Dare una voce alle persone comuni in prima linea


A volte ciò che serve per fare risuonare una storia nel cuore di molti è trovare la prospettiva giusta.
È quello che ha fatto la giornalista della BBC Emma Jane Kirby con una serie sugli italiani comuni che si sono trovati ad affrontare la crisi migratoria a Lampedusa, che ha realizzato per PM, un programma in onda su BBC Radio 4. Le abbiamo chiesto come è nata questa idea e perchè ha scelto di raccontare questa storia alla radio.

Per quanto tempo è rimasta a Lampedusa per lavorare alla serie? In che modo si è mossa per costruire queste storie?

Abbiamo trascorso cinque giorni in Sicilia, la maggior parte a Lampedusa. Avevo una fixer lì e le ho chiesto di trovare storie che potessero funzionare per un tipo di serie che noi chiamiamo “una giornata nella vita di”. L’idea è nata perché ero consapevole del fatto che il pubblico fosse annoiato. Le persone stavano cominciando a perdere l’attenzione, c’erano troppe voci e immagini di persone che affogavano e le storie di migranti si mescolavano e fondevano insieme. Era facile dimenticare che ad affogare erano delle persone, che a loro volta avevano delle famiglie.
Dovevamo ricalibrare l’attenzione e per questo abbiamo ribaltato la storia, parlando di italiani che hanno aiutato gli immigrati. In questo modo abbiamo raccontato la storia di singole persone, riportando l’obiettivo sugli individui e non su una massa informe e senza nome. Gli ascoltatori sono arrivati ad avere la sensazione di conoscere i protagonisti della serie. Dopo avere ascoltato le storie ed essersi messi nei loro panni, volevano aiutare in qualche modo.

Pensa che la narrazione radiofonica sia più adatta a questo tipo di storie rispetto al video?

In generale nella nostra copertura delle notizie perdiamo molto; è un tipo di comunicazione che svanisce in un lampo. Mentre si ascolta questa serie, invece, si è costretti a guardare, si è lì con Maria Grazia e si ha paura come lei perché si teme di rimanere senza cibo, si sta lì in piedi con il becchino. Questo modo di raccontare funziona molto bene alla radio.
Se si perde una lacrima che cade dagli occhi di Francesco in video non si può tornare indietro. Ma con la radio la si può vedere, sentire e raccontare. Ho lavorato molti anni in televisione, ma posso dire che preferisco fare radio; siamo saturi di immagini e la radio permette di tracciare un quadro più ampio e molto più autentico.
 
Qual è la storia che le è rimasta più impressa?

Decisamente quella dell’ottico. È una storia così importante. Lui era come ognuno di noi. Non aveva nulla a che fare con gli immigrati. Poi si è trovato nel mezzo di un naufragio. Avrebbe potuto essere uno spettatore, ma si è reso conto che non sarebbe stato abbastanza.
Un’altra storia che rimarrà con me è quella di un ingegnere informatico siriano che ho incontrato a Calais. È stato bloccato lì per mesi. Sa, è facile fare un tutt’uno delle persone chiamandole immigrati quando si raccontano queste storie. Ad esempio, una volta gli ho portato del cibo e in un primo momento è stato piuttosto scontroso, prima di capire che era un gesto di amicizia, perché quello non era il ruolo che lui si aspettava da me. Poi, dopo la nostra intervista siamo andati a fare una passeggiata, un libro è caduto dalla mia borsa e lui mi ha chiesto cosa stessi leggendo. Era un libro di Dickens e abbiamo cominciato a parlarne. È stato allora che ho capito veramente chi fosse, mi ha risvegliato. Mi ha fatto ricordare che questo uomo era come te e me. Il giorno che finiremo di ricordarcene, sarà il giorno che dovremo smettere di fare giornalismo.

Molte persone sulle isole hanno che questo afflusso è andato avanti per anni e che i media ed il mondo se ne sono accorti solo negli ultimi due anni. Cosa ne pensa Lei dopo avere raccolto le storie dell’isola.

Semplicemente dicono: “guarda, siamo il primo porto disponibile, cosa possiamo fare? Non possiamo rimandarli indietro”. Naturalmente c’è anche la questione del turismo, ma ho anche incontrato un uomo molto gentile che era il proprietario di un albergo le cui prenotazioni erano calate del 50 per cento e che mi ha detto: “Non posso dare la colpa agli immigrati, come potrei? Fuggono dalla guerra”. Io non ho mai sentito nessuno dire apertamente “dovremmo mandarli via”.

La moglie dell’ottico una volta mi ha detto una cosa mentre stavamo cenando e io avevo domandato per quale motivo le tartarughe scelgono la spiaggia dei Conigli per deporre le loro uova. “Lampedusa accoglie tutto quello che il mare porta sulle sue spiagge”, mi ha detto.

Un’ultima domanda, Lei che ne pensa dell’espressione “crisi migratoria” che i media hanno utilizzato così tanto lo scorso anno.

Se ci si concentra sull’aspetto della “crisi umanitaria”, allora penso che sia positivo, nel senso che le persone si rendono conto che c’è una situazione grave in corso e che possono fare qualcosa per aiutare. Dall’altra parte, è anche un’espressione negativa perché dà l’idea che stiamo per essere invasi. È anche vero che comunque i media devono rappresentare la realtà, ovvero la realtà che Italia, Grecia, Bulgaria fanno fatica a gestire.