Contenuti della pagina

"Il culto della bellezza" di Umberto Broccoli

Cara mia vecchia Europa, forse non è esatto immaginare il culto della bellezza come una caratteristica di questi nostri anni costruiti sulla divina apparenza.
In realtà l’ uomo ha sempre fissato un canone di bellezza e ha cercato di seguirne le tracce. Anche se quelle tracce andavano in una direzione opposta alla realtà. Nel mondo antico, l’ uomo sognava di essere bello come scriveva un signore chiamato Policleto: spalle larghe, vita stretta, torace muscoloso, occhi chiari. Come una statua greca, come i bronzi di Riace. E quel’ ideale è restato fermo nel tempo. Perché ancora oggi l’ uomo si immagina così: scultoreo, potente, imponente, ingombrante.
E la donna si adattava, cara mia vecchia Europa. Con i fianchi un po’ larghi, con il seno piccolo, con i capelli raccolti in crocchia dietro la nuca, lei (la donna) rappresentava la madre per antonomasia. Affascinante proprio per questo: proprio per la sua bellezza dimessa, tendente a sfiorire e senz’ altro sfiorita nei confronti dell’ uomo, trionfalmente eroico, tirato a lucido come una velina. Mia cara vecchia Europa: in antico, nel mondo greco l’ uomo era rappresentato come un “velino”.
E mi piace ricordare quando la donna era esibita, ma con discrezione. Mia cara vecchia Europa, mi piace ricordare quei tempi più recenti, ma lontanissimi dalla nostra epoca velata di veline. Cinquanta anni fa il modello femminile era molto più vicino al concetto di bellezza del mondo antico. La donna era quasi felice se non appariva troppo. Non rimpiango, ma sottolineo, mia cera vecchia Europa.
Sottolineo l’ abisso esistente fra la bellezza sparata in copertina al giorno d’ oggi e le bellezze di quell’ Italietta degli anni Cinquanta e Sessanta.
Anche loro provocanti, le donne tendevano a rappresentare l’ universo domestico. Una bellezza di allora, sparata in copertina, poteva venirti incontro anche per strada. Non apparteneva al pianeta televisivo, non era una aliena difforme e lontana dalle altre donne. E camminava con i piedi per terra.
Mia cara vecchia Europa: la bellezza delle donne di ieri sapeva di borotalco e saponetta “con una goccia di profumo francese”, decantata dalla pubblicità. E di rossetto colorato a tinte forti: una condanna per l’ uomo, destinanto a mostrare suo malgrado le tracce di un bacio, più o meno casto.
La bellezza era circondata dal profumo di lavanda: fresco, limpido, pulito. Non aggressivo e dolciastro come i profumi francesi. Ma domestico, quotidiano, impastato con relitti di aromi del bucato: fresco di candeggina e sapone di Marsiglia.
Una bellezza affascinante proprio per la semplicità diffusa, mia cara vecchia Europa Una bellezza raggiungibile dall’ uomo e –soprattutto- dalla donna che non doveva entrare in una casa di restauro, prima di uscire dalla porta di casa.
Cara mia vecchia Europa: ancora una volta non è nostalgia, ma ricordo. Un ricordo per confrontare stili e situazioni. Un ricordo per far riflettere e proporre elementi di interpretazione della nostra quotidianità, riflessa nello specchio deformato di una realtà virtuale e televisiva.
Nella quale le donne sono bellissime, ma irreali. Non incontrerete mai per strada una letterina, una velina, una parolina, o qualsiasi altra apparenza femminile da televisore.
Personalmente non me ne rammarico, mia cara vecchia Europa: preferisco aprire gli occhi sulla realtà femminile quotidiana, lontana dalla divina apparenza. Con tutti i difetti della quotidianità, lontana dalla divina apparenza. Ma con un pregio unico: la realtà della umana sostanza.