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Cuba, Rivoluzione Piccolo Borghese

domenica 15 aprile 2012 ore 13,20

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    Questa settimana Il capitale di Philippe Daverio, la nuova trasmissione d’arte e cultura di Raitre realizzata in collaborazione con Rai5 e prodotta dalla Vittoria Cappelli srl, conclude la lunga indagine su Cuba.

    Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

    La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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      La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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                Questa settimana Il capitale di Philippe Daverio, la nuova trasmissione d’arte e cultura di Raitre realizzata in collaborazione con Rai5 e prodotta dalla Vittoria Cappelli srl, conclude la lunga indagine su Cuba.

                Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

                La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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                Cuba, Rivoluzione Piccolo Borghese

                domenica 15 aprile 2012 ore 13,20

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                  Questa settimana Il capitale di Philippe Daverio, la nuova trasmissione d’arte e cultura di Raitre realizzata in collaborazione con Rai5 e prodotta dalla Vittoria Cappelli srl, conclude la lunga indagine su Cuba.

                  Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

                  La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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                    Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

                    La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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                      Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

                      La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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                        Per ben quattro puntate Daverio ha attraversato secoli di arte, cultura, economia e politica, ripercorrendo per grandi linee la travagliata storia dell’isola caraibica.

                        La scorsa volta il racconto si era interrotto agli inizi degli anni ’30, più o meno in coincidenza con il periodo dell’ascesa al potere di Fulgencio Batista, salito agli onori della cronaca nel 1933 con la guida di un colpo di stato militare. Autoproclamatosi colonnello, Batista diventa arbitro della politica nonché capo dell’esercito, lasciando comunque la presidenza in mano a una mezza dozzina di politici eletti, che si succederanno fino al 1940, anno in cui viene promulgata la nuova costituzione del paese, un documento dal forte contenuto progressista. Sempre nel 1940 Batista, godendo anche dell’appoggio degli studenti e del partito comunista, viene finalmente eletto presidente. Per via del limite costituzionale, che prevede la non rieleggibilità del presidente, non può però riconfermare la carica alle elezioni successive. Gli succedono il suo principale oppositore, Ramon Grau, nel 1944, e poi Prio Soccarras nel 1948. Nel 1952 si rende protagonista di un nuovo colpo di stato, a seguito del quale diventa dittatore unico di Cuba, proprio nel momento in cui l’isola sta diventando piuttosto ricca, grazie anche alle miserie dell’Europa nella seconda guerra mondiale. La testimonianza di questa particolare realtà è documentata in modo emblematico dalla bellissima sede del Museo Nacional de Bellas Artes, un edificio inaugurato nel 1953 che, al momento della sua erezione, poteva fare invidia a molti paesi del vecchio continente e anche degli USA. Questo museo può essere considerato come una sorta di manifesto di una città ricca e moderna, così come era L’Avana agli inizi degli anni ’50. Ma Cuba, in quegli stessi anni, è anche la patria delle bische e dei bordelli. La corruzione di Batista e i suoi rapporti con la criminalità determinano la crescita di una forte opposizione al regime, da cui scaturisce la figura di Fidel Castro, un giovane avvocato e agitatore universitario, proveniente da una famiglia agiata. Passa all’attacco già nel 1953, assaltando la caserma Moncada, dove però viene arrestato, restando in prigione per un paio d’anni. Ci riprova, dopo un po’ di esilio tra gli Stati Uniti e il Messico, sbarcando clandestinamente sulle coste cubane a bordo di una piccola imbarcazione, il Granma. Dopo tre anni di guerrilla, Castro e i suoi uomini, tra cui Che Guevara, conquistano, con la simpatia del popola di Cuba, L’Avana. La sera prima del Natale 1959, Batista scappa con la cassa e a Cuba si fa festa pensando a un giusto rovescio per la libertà. Castro va a Washington e dichiara: “Il capitalismo sacrifica l’uomo, lo stato comunista, con la sua concezione totalitaria, sacrifica i diritti dell’uomo: perciò non andiamo d’accordo né con l’uno né con gli altri; questa rivoluzione non è rossa ma verde oliva”. Gli americani non gli credono e inizia una rapida escalation che porterà sempre di più l’isola nell’orbita del blocco sovietico: l’embargo americano, il grottesco sbarco nella Baia dei Porci, la crisi dei missili, con il rischio serio dello scoppio di una terza guerra mondiale. Cuba, unico satellite allegro del sistema sovietico, ne diventa inesorabilmente una specie di ricca depandance, come dimostrano alcuni edifici che fanno capire lo spostamento da una creatività all’altra. Poi, quando nel 1989 implode l’URSS, Cuba rimane orfana e senza soldi. Philippe Daverio, attraverso un giro per L’Avana, restituisce al telespettatore un affresco completo di tutto questo succedersi di eventi, che si svolge con il passaggio dal tardo eclettismo liberty e neoclassico degli anni ’30 fino al trionfo del severo razionalismo sovietico degli anni ’60 e successivi, dalle rovine e incrostazioni attuali di entrambi gli stili, alle pittoresche ridipinture delle facciate e delle automobili. Una contraddizione visiva continua, in cui talvolta sembra di percorrere il set abbandonato di un film non scritto, mentre in altri momenti si assiste allo spettacolo allegro di una città che vuol ritrovare la sua immagine perduta, anche attraverso qualche intervento di restauro, nella consapevolezza che il turismo, diventato oggi una delle voci più importanti dell’economia dell’isola, possa davvero rappresentare una delle possibili vie di salvezza e rinascita.

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