La prospettiva di chi è sul campo


Quando si parla di realtà virtuale non si tratta solo di tecnica e di modi diversi di raccontare qualcosa, è anche e soprattutto una questione di storie. Questo è il motivo per cui abbiamo parlato con Jens Franssen, corrispondente di guerra per la VRT, l’emittente pubblica belga, che ha partecipato alle riprese di un documentario a 360 gradi sul petrolio di guerra in Siria.

Quali sono gli aspetti su cui si è concentrato di più  nel raccontare la recente crisi dei profughi?

Mi sono concentrato principalmente sui conflitti in Siria e in Iraq, perché i conflitti sono i principali motori della crisi dei profughi. Dal momento che sono specializzato in conflitti armati e in Medio Oriente, ho continuato a viaggiare in queste regioni.

Qual è il rischio maggiore che si corre nel coprire una storia del genere?

Lavorare in Siria, come ho fatto ogni anno sin da quando la guerra è cominciata,  comporta dei rischi. Tuttavia provo a minimizzarli lavorando in aree in cui il fronte è più o meno stabile, con una squadra esperta e basandomi fixer affidabili in loco. Comunque, lavorare vicino al fronte resta rischioso.

Lei pensa che le emittenti riescano effettivamente a far comprendere al pubblico cosa sta accadendo?

Almeno alla VRT noi investiamo molto sulla copertura del conflitto siriano e sulla crisi dei profughi.; l’abbiamo coperta in diversi paesi,  online alla radio ed in televisione.

Quali sono le cose da fare e da non fare quando si tratta il tema dei minori rifugiati?

Quando parliamo di  bambini rifugiati seguiamo un codice molto severo che si applica a tutti i bambini che appaiono in trasmissione. Lavoriamo con il permesso dei loro genitori o dei rappresentanti legali e rispettiamo la loro vulnerabilità. Non devono essere presentati in luce negativa in nessun modo.
 

Ed ora parliamo di realtà virtuale e del video a 360 gradi che ha girato di recente in Siria.

La realtà è la prossima frontiera del giornalismo? Quanto è praticabile tecnicamente, ma anche in termini di costi e di etica?

È un modo nuovo, stimolante ed entusiasmante di riportare e raccontare storie. Tecnicamente il materiale è ancora ad un livello base quando si parla di qualità. Per quanto riguarda l’etica, non vedo molte differenze poiché il codice di condotta e i principi basilari del giornalismo restano.
In termini di costo la realtà virtuale è costosa per i singoli utenti, tuttavia, se la si riesce a rendere un “extra” rispetto al giornalismo radiofonico o televisivo, allora può già essere più conveniente. Per esempio nel mio caso io sono andato in Siria per raccontare cinque anni di guerra per la televisione e per la radio. Riprendere in realtà virtuale è stato un extra.

Quali sono i pro ed i contro di esperienze “di immersione” quando si tratta di notizie?

I contro sono che la realtà virtuale è ancora tecnicamente in evoluzione e che l’hardware non è ancor a livello professionale. Il modo di narrare è diverso e a volte impegnativo.
Per quanto riguarda i vantaggi, la realtà virtuale è una forma completamente nuova di narrazione. Temo che vedremo molti film spettacolari in realtà virtuale, privi di qualsiasi tipo di storia reale. Credo che le storie siano fatte dalle persone. In questo modo (alcune) vecchie regole della narrazione manterranno il loro valore.

Quando la realtà virtuale diventa troppo?

A ragion veduta, realizzo le mie storie molto lentamente, rispetto a quelle per la radio o per la televisione. Quindi lo spettatore può prendersi il tempo per esplorare. Cerco di evitare immagini in cui succedono troppo cose contemporaneamente, sempre che non siano parte della storia.

Quale significato potrebbe avere la VR quando si tratta di raccontare storie molto cariche umanamente, come la crisi migratoria?

La realtà virtuale è una tecnologia meravigliosa per raccontare le storie umane. In questa maniera, persino quando si tratta di profughi crisi migratoria, può essere un modo splendido per raccontare storie. Se ben realizzata, può aiutare a calare lo spettatore nella situazione.