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Archivio storico

Permesso, Grazie, Scusa

Le parole chiave della famiglia

13-05-2015 14:29

Permesso, Grazie, Scusa

All’udienza generale del mercoledì Papa Francesco prosegue la sua catechesi sulla famiglia. Parla di come nella quotidianità bastano parole semplici per vivere in pace e costruire su basi solide la custodia della casa e dei rapporti in famiglia.

“La catechesi di oggi è come la porta d’ingresso di una serie di riflessioni sulla vita della famiglia, la sua vita reale, con i suoi tempi e i suoi avvenimenti. Su questa porta d’ingresso sono scritte tre parole, che ho già utilizzato in piazza diverse volte. E queste parole sono: ‘permesso?’, ‘grazie’, ‘scusa’. Infatti queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare”.

“Noi – ha proseguito il Pontefice - le intendiamo normalmente come le parole della ‘buona educazione’. Va bene, una persona ben educata chiede permesso, dice grazie o si scusa se sbaglia. Va bene, ma la buona educazione è molto importante. Un grande vescovo, san Francesco di Sales, soleva dire che ‘la buona educazione è già mezza santità’. Però, attenzione, nella storia abbiamo conosciuto anche un formalismo delle buone maniere che può diventare maschera che nasconde l’aridità dell’animo e il disinteresse per l’altro. Si suole dire: ‘Dietro tante buone maniere si nascondono cattive abitudini’. Nemmeno la religione è al riparo da questo rischio, che fa scivolare l’osservanza formale nella mondanità spirituale. Il diavolo che tenta Gesù sfoggia buone maniere - ma è proprio un signore, un cavaliere - e cita le Sacre Scritture, sembra un teologo. Il suo stile appare corretto, ma il suo intento è quello di sviare dalla verità dell’amore di Dio. Noi invece intendiamo la buona educazione nei suoi termini autentici, dove lo stile dei buoni rapporti è saldamente radicato nell’amore del bene e nel rispetto dell’altro. La famiglia vive di questa finezza del voler bene”.

“La prima parola è ‘permesso?’. Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato. E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore. A questo proposito ricordiamo quella parola di Gesù nel libro dell’Apocalisse che abbiamo sentito: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Ma anche il Signore chiede il permesso per entrare! Non dimentichiamolo - e distaccandosi dal testo scritto aggiunge - prima di fare una cosa in famiglia: ‘Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?’. Quel linguaggio proprio educato ma pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle famiglie”.

“La seconda parola è ‘grazie’. Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe di qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. È brutto questo! Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare (cfr Lc 17,18)”. A braccio ha aggiunto: “Una volta ho sentito di una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita … La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili. Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio nell’anima ci spinge a dire: ‘Grazie alla gratitudine’. È il fiore di un’anima nobile. È una bella cosa questa”.

“La terza parola è ‘scusa’. Parola difficile, certo, eppure così necessaria. Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi. Non per nulla nella preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, che riassume tutte le domande essenziali per la nostra vita, troviamo questa espressione: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione. Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: “Scusami”. Nella vita matrimoniale si litiga tante volte… anche ‘volano i piatti’ eh!, ma vi do un consiglio: mai finire la giornata senza fare la pace”.

“Sentite bene: avete litigato moglie e marito? Figli con i genitori? Avete litigato forte? Ma non sta bene. Ma non è il problema: il problema è che questo sentimento sia presente il giorno dopo. Per questo se avete litigato mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così. E l’armonia familiare torna, eh! Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace. Capito questo? Non è facile, eh! Ma si deve fare. E con questo la vita sarà più bella”.

“Queste tre parole-chiave della famiglia sono parole semplici, e forse in un primo momento ci fanno sorridere. Ma quando le dimentichiamo, non c’è più niente da ridere, vero? La nostra educazione, forse, le trascura troppo. Il Signore ci aiuti a rimetterle al giusto posto, nel nostro cuore, nella nostra casa, e anche nella nostra convivenza civile. E adesso vi invito a ripetere tutti insieme queste tre parole: ‘permesso’, ‘grazie’, ‘scusa’… Grazie

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