Dmitri Slobodeniouk: Prokof’ev Sinfonia n. 5 op. 100

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Dmitri Slobodeniouk direttore

     

    Sergej Prokof’ev (1891-1953)
    Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore op. 100
    Andante
    Allegro marcato
    Adagio
    Allegro giocoso

     

    Sergej Prokof’ev
    Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore op. 100
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Un "inno all’uomo libero e felice, ai suoi alti poteri, al suo puro e nobile spirito"; così Prokof’ev definiva la sua Sinfonia n. 5. Era la fine del 1944, il sipario era finalmente calato anche sulla Seconda Guerra Mondiale. Tutta la Lega dei Compositori Sovietici era in fermento: serviva un’opera che celebrasse la fine di un’epoca. A urlare un requiem alla memoria dell’era appena conclusa ci avrebbe pensato Dmitrij Šostakovič con la Decima Sinfonia. Prokof’ev invece era l’artista giusto per mettere un po’ di luce tra presente e passato, scrivendo un’opera ottimistica in grado di ridare la speranza al popolo bolscevico.

    La stesura avvenne nella tenuta di Ivanovo, la Casa di Risposo e Creatività messa a disposizione dei compositori sovietici dal Partito: un luogo sereno, in cui i musicisti avevano l’impressione di respirare, nonostante fossero tenuti a vista dagli organi della censura. Fu in quella sede che Prokof’ev presentò al pianoforte la prima stesura della Quinta Sinfonia, dimostrando subito di avere le carte in regola per esprimere proprio quello che Stalin si aspettava da un’opera post-bellica: trionfalismo, chiarezza comunicativa e assenza di ombre sinistre.

    Non c’era niente di meglio per celebrare una potenza che sulla carta aveva vinto la guerra; e così il successo fu tanto scontato quanto immediato la sera del 13 gennaio 1945, quando l’opera apparve per la prima volta in pubblico a Mosca, sotto la direzione dell’autore.

    Naturalmente un "inno all’uomo libero e felice" non poteva trascurare le grandi creazioni sinfoniche prodotte dalle generazioni precedenti. Il tono eroico della composizione rimanda esplicitamente alla Sinfonia n. 3 di Beethoven, l’organicità della costruzione formale allude a Brahms, la fisionomia accattivante dei temi ha qualcosa di Musorgskij, e forse non è da escludere qualche reminiscenza dell’atmosfera vittoriosa cercata da Šostakovič nella sua Settima Sinfonia; insomma la scrittura di Prokof’ev vuole rivolgere un omaggio alla grande tradizione sinfonica. Ma sono presenti anche alcune scelte singolari, a partire dal tempo del primo movimento: un Andante - non il tradizionale brano rapido – che nelle battute iniziali, prima di abbandonarsi a un trionfalismo assordante, riesce a materializzare un clima di distensione davvero raro per la produzione sovietica di quegli anni. L’Allegro marcato poi sfoggia qualcosa di unico con il suo meccanismo a orologeria, che sembra dover esplodere da un momento all’altro: il ticchettio inesorabile dei legni avanza con un vitalismo devastante, travolgendo qualsiasi altra idea. L’Adagio, pur abbozzando la fisionomia di una romanza senza parole, delicata come una dichiarazione d’amore, non rinuncia all’aspetto virile di chi è sempre sicuro di se stesso. Quindi il finale, Allegro giocoso, riprende l’originale motorismo del secondo movimento, aggredendo l’ascoltatore con tutta la sua vulcanica joie de vivre.

    Andrea Malvano

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