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"Tra parole e pensieri" di Umberto Broccoli

Cara mia vecchia Europa ti ricordi quella frase di Theodor Mommsen?
"Russicum non legitur". Così sentenziava Mommsen quando leggeva qualcosa di russo. Non si legge in russo, per cui gli studiosi saltavano a piè pari tutto quanto era scritto da quelle parti. E saltando, perdevano una quantità infinita di arte. Dalla grande letteratura, alla saggistica. Non solo Tolstoj, ma anche Rostofzeff, Gurevich e i grandi studiosi di storia, maestri del pensiero, lontani geograficamente, ma vicini, vicinissimi al pesansare dell’ occidente. "Russicum non legitur". E così si perdevano parole essenziali.
Parole importanti cariche di contenuti. Parole solo apparentemente provenienti dal freddo: in realtà, caldissime, grondanti emozioni. Forti, intense. Tagliate nel bianco del ghiaccio e della neve. Quasi ossessive per questo: emozioni trasportate dal vento gelido della tempesta e pronte a riscaldare l’ anima...
Emozioni figlie di quel paesaggio sempre uguale, di inverno. In un inverno tagliato nel cielo grigio e abbagliato dal bianco della neve...
Nelle notti impossibili a viversi se non chiusi in casa. Attaccati al fuoco del camino, consolati dal fuoco della vodka, illusi dal fuoco della speranza di veder finire prima quell’ inverno fin troppo presente nella vita di uomini e animali.
E quel vento: freddo, forte, sibilante. Quasi parlante, quasi urlante. Stride, quel vento: sembra portare con sé il lamento di chi ha visto solo neve e ghiaccio nella sua vita. Stride quel vento: e gela lo sguardo degli uomini sorpresi all’ aperto. Uno sguardo fermo, deciso, millenario, abituato a soffrire. Ma sempre pronto, però, ad aiutare chi soffre quel vento per la prima volta...
...coem quelle colonne dei nostri soldati. Nere come le formiche, in cammino con scarpe improbabili, su una neve implacabile. Fredda al punto da bruciare scarpe di cartone e pelle. Quei nostri soldati spediti a combattere contro un nemico invisibile, nascosto dallo stridore del vento. Quei nostri soldati caduti con la faccia su quella neve...ma recuperati dai russi, da quei russi abituati a farsi frustare dal gelo.
Russicum non legitur.
Ed è un peccato: perché leggendo quel russo avremmo imparato che dal gelo può nascere calore.