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Dopo la crisi del progresso

in onda domenica 10 febbraio 2013 alle 13.25

Forse la strada era già tracciata, ma certamente il disastro di Chernobyl del 1986 accelerò il processo di crisi della modernità con conseguenti ricadute anche sul versante estetico.

Già dalla fine degli anni ’70 il fronte architettonico e del design non credeva più ad un mondo tutto fatto di palazzi di vetro e strutture ipertecnologiche. Cominciava l’epoca del postmoderno, all’interno della quale si intrecciavano linee di tendenza che propugnavano versioni estetiche differenti ma tutte volte al superamento del mero concetto di modernismo e della religione del progresso a tutti i costi.

I protagonisti erano architetti e designer come Charles Moore, Michael Graves, Philip Johnson, Leon Krier o l’italiano Aldo Rossi (autore di un suggestivo intervento in chiave metafisica al Cimitero di San Cataldo di Modena) che videro la necessità di un ritorno al classico. C’erano inoltre i decostruttivisti come Peter Eisenman o Frank O. Gehry, veri e propri nichilisti della forma, convinti che quell’ideale di perfezione della natura che ha ispirato la visione classica fosse irrimediabilmente distrutto dall’azione dell’umanità e quindi non più riproducibile E ancora i “poeti” del design, quelli che riuscivano a riassumere un po’ tutte queste tendenze, e che proprio in Italia hanno trovato dei formidabili protagonisti nei fratelli Mendini e in Ettore Sottsass.

Proprio a Sottsass, da poco scomparso, è stata dedicata una mostra Ettore Sottsass. Vorrei sapere perché presso l’Ex Pescheria – Salone degli Incanti di Trieste, che ha illustrato le fasi più significative del percorso di “fantasie al potere” del grande designer. Un percorso che trova accenti e ispirazioni in quel fantastico crogiolo di eredità artistiche rappresentato dal Futurismo.

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