19/04/2024

Notizie TGR:

PLACIDO RIZZOTTO

Fu rapito e portato nelle campagne di Rocca Busambra, poco fuori Corleone. Lì fu massacrato di botte e ucciso a colpi di pietra. Il suo corpo fu buttato in una foiba per far sparire ogni traccia e per cancellare soprattutto l'impegno civile di un giovane sindacalista che aveva sfidato il potere dei proprietari terrieri e della mafia.

In questo modo atroce finì l'esistenza di Placido Rizzotto, segretario della camera del lavoro di Corleone, il paese di Luciano Liggio, Bernardo Provenzano e Totò Riina. Era il 10 marzo del 1948, un epoca in cui i contadini siciliani combattevano contro la miseria e trovarono al loro fianco sindacalisti e capilega.

Solamente dopo 64 anni Placido Rizzotto ha ottenuto una degna sepoltura, con il riconoscimento del suo valore in un funerale di Stato. Un riconoscimento arrivato non solo dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dalle massime cariche dello Stato e del sindacato, ma soprattutto dai corleonesi che con un lungo e affollato corteo funebre hanno accompagnato le spoglie del sindacalista antimafia dalla chiesa Matrice di San Martino fino al piccolo cimitero del paese.

Per dimostrare l'affetto nei confronti di un figlio della loro terra che ha sacrificato la sua vita per rendere quella terra più giusta e più libera dai poteri criminali. Per ricordare che Corleone non è solo il paese dei mafiosi.

“Corleone è sempre stato il paese di Placido Rizzotto – rivendica con orgoglio un giovane al microfono della Tgr – è sempre stato accanto a noi”.

La storia e la fine di Rizzotto è simile a quella di altri 55 sindacalisti e capilega che, nel dopoguerra, furono rapiti, torturati e uccisi dalla mafia. La loro colpa era quella di pretendere il rispetto di una legge, varata dal ministro Fausto Gullo nel 1944, che prevedeva l'assegnazione di terreni incolti alle cooperative di agricoltori disoccupati.

Un torto che i latifondisti non potevano sopportare e per mano della mafia fecero reprimere nel sangue ogni tentativo di rivolta contadina.

Come accadde a Portella della Ginestra, il primo maggio del 1947, quando le celebrazioni per la festa del lavoro si conclusero con l'assassinio di 12 persone e oltre 30 feriti. A sparare fu il bandito Salvatore Giuliano, il movente e i mandanti ancora sono sconosciuti.

In quegli anni, si legge in una relazione della commissione parlamentare antimafia “Il politico accetta l’appoggio del mafioso, sia in termini elettorali, sia in termini di controllo – anche per suo conto – del territorio e in cambio garantisce al mafioso coperture istituzionali e appoggi per ottenere pubblici appalti. Un rapporto di scambio, dunque, nel quale si attua una relazione sostanzialmente alla pari, ove tuttavia la politica si riserva una sorta di primato, essendovi da parte del politico la convinzione di poter “gestire” il rapporto con la mafia”.

Per decenni sono stati ignoti anche gli ispiratori dell'omicidio di Rizzotto.

Ad assistere al suo massacro fu un pastorello di 9 anni, Giuseppe Letizia, che i mafiosi si premurarono di mettere a tacere.

Se ne incaricò il medico e boss di Corleone Michele Navarria, che fece ricoverare in ospedale il bambino per uno stato di malnutrizione e lo uccise iniettandogli in vena una bolla d'aria.

Dopo le indagini condotte dall'allora comandante della stazione dei Carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, furono arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che confessarono di aver ucciso il sindacalista insieme a Luciano Liggio, all'epoca boss emergente.

Furono tutti assolti per mancanza di prove, dopo aver ritrattato la loro confessione.

“Bisogna riaprire la indagini sulla morte di Placido Rizzotto” è stato l'appello del segretario generale della Cgil Susanna Camusso durante i funerali di Stato. Appello accolto dopo appena due giorni dalla Procura di Palermo che ha deciso di riaprire il caso, indagando contro ignoti.

Solo nel 2009 i resti di Placido Rizzotto sono stati recuperati dalla foiba di Rocca Busambra e nel marzo 2012 l'esame del Dna ha confermato che quelle ossa appartengono proprio al sindacalista ucciso nel 1948.

Dopo 64 anni c'è un corpo da sotterrare, ma ancora non c'è un colpevole dei tanti omicidi di mafia di quegli anni.

“Bisognerà scoperchiare molte tombe – ha detto Placido Rizzotto, il nipote del sindacalista assassinato, che porta il suo stesso nome – per scoprire la verità su quei delitti che rappresentano i primi misteri della nostra Repubblica”.

Alfredo Di Giovampaolo

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