29/03/2024
21/01/2011


Uno sguardo su tutto il mondo del fumetto e su tutto il mondo, visto dai fumetti

V for Vendetta today
Analisi dell'immaginario di un fumetto diventato simbolo della protesta 2.0

 


Da quando è uscito nelle sale il film di “V per Vendetta”, nel 2005, l'immaginario di simboli, slogan, manifesti politici e sociali presentato all'interno della pellicola è stato pian piano assorbito come fonte di ispirazione per una “lotta dal basso” degli utenti web italiani.

I dialoghi e i monologhi del protagonista hanno ispirato gran parte del movimento del Popolo Viola, che li ha proposti e rilanciati all'interno delle loro pagine di Facebook o come firma nei forum.
L'immoto sorriso della maschera di V, il protagonista, si è moltiplicato in innumerevoli avatar dei profili degli utenti, spesso proposto anche come “catena di sant'antonio” di contestazione contro il Governo e Berlusconi.
Il simbolo del celebre “Vaffa-Day” di Beppe Grillo è pesantemente mutuato dal graffito con cui V si firma, che poi altro non è che la “A” anarchica rovesciata. Lo stesso Grillo, sul suo blog, si è non poco ispirato ai discorsi del protagonista del film, che punta a un totale annullamento del governo precostituito e a una gestione dello stato completamente dal basso, dove ogni cittadino ha la piena responsabilità della sua vita e dell'amministrazione del Pubblico.

Ma per quanto interessante e ricco di spunti sia il film, è praticamente nulla rispetto al fumetto originale – che ben pochi conoscono e ancore di meno hanno letto.
“V for Vendetta”, opera di lunga gestazione di Alan Moore e David Lloyd, iniziata nel 1981 e portata a compimento solo nel 1988, è uno dei capolavori della letteratura a fumetti (ma anche della letteratura tout court). Intrisa di un fortissimo spirito anarchico (che nel film è invece molto blando), la storia ruota intorno a un eroe (o terrorista, sta al pubblico ragionarci su) che si oppone a un governo dittatoriale fascista in un'Inghilterra distopica.

E qui arriviamo al centro del nostro discorso. V for Vendetta è diventato simbolo di tante proteste sul web perché in molti hanno trovato nella dittatura narrata nella finzione, notevoli similitudini con lo stato attuale delle politica italiana.
Ma se si rilegge la trama, con un occhio anche alla cronaca di questi giorni, di queste ore, salta all'occhio una notevole discrepanza.

Apriamo il volume. Quinto capitolo: “Versioni”. La prima versione, la voce narrante è quella del leader, l'uomo che governa la nazione: “Mi chiamo Adam Susan, sono il Leader. (…) Non permetto che si parli di libertà, né sociale, né individuale. Questi sono lussi. Io non credo ai lussi. (…) Riservo forse a me stesso la libertà che nego agli altri? No. Siedo qui nella mia gabbia e sono solo un servitore. Io, che sono il padrone di tutto ciò che vedo. (…) Non sono amato. Questo lo so. Né nell'anima né nel corpo. Non ho mai conosciuto il morbido sussurro della tenerezza. Mai la pace che si trova tra le cosce di una donna. Ma sono rispettato. Sono temuto. E questo sarà sufficiente.”
Ecco, pure nella immensa fantasia di Alan Moore, un capo del governo dittatoriale, esaltato, spietato, totalitario, è così preso dalla sua brama di potere, di controllo sulla nazione, che non ha tempo e testa e voglia di fare altro. “Megghiu cumannari ca futtiri” dice un vecchio proverbio siciliano e persino il Leader fascista in VfV non esce da questo stereotipo.

Certo, il suo entourage non è altrettanto parco e casto. Nel mondo immaginario di VfV la prostituzione è reato punibile anche con la morte, ma il vescovo di Westmister come hobby intrattiene rapporti carnali con le minorenni, protetto e supportato dalla polizia di Stato. Ma il Leader no, il Leader non può concedersi debolezze fisiche. Il suo amore è tutto verso il Potere.

Ma è uno stereotipo vecchio, sorpassato, impolverato. Forse funziona nella narrativa, ma non nella realtà. Nella realtà, come un novello Catalano di arboriana memoria, il capo del governo ha rinfrescato e rammodernato il proverbio siciliano: ‘“Megghiu cumannari e futtiri”.


Seconda versione, seconda discrepanza; la voce narrante è quella di V, impegnato in un monologo rivolto verso la statua che rappresenta la Giustizia, sul tetto dell'Old Bailey: “(…) Madama Giustizia… le presento V.” “V… ella è madama Giustizia” “Salve Madama Giustizia.” “Buona sera, V” “Ecco fatto, ora ci conosciamo. A dire il vero la ammiro ormai da tempo (…) la prego di non pensare che fosse solo una cosa fisica, so che lei non è una di quelle. No, io la amavo come persona, come ideale (…) ma alla fine si è svelata. Non è più la mia giustizia. E’ la sua giustizia ora. (…) Neghi pure di avergli lasciato fare cio’ che voleva, con la sua fascia al braccio e la sua prepotenza!”

Cosa ci distingue insomma, cosa ci separa da una dittatura totalitaria e senza via di uscita come quella dipinta in VfV? La Giustizia.
In VfV la Giustizia si è piegata alla prepotenza e alla forza del Leader. Ormai è annullata, innocua, inoffensiva.
Fin quando la Giustizia sarà autonoma e non piegata ai voleri del Capo del Governo, saremo ancora lontani dalla agghiacciante ucronia presentata da Moore.

Un ultimo appunto, in conclusione. Il finale del film è quasi di speranza. Tutto il popolo si unisce e si ribella contro gli oppressori. Tutto il popolo diventa V, si mette la maschera, si immedesima nella sua idea di libertà e di lotta per essa, e si riprende in mano il proprio governo.
Il fumetto originale invece lancia un monito spaventoso quanto importante: la gente, senza più un governo dittatoriale, deve governarsi da sola. L’anarchia, la libertà vera, questo pegno richiede. Diritti e doveri nelle mani di ciascuno di noi. Nessun controllore, nessun impositore. Il governo, la regola, deve venire da un’etica interna. Partire dal singolo, che deve farsi carico del tutto.
Ma una nazione resa ignorante, barbara, caprona, nel corso dei decenni, non è detto che sia pronta a questo. E quindi si scatenano tumulti, altri centri di potere cercano di ripristinare l’ordine costituito, la città brucia.
Insomma, il messaggio di VfV è chiaro: caduto il Leader, il percorso non è finito, ma solo all’inizio.