliane.
    Una cronistoria dei terremoti italiani degli ultimi quarantacinque anni (oltre alla Valle del Belice, anche Tuscania 1971, Friuli 1976, Irpinia 1980, Umbria-Marche 1997, L’Aquila 2009), condotta comparando le diverse opzioni di ricostruzione, illuminate o meno, che hanno oscillato tra il rifacimento totale in chiave moderna e la conservazione storica e filologica. In alcuni casi si è verificato un mix di queste visioni differenti, e ora ci si domanda quale potrebbe essere la prospettiva più indicata per l’Emilia che, quando le scosse saranno finite, dovrà necessariamente confrontarsi con la propria memoria nel ridisegnare il profilo e l’identità dei territori colpiti, con l’auspicio che l’attuale disgrazia possa trasformarsi in un’opportunità per il futuro.

    • Durata00:31:13
    • Pubblicato il24/06/2012
  • Il mito di Garibaldi - Il Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    La puntata di questa settimana continua il racconto, cominciato la scorsa volta, lungo la linea della memoria unitaria italiana, rievocando la storia di alcuni eroi delle spedizioni garibaldine. Se fosse stato solo per gli accordi di Plombières del 1858 e per le battaglie di Solferino e San Martino del 1859, l’Italia sarebbe nata probabilmente come una federazione di stati presieduti dal Papa. Ai Savoia forse sarebbe bastata l’annessione della Lombardia se non fosse entrata in gioco l’avventura temeraria di Garibaldi con la conquista del Regno delle due Sicilie, sulla quale vigeva una promessa di aiuto piemontese solo in caso di buon fine.
    Garibaldi è innegabilmente il mito sul quale si fonda una prima ipotesi unitaria italiana. Un mito che ha origini molto lontane, ma che trova il suo fulcro quando parte la famosa spedizione dei Mille che da Quarto approda in Sicilia. Chi erano i folli che lo seguirono e lo fiancheggiarono? Fra i mille c’erano poveri e ricchi, tutti motivati dal sentimento patrio, in molti casi poi divenuti borghesi fondativi dell’Italia successiva. Anche se sembrano scomparsi dalla bibliografia garibaldina odierna, i fratelli Orlando giocarono un ruolo fondamentale per l’avventura intera: si tratta di tre fratelli nati a Palermo all’inizio dell’Ottocento, che decisero d’aprire un fabbrichetta di molle. Ma al Regno di Napoli gli imprenditori non piacevano molto. Così si trasferirono a Genova, entrando nei circoli mazziniani e diventando anche amici di Cavour. Fecero fortuna costruendo navi e furono tra i finanziatori della spedizione dei Mille, partecipandovi anche direttamente. Gli Orlando diventarono dopo l’Unità la prima grande famiglia industriale italiana, a cavallo fra Otto e Novecento. Sempre nell’ambito della spedizione di Garibaldi, emerge la storia d’un altro borghese, il giovane Giuseppe Nodari. Nodari a diciotto anni assiste alla battaglia di Solferino, l’anno successivo entra a far parte dei Garibaldini, portandosi appresso gli acquarelli. Riprese così la storia dall’imbarco fino alla presa di Palermo, trasformando tutto ciò vedeva in un ricordo dipinto, una narrazione d’immagini. In un certo senso, Nodari è stato il primo fotografo di guerra che abbiamo conosciuto in Italia. Dopo l’impresa, tornato all’università, diventa ordinario di anatomia a Padova. La vicenda del giovane Antonio Carpenè racconta un’altra storia di genesi di un borghese. Prima di studiare chimica e di entrare in contatto con il biologo Koch, quello del bacillo, e Pasteur, quello dei microbi, e di inventare l’uso della fermentazione per fabbricare il vino con le bollicine, fu infatti anche lui un guerriero garibaldino.
    Altro caso emblematico è quello di Enrico Guastalla, nato povero in canna, da una famiglia ebraica di Modena, che dopo l’esperienza garibaldina giunse persino ad imparentarsi con i Rotschild di Francia. E poi ci sono i pittori, gli scrittori, i poeti, le donne, la tra cui l’inglese Jessie White Mario, che seguendo Garibaldi a Palermo nel 1860, documentò tutto ciò che vedeva, diventando, forse, la prima giornalista donna di guerra.
    Borghesi, intellettuali, artisti e signore emancipate, tutti espressione di una grandissima energia di trasformazione che si sviluppò nel XIX secolo italiano. Una memoria da conservare meglio come incentivo ed esortazione anche per il nostro presente.

    • Durata00:30:04
    • Pubblicato il17/06/2012
  • Alla ricerca della memoria - Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    La memoria è un capitale formidabile, purtroppo piuttosto trascurato nell’Italia d’oggi. Nascosto elegantemente tra il verde in prossimità di Parco Sempione a Milano, il monumento equestre a Napoleone III non gode infatti di particolare popolarità. Eppure racconta un momento storico di grande importanza per la memoria storica d’Italia, celebrando il nostro principale alleato nella lotta contro gli austriaci. La II guerra d’indipendenza vide infatti fronteggiarsi nel 1859 le truppe franco-piemontesi (che contavano 120.000 francesi e 30/40.000 italiani) contro 130.000 uomini dell’esercito austriaco.
    Una sequenza di battaglie sempre più cruente al punto che, dopo la sanguinosa battaglia di Magenta del 4 giugno 1859, una nuova tonalità di colore rosso, appena inventata a Parigi, fu chiamata proprio “magenta”. La madre di tutte le battaglie fu però quella di Solferino, tra francesi e austriaci, e di San Martino, fra piemontesi e austriaci, tenutasi nella storica giornata del 24 giugno 1859. Ecco le crude cifre di questi combattimenti: le truppe schierate prevedevano complessivamente 83.000 francesi, 35.000 piemontesi, 126.000 austriaci. Al termine, tra feriti e morti si contavano 32.000 perdite per i francesi, 12 000 per i piemontesi e 56.000 per gli austriaci; 27.000 caduti sul campo diventati poi circa 40.000 con i morti per ferite. Combattenti in realtà appartenenti a tante etnie, impegnati in una battaglia che è stata contemporaneamente guerra civile, con tanti peninsulari arruolati anche presso gli austriaci, e vera e propria guerra europea.
    Solferino e San Martino sono luoghi dove il dialogo con la memoria non è stato accantonato. I rispettivi ossari senza distinzioni di nazionalità, creano una sorta di biblioteca di vita umane, sulle quali si fonda il nostro tricolore nazionale. In queste località, piccoli e suggestivi musei, estremamente coinvolgenti, alimentano il ricordo della battaglia, illustrata attraverso armi, cimeli, oggetti, documenti, pannelli illustrativi, restituendo all’evento, una dimensione più umana.

    • Durata00:29:45
    • Pubblicato il10/06/2012
  • La nascita del capitalismo - Il Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    Nella ventiduesima puntata l’attenzione si concentra sulla città di Firenze, attraverso un percorso presso il Museo della Confraternita della Misericordia, il Museo dell’Opera del Duomo, la mostra “Denaro e Bellezza” a Palazzo Strozzi, e una visita al Duomo di Prato.

    • Durata00:30:28
    • Pubblicato il03/06/2012
  • Michelangelo Nicodemo - Il Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    All’età di 88 anni Michelangelo muore a Roma il 18 febbraio 1564. L’ultima opera del Michelangelo, la “Pietà Rondanini”, conservata oggi al Castello Sforzesco di Milano, è l’espressione compiuta del non finito, un linguaggio consapevole a tutti gli effetti. Un linguaggio già sperimentato in passato dall’artista, sia in scultura, sia in architettura. Un percorso cominciato da moltissimo tempo, fin dagli albori della sua produzione creativa, così come abbiamo visto nel corso delle precedenti due puntate dedicate all’artista. La “Pietà Rondanini” esprime un altro segno fondamentale del linguaggio dell’artista, quello del suo dialogo personale con Cristo. Si proviene da anni di forte turbolenza politico-religiosa, con la questione della Riforma che ribolle in tutta Europa: in Inghilterra, Enrico VIII fa lo scisma, in Germania le cose vanno male per papa e imperatore e si forma la Lega Smalcaldica degli stati protestanti, quella che porterà dopo vent’anni di lotta alla norma del cuius regio ejus religio. In Italia si tenta ancora la mediazione con Contarini, Bembo e Reginald Pole che vengono tutti e tre fatti cardinali da Paolo III, papa che si rivela molto più tollerante del previsto, forse perché, anche dalle parti nostre, la Riforma riceve consensi. L’ultimo tentativo di accordo sarà proprio quello del concilio di Trento, iniziato nel 1545 e terminato nel 1563. Curiosamente, pochi giorni prima della morte di Michelangelo, si dà luogo alla decisione del Concilio di Trento di apporre i famosi “braghettoni” nel “Giudizio Universale”, con il fine di coprire le parti ritenute oscene. Prima che il Concilio mettesse fine all’intera vicenda, tanta Italia dell’intellighenzia di allora, tra cui tante donne, libere e tendenzialmente eretiche, tutte d’alto lignaggio (Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga, Caterina Cybo, Renata di Francia ed altre), non era così distante dalle posizioni della Riforma. La punta di un iceberg, espressione di un vento riformatore che in Italia aveva dimensioni piuttosto considerevoli fra artisti e intellettuali. E’ questa l’atmosfera nella quale Michelangelo scolpisce la “Pietà Bandini” attualmente al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, una delle sue ultime opere, nella quale inserì un proprio autoritratto nella figura di Nicodemo. Il nicodemismo è la pratica di chi, in quegli anni è protestante ma lo nasconde. Il termine deriva dalla vicenda del fariseo Nicodemo che, secondo il Vangelo di San Giovanni andava di notte e di nascosto ad ascoltare Gesù. Michelangelo era forse nicodemico?

    • Durata00:30:15
    • Pubblicato il27/05/2012
  • Michelangelo, l'urgenza del creare - Il capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    Si riparte dal 1505, quando Michelangelo ha trent’anni e viene chiamato a Roma da Papa Giulio II. A Roma approda con la fama dello scultore massimo della sua generazione, per preparare il monumento alla gloria perenne del Papa, la sua tomba. Il Papa però gli commissiona anche gli affreschi della Cappella Sistina. E lui che fa? Riporta i prototipi che aveva preparato per le sculture della tomba di Giulio II, trasferendoli in pittura. Michelangelo crea così un linguaggio pittorico nuovo, che corrisponde a una invenzione straordinaria: non volendo lui fare solo il pittore, inserisce i suoi affreschi non più in pareti delimitate divise in pannelli, come s’era sempre fatto da Giotto in poi, ma li piazza in una architettura dipinta, creando una vera e propria architettura del cielo. Non potendo rinunciare alla plasticità, si fa lui stesso architetto, costruendo, non a caso, un ambiente platonico, in quanto il mondo delle idee è metaforicamente sempre in alto. Il successore di Giulio II, Papa Leone X incarica Michelangelo, nel 1519, di iniziare a concepire le Tombe Medicee, la Sacrestia Nuova. Il rapporto tra Michelangelo e Leone X è un rapporto assolutamente intimo e consolidato perché i due sono cresciuti assieme nelle scuole dei giardini Medicei a Firenze. La tomba di Lorenzo, duca d’Urbino che muore proprio in quel 1519, è una delle sculture più note della storia dell’umanità. Altrettanto significativa è la tomba di Giuliano, duca di Nemours, fratello di Leone X, morto tre anni prima all’età di 38 anni, quindi uno di quei giovanotti con i quali probabilmente lui, Michelangelo, era stato a scuola. Due ritratti ideali, neoplatonici nella loro esecuzione perfetta, così come sono neoplatoniche, in un altro senso, le coppie di statue sottostanti, volutamente non finite. Sotto Leone X, Michelangelo vive pure la profonda crisi di quegli anni, quando Lutero si stacca dalla Chiesa di Roma e, dopo un breve quanto inutile tentativo di riconciliazione durante il brevissimo papato del filoimperiale Adriano VI, giunge al soglio pontificio nel ‘23 l’altro Medici, Clemente VII, che avrà la sfortuna d’assistere allo sfascio del sacco di Roma nel ‘27. All’ansia della creatività s’aggiunge così l’ansia della politica: Michelangelo, ormai pittore, scultore e architetto, attuando un percorso di mutazione non dissimile da quello di Giotto, entra in una nuova fase di sensibilità, esemplificata da un disegno, così importante per lui da firmarlo come opera compiuta, che ricorda il Compianto di Niccolò dell’Arca studiato a Bologna, con gli stessi svolazzi attorno al grido. Una anticipazione di una coscienza profondamente moderna. E così, dopo aver accompagnato in questa puntata Michelangelo praticamente fino ai suoi sessant’anni, restano da raccontare gli ultimi trenta della sua lunga esistenza creativa.

    • Durata00:30:34
    • Pubblicato il20/05/2012
  • Michelangelo Neoplatonico - Il capitale di philippe Daverio

    Cultura

    Questa settimana: un mini-ciclo di tre puntate dedicato a uno dei più grandi artisti italiani di tutti i tempi, Michelangelo. Si parte affrontando il tema del suo rapporto con il neoplatonismo, la corrente culturale e filosofica più influente nel corso degli anni della sua formazione fiorentina. Michelangelo infatti frequentò la scuola dei Giardini di San Marco, una sorta di prima Accademia d’arte, allestita da Lorenzo il Magnifico, dove entrò in diretto contatto con il clima culturale fiorentino più avanzato e raffinato. Per Michelangelo l’idea coincide con il progetto e il rapporto idea-progetto è tipico del pensiero dei neoplatonici. Come ben illustra in un suo intervento lo storico dell’arte Claudio Strinati, ospite della puntata, questa attitudine dell’artista si riscontra in modo evidente nella lunga gestazione della Tomba di Giulio II, durata quasi quarant’anni: il progetto iniziale era oggettivamente irrealizzabile, ma questo non interessa a Michelangelo, in quanto il suo centro d’interesse era l’idea, non il possibile o l’impossibile. Altri perfetti esempi neoplatonici sono la Pietà Vaticana, realizzata negli anni 1497-99, dove la Vergine rappresenta l’immagine assoluta della purezza sino a travalicare il suo stesso tempo storico; il David, scolpito tra il 1501 e il 1504 e originariamente collocato in Piazza della Signoria a Firenze, nel quale la forma è stata ritrovata in un blocco di marmo non perfetto, perché perfetta è la forma in sé; il Bacco (1496-97, Museo del Bargello di Firenze), che raggiunge la sua estasi creativa nell’ebbrezza, quella che per Platone era l’entusiasmo, l’entrata in comunione con il Divino. Seguendo un percorso creativo di assoluta coerenza di pensiero, si giunge sino alla creazione della Cappella Sistina, iniziata nel 1508, che fa emergere la figura di Michelangelo come uno degli intellettuali più solidi della sua epoca.

    • Durata00:29:41
    • Pubblicato il13/05/2012
  • Borghesia decoro totale

    Cultura

    Un quadro, venduto a 135 milioni di dollari nel 2006, battendo tutti i record di allora, è il protagonista della storia di questa settimana: si tratta del “Ritratto di Adele Bloch Bauer”, dipinto da Gustav Klimt nel 1907, un’opera dalla storia straordinaria e, per certi versi, avventurosa.

    • Durata00:30:04
    • Pubblicato il06/05/2012
  • Post-trans - Il Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    Trenta anni fa si è iniziato a parlare di civiltà post-industriale, con l’ipotesi di un’inversione di tendenza nello sviluppo della catena del progresso inteso solo come crescita ininterrotta. Si è cominciato così ad attribuire un valore più alto all’ecologia come nuova etica, alimentando nel contempo un modello sempre più finanziario del capitalismo

    • Durata00:31:14
    • Pubblicato il29/04/2012
  • Save Italy - Il capitale di philippe daverio

    Cultura

    C’era una volta l’Italia. Era molto bella e molto povera: al di là della crisi attuale, ora è molto meno povera e molto meno bella. Il Capitale di Philippe Daverio, prova a immaginare un futuro in cui il Bel Paese rimanga agiato e torni ad essere bello. Ecco un esempio, un’ambientazione significativa che spiega alla perfezione il filo di questi ragionamenti: uscendo da Roma, percorrendo la Tiburtina in direzione di Tivoli, risalendo il percorso del fiume Aniene, si scopre una bella zona collinare, che un tempo era passaggio quasi obbligato per il gran tour. Un paesaggio di grande suggestione, purtroppo oggi parzialmente compromesso dall’insorgere di un’anonima e mesta periferia che ne ha ferito in maniera quasi irrimediabile l’immagine storica e naturale. Alcuni territori sono però rimasti miracolosamente incolumi: Villa Adriana, luogo ancora ricolmo di antica magia intatta, che ha commosso migliaia e migliaia di turisti dei secoli passati e dei nostri giorni; Villa d’Este, gran meraviglia sia in senso artistico sia ambientale; Villa Gregoriana, con la grande cascata e gli annessi templi della Sibilla e di Vesta. Anche fuori da queste aree storiche, sostanzialmente ancora ben protette dall’incuria e dall’indifferenza, ci sono sprazzi di territorio che appaiono incontaminati, come per esempio l’area naturale intorno al Ponte Lupo, un pezzo di agro romano rimasto intatto, con un paesaggio identico a quello che vedevano i viaggiatori dei grand tour del XVIII secolo. Uscendo da qui purtroppo finisce l’idillio e inizia la cruda realtà di oggi: basta tornare sulla strada, girare le telecamere senza “censura” ed emergono senza alcuna pietà i segni dissonanti e distorti della barbara incuranza contemporanea; basta leggere le cronache e apprendere che non lontano da questi territori si sta addirittura pensando di impiantare la futura discarica di Roma: a 700 metri in linea d’aria dalla villa di Adriano e sul compimento degli antichi acquedotti, che sono tuttora il bacino idrico di Roma moderna, nel contesto di un’area archeologica di somma importanza dove gran parte degli scavi sono ancora da compiere. Una discarica che potrebbe cancellare definitivamente il tracciato storico di questo territorio, già vilipeso da un secolo intero di piccoli interessi, incurie e disattenzioni. Nulla è ancora perduto, perché questo patrimonio è ancora salvabile se l’Italia comincia a credere per davvero al suo “capitale”. Si potrebbe ricominciare proprio da qui …

    • Durata00:30:33
    • Pubblicato il22/04/2012
  • Cuba, Rivoluzione Piccolo Borghese - Il Capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    Si conclude la lunga indagine su Cuba. Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

    • Durata00:31:02
    • Pubblicato il15/04/2012
  • Cuba rivoluzione borghese Il capitale di Philippe Daverio

    Cultura

    Cuba: la sua storia, costellata da oltre un secolo e mezzo di rivoluzioni

    • Durata00:30:22
    • Pubblicato il08/04/2012
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