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Il mito pop

in onda domenica 19 giugno 2011 alle 13.25

Passepartout questa settimana rivela ai telespettatori una delle sue fondamentali chiavi di ricerca e di indagine: l’antropologia culturale. Le forme simboliche come le arti e i miti diventano gli strumenti per interpretare i modi in cui le persone e i popoli esprimono la loro visione sul mondo e il contesto che li circonda. La cultura si pone al centro dell’interesse dell’indagine con tutte le sue modalità di trasmissione, innovazione, variazione, conservazione.

 

Che cos’è un mito pop? Un referente indiscusso dell’anima popolare, trasversalmente accettato da tutti e come tale impossibile da mettere in discussione. Non è per esempio un mito pop Che Guevara, perché piace a molti ma non a tutti. Mito pop può essere considerato invece San Gennaro. Di miti pop in realtà l’Italia ne ha parecchi, essendo complessa e differenziata. Con un viaggio tra le feste “popolari” più popolari d’Italia, come Santa Rosalia a Palermo o Santa Rosa a Viterbo e un curioso rimando alla Cina Popolare protagonista della mostra “Mai dire Mao” alla Fiera di Parma, Philippe Daverio conduce un interessante esperimento televisivo in cui l’antropologia culturale assume il ruolo di assoluta protagonista sia in chiave metodologica che di linguaggio. 

La cultura è anche “pop” e per “pop” si può intendere sia il popolare come inclinazione della tradizione folklorica, sia il popolare come attestato di celebrità, sia tutti i loro reciproci intrecci. Così accade a Viterbo con i festeggiamenti di Santa Rosa, la cui storia s’inserisce nell’ambito degli scontri fra Federico II di Svevia Imperatore e il Papato, quando il primo era considerato l’anticristo dai guelfi. La celebrazione di Santa Rosa ha il suo apice ogni anno con la celebre Macchina di Santa Rosa, un marchingegno fenomenale portato a spalla da oltre cento facchini nella notte della festa. Cinque tonnellate per un altezza di 28 metri e un percorso di 1200 metri. Viene accesa alla sera, al calar del sole, e si sposta nella città come un’epifania di luce.

Così accade anche a Palermo. L’ultima giornata della festa di Santa Rosalia, quella della processione dell’arca contenente il corpo della santa, non è molto dissimile per atmosfera e partecipazione dalla processione di Viterbo, presenze di autorità, vescovo, cardinale, sindaco compresi. Anche la storia di Santa Rosalia parte da molto lontano: era figlia di una grande famiglia nobile duecentesca della corte normanna, forse discendente da Carlo Magno. Si rifugiò in un eremo per non doversi sposare e morì sul Monte Pellegrino. Poi le fu attribuita nel 1624 la salvezza di Palermo dalla peste: apparendo in sogno ad un cacciatore, gli indicò la strada per trovare i suoi resti che portati in processione fermarono l’epidemia.

 

Che il mito pop sia laico o sacro sembra importare poco: in entrambi i casi prende infatti la sua ragion d’essere dalle origini stesse della genesi dei due paesi, dall’inizio della loro storia effettiva. Paese che vai propaganda che trovi, e miti pure.

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