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Demolizioni

in onda domenica 11 marzo 2012 alle 13.25

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    Decimo appuntamento di Il capitale di Philippe Daverio, la nuova trasmissione d’arte e cultura di Raitre realizzata in collaborazione con Rai5, ideata, scritta e condotta dallo storico dell’arte e prodotta dalla Vittoria Cappelli srl.  

    È solo da poco che si è sviluppata una sensibilità per la conservazione del passato. Fino a sessanta anni fa i milanesi demolivano le mura spagnole per piccoli vantaggi immobiliari, così come pochi anni prima avevano ricoperto i navigli per vantaggi immobiliari analoghi, fingendo che si trattasse di una questione sanitaria, perché l’acqua puzzava. Non sono stati i soli: Bologna fece demolire le sue mura all’inizio del XX secolo, così come addirittura Firenze, subito dopo l’unità d’Italia, quando ne divenne capitale, conservandone però dei pezzettini perché questa città è sempre un po’ conservatrice.  

    L’Italia appena unita 150 anni fa considerava il suo passato obsoleto e lo voleva demolire, buttando giù molte sue mura storiche. Non è sempre negativo abbattere le mura e i muri, si pensi per esempio a Berlino, così come fu un bene quando papa Pio IX nel 1848 buttò giù le mura del Ghetto a Roma e nelle città controllate dagli stati vaticani.

    Questo spiega ancora meglio la questione: gli abbattimenti sono profondamente ideologici. Oggi infatti tendiamo a conservare tutto perché la storia ci sembra necessaria come testimone della nostra identità.

    A conclusione del viaggio appena svolto fra le cattedrali, che ha interessato le precedenti tre puntate, il Capitale di Philippe Daverio esamina alcuni casi emblematici di queste demolizioni “politiche”,  soprattutto in area francese. 

    Particolarmente significativo è il caso della cattedrale di Noyon, costruita nel 1145, la seconda in Francia dopo quella di Sens in stile nuovo sul modello della chiesa abbaziale di Saint Denis. Edificio importantissimo perché qui per la prima volta lo stilema gotico è totale. Ovviamente la chiesa ha subito le evoluzioni del tempo, ma il vero trauma si verificò con l’avvento dell’iconoclastia della rivoluzione, che causò la distruzione di tutte le statue di facciata e la distruzione dei chiostri, che diventarono cave di pietra, come in epoca protocristiana quando venivano utilizzati i templi romani per fare casette o anche nuove chiese con le colonne da spoglio. Forse era un destino annunciato, in quanto a Noyon, sotto l’ombra austera delle torri, nacque nel 1509 Jean Calvin, il promotore del calvinismo, figlio del procuratore della cattedrale e nondimeno propagandista di una riforma severissima che avrebbe da lì a poco tolto tutte le statue e i dipinti dalle chiese. 

    Gli effetti della rivoluzione sono particolarmente evidenti a Royaumont, dove sorge una cattedrale voluta direttamente da San Luigi, Luigi IX, che la fece edificare in tempo record dal 1235 al 1242: nel 1790 si fa il primo inventario; nel 1791 passa ai beni nazionali, viene messo tutto in vendita, smontata la grande biblioteca, dispersi gli argenti, gli arredi, addirittura le tombe, fino a quando un giovane marchese giacobino la compera e vi fa un fabbrica tessile con trecento operai.

    Dopo la catastrofe della rivoluzione, nacque proprio in Francia nel cuore dell’Ottocento il concetto di un patrimonio nazionale da salvaguardare. Tuttora però il rapporto col passato presenta problemi: come si fa a far dialogare il presente con il passato? Alcuni esempi sembrano non aver risolto questa difficile questione, come per esempio Reims, dove un brutto edificio contemporaneo vuol mettersi in competizione con la perfezione dell’antica cattedrale, creando una fortissima dissonanza estetica.

    Altri invece vanno nella giusta direzione, come il caso di Amiens, dove la cattedrale si illumina poeticamente in un gioco che va ben oltre il classico son et lumière. È il risultato di una eccellente collaborazione fra lavoro scientifico di ricerca sui cromatismi di quando tutto nel medioevo era iper-colorato e di una tecnologia di proiezione estremamente precisa.

    Dalla Francia e anche da altri esempi europei, come la città tedesca di Limburg an der Lahn, dopo tanto scriteriato demolire giunge un messaggio di un rapporto affettivo riconquistato con ciò che resta del proprio patrimonio artistico e culturale. E dall’Italia?

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