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Kindergarten

Matteo Toni, Il Testimone, Ants Army Project e molti altri...

Kindergarten del 22 marzo 2013

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    Matteo Toni “Santa Pace”, Still Fizzy Records/Fabbrica 2012

    Il modenese Matteo Toni ha alle spalle una carriera densa di collaborazioni e progetti, e una lunga militanza nei “Sungria”, band di derivazione funky/hip-hop e reggae. Ottimo chitarrista appassionato di slide-guitar, tanto da farsene costruire una, qualche anno fa ha deciso di intraprendere la carriera solista, dando alle stampe un primo EP, “Qualcosa nel mio piccolo”, prodotto da Moltheni, che ha ottenuto buoni riscontri di critica. Con questo disco, prodotto invece da Antonio “Cooper” Cupertino, si mette alla prova sulla lunga distanza, dimostrando grande maturità artistica. Le soluzioni armoniche soul e blues sono colorate in alcuni pezzi da sonorità più ruvide e graffianti, in altri più reggae e caraibiche, senza disdegnare il pop orecchiabile ma raffinato. A completare il tutto, liriche non banali e una capacità compositiva di tutto rispetto. Una specie di Ben Harper italiano, ma sicuramente una delle migliori uscite degli ultimi mesi. P.C.

     

     

     Il Testimone “Il Testimone”, Pagina3/Audioglobe 2012

    Alternative rock all’italiana: questa la definizione più calzante per andare ad inquadrare rapidamente il sound de “Il Testimone” gruppo nato dalle ceneri degli umbri Cardio e che fa uscire quest’esordio nella primavera del 2012 senza troppi clamori. La produzione del disco è affidata a Paolo Benvegnù e segna profondamente il lavoro, dando un’impronta meno prevedibile alle composizioni di Alberto Fabi, voce e autore dei testi. Archi, cambi perentori di andamento, uptempo non troppo riusciti, cavalcate di pianoforte e chitarre condite da una ritmica in cui si sente forte la mano dell’ultimo Benvegnù, come in Nebbia, brano in cui il nostro presta anche la voce: questi alcuni degli elementi che caratterizzano il primo lavoro della band di Lama. Si tratta nel complesso di un buon disco, con alcune belle canzoni sopra la media, che però non convince del tutto per deficit di personalità e che rischia di finire presto archiviato senza aver troppo inciso nel magma delle produzioni discografiche italiane. P.C.


    Ants Army Project “Wooden Days” , Tea Kettle Records 2011

    Gli Ants Army Project (che da poco si fanno chiamare solo Ants) sono una band giovanissima di Piacenza all’esordio. I loro “giorni di legno” nascono nella campagna emiliana ma profumano spiccatamente di America, quella immaginata ascoltando i Richmond Fontaine, i Wilco o gli Okkervil River, quella che sa di periferia rurale e abbandonata “in the middle of nowhere” esattamente quanto può esserlo quella padana. In fin dei conti, date le similitudini, tutto sommato l’America non poi così lontana (Tra la via Emilia e il West, diceva Guccini) e per immergersi nell’altrove tanto agognato non resta che imbracciare una chitarra distorcendola quanto basta ed emulare i propri eroi. Ma non solo di esercizio imitativo si tratta: il disco convince per soluzioni sonore all’insegna di chitarre stratificate, per canzoni ben scritte ed evocative e per la voce graffiante di Michele Chiappa che si cala perfettamente nella parte. E in più, hanno dalla loro l’età: staremo a vedere. P.C.
     


    Santo Barbaro “Navi”, Cosabeat 2012

    I Santo Barbaro sono il progetto musicale nato dalla mente di Pieralberto Valli nel 2007 inizialmente come quartetto. Lo sviluppo degli equilibri interni porta la formazione a ridursi gradualmente, arrivando ad essere ora, con questo “Navi” - la loro terza fatica - semplice duo: accanto a Valli, autore dei testi, a scrivere le musiche c’è anche Franco Naddei. A questa evoluzione dei componenti corrisponde anche una metamorfosi di genere: dalle sonorità folk-sperimentali si passa alla new wave e all’elettronica con echi di trip-hop, con l’abbandono delle chitarre e dei rimandi cantautoriali. “Navi” è un disco notturno e suggestivo, in cui a farla da padrone sono i synth e la voce calda ma sussurrata di Valli, accompagnati da preziosi inserti di piano e archi a creare suoni di grande atmosfera. I testi sono minimali e legati al flusso di coscienza che ben si amalgama alla musica. Tra gli episodi migliori e che si discostano dal mood oscuro e narcotico ci sono sicuramente “Tempesta” e “Urania”.P.C.

     

     

    Cabeki “Una Macchina Celibe”, Tannen Records 2012

    Ascoltare questo disco è stata davvero una piacevole sorpresa: innanzitutto perché dischi così in Italia facciamo fatica ad incontrarli; poi, perché la cura e la perizia dei suoni e della capacità di incastrarli gli uni con gli altri è davvero notevole e denota un talento fuori dal comune. Cabeki è lo pseudonimo di Andrea Faccioli, giovane polistrumentista veronese dal curriculum ricco di collaborazioni, giunto con questo lavoro alla seconda prova. La caratteristica principale di questa “macchina celibe” è la sua forza immaginifica, tanto da farci pensare a Tiersen o addirittura a Piovani, anche se forse il paragone più azzeccato potrebbe essere quello con i Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo: esattamente come è successo per loro non faremmo fatica a vederli come colonna sonora di un film. Musica – la loro – che racconta emozioni e scene senza bisogno di parole. Una curiosità: i titoli dei brani sono ispirati da “Le Surmâle” del maestro dadaista Alfred Jarry. P.C.

     


    Sintomi Di Gioia “Sintomi Di Gioia”, Indidacosa/Venus 2012

    I Sintomi di Gioia sono un duo piemontese formato da Luca Grossi e Fausto Franchini giunto al secondo album, in occasione del quale si sono avvalsi della co-produzione artistica di Umberto Giardini (Moltheni). Il risultato è un disco fatto di un pop-rock mellifluo e malinconico, accentuato dalla tonalità lieve e garbata della voce e in cui a farla da padrone sono i ritmi lievi del piano e degli arpeggi di chitarra, accompagnati spesso da archi e synth. I testi sono quadri nostalgici di un passato mitizzato (“non torneranno più le merendine…” citazione di Nanni Moretti in “Palombella Rossa) che si scontra con la vacuità del presente (“Varietà”) incapace di accogliere la complessità dell’umano sentire. La mano di Moltheni si sente, e dona all’album una tragicità sospesa, ma l’impressione complessiva è che manchi ancora qualcosa per incidere davvero.
    P.C.

     

     

    The Perris “Universi Piccolissimi”, Youthless Records 2012

    Autopromozione, amata e odiata. Se nel 2013 la scelta più logica è quella di mettere in free-dowload le proprie fatiche artistiche e musicali, non così scontato è premiare chi le scarica, pagando 10 euro per ogni download. È successo invece proprio così per questo disco degli emiliani The Perris, quasi dei Radiohead italiani sul piano del web-marketing, che con questa trovata hanno fatto parlare di sé quotidiani nazionali arrivando fin oltre i nostri confini (El Pais e Courrier International). E dei Radiohead i fratelli Amedeo e Nicola Perri non hanno solo le idee provocatorie in fatto marketing: le loro sonorià infatti ricordano molto quelle dei favolosi quattro di Oxford, ruotando attorno al genere indierock elettronico composto di drum machine, tastiere, synth e chitarre: canzoni il cui tratto distintivo è un ritmo ossessivo e quasi robotico. Il tutto condito da ottime melodie e dalla voce rarefatta e spaziale di Amedeo Perri, che dà un sapore mitteleuropeo al disco. Attenzione però all’originalità e al rischio di plagio (Kubrik sembra davvero un pezzo dei Radiohead) P.C.

     

     

    Moro “Silent Revoultion”, PMS Studio 2012

    Moro, pseudonimo di Massimiliano Morini, è un cantautore romagnolo che per quanto non giovanissimo con questo lavoro arriva alla seconda prova su disco. Nato inizialmente come solista, con questo “Silent Revolution” amplia la formazione e si fa accompagnare da una vera e proprio band. Rispetto al precedente, le sonorità sono meno filoamericane e più legate al pop inglese: si tratta di un lavoro dalle melodie ariose e leggere, sospeso tra soul e pop-folk sixties (a tratti ricorda i Belle & Sebastian) dotato di testi interessanti che ruotano attorno al concept delle false rivoluzioni dei nostri tempi, affrontando anche tematiche esistenziali come la forza vitale degli opposti e la paura dell’invecchiamento e della morte. Un ascolto molto piacevole che dimostra personalità e padronanza di mezzi, nonché capacità di scrivere canzoni allo stesso tempo leggere e profonde. P.C.

     

     

    Lenula “Profumi d’epoca”, Pelagonia/La Fabbrica 2012

    Hammond e rock lisergico, sprazzi di garage e assoli chitarristici retrò, conditi da un modo di cantare anch’esso d’altri tempi, o meglio sarebbe dire “datato”: questi sono alcuni degli elementi caratterizzanti questo esordio dei Lenula, giovane band brindisina che l’anno scorso ha vinto il bando di Puglia Sound per la promozione di nuove produzioni discografiche. Prodotto da Giovanni Sileno (già Leitmotiv) e co-pubblicato dall’ottima etichetta bolognese La Fabbrica, s’inserisce in quel filone un po’ selvatico e assolato del nostro rock italico latineggiante e ruvido, senza però riuscire a lasciare il segno, forse anche a causa di testi poco evocativi, sui quali occorrerebbe lavorare uscendo da certi stilemi poetici un po’ banali e retorici. Da premiare l’intento di cimentarsi tra stili e strumenti fuori moda, nonché la capacità di destreggiarsi su terreni tanto ardui. P.C. 

     

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