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Progetto Verdi: Falstaff

in onda venerdì 13 dicembre alle ore 21,00

Progetto Verdi: Falstaff

A Sant’ Agata, in compagnia della Peppina, (Giuseppina Strepponi), Giuseppe Verdi, avrebbe probabilmente trascorso senza più tornare ai pentagrammi gli ultimi anni della sua vita, intento a godersi la sua terra e le sue cose, ormai riconosciuto supremo operista nazionale.

Già per “Otello” egli aveva atteso ben 16 anni, lavorando dopo “Aida” solo su rifacimenti delle proprie opere; il successo del dramma del Moro indusse il pubblico, l’editore Ricordi e il librettista Boito a sperare che il Maestro si lanciasse in una nuova avventura, ma Verdi pareva proprio non volerne sapere, e fu ancora una volta l’amato Shakespeare a convincere il musicista.

Con un finissimo lavoro sui testi shakespeariani (“Le allegre comari di Windsor” ed “Enrico IV”) Boito realizzò il libretto del “Falstaff” creando una preziosa base letteraria a cui Verdi – caso raro per il musicista - non sentirà il bisogno di apportare modifiche; invero il testo di Boito appare ancor oggi sconcertante esempio di concisione, efficacia, fantasia, e in esso Verdi non durò fatica a ritrovare l’agognata “parola scenica”.

Il lavoro cominciò nel segno del puro divertimento; Verdi scriveva per semplice piacere personale, senza pensare a tutti quegli elementi (teatro, scena, cantanti, impresari…) che tanto in passato lo avevano condizionato; Falstaff nasce in assoluta libertà, scaturendo dal genio verdiano come un fiume freschissimo, generato nel suo impulso irrefrenabile da un soggetto del tutto speciale.

La critica ha ravvisato qui una rivalsa del musicista nei confronti del suo primo, infausto avvicinamento al genere buffo (del 1840 era stato il fiasco di “Un giorno di regno”), ma in realtà Verdi non si limita a comporre un’opera comica – in cui peraltro i riferimenti alla grande tradizione italiana sono piuttosto scarni; il suo pare piuttosto lo sguardo divertito, appassionato e bonariamente distante, di chi osserva il mondo dall’alto di una disincantata pur se partecipe saggezza.

Verdi aveva preteso di poter lavorare in segreto, e si era convinto solo in un secondo tempo a prevedere un allestimento – che avrebbe poi promesso, manco a dirlo, alla Scala di Milano; la nascita dell’opera fu annunciata in forma privata in un momento conviviale, quando Boito a sorpresa aveva brindato al “pancione” e Verdi era stato costretto a specificare che la pancia in questione non era la sua ma quella del suo ultimo grande protagonista; subito anche Ricordi aveva pubblicizzato la notizia, e l’attesissima “prima” del febbraio 1893 fu un vero avvenimento, se non altro per l’universale deferenza verso l’anziano compositore.

“Falstaff” è un ordinato caleidoscopio di geniali idee musicali, cesellate come miniature che si alternano a scene corali dalle polifonie e poliritmie scoppiettanti; l’orchestra, di una finezza sorprendente, segue ad ogni passo la pregnanza ritmica e musicale del testo cantato, salvo in alcuni momenti prendere il testimone della condotta melodica mentre la voce esita declamando una sorta di divertita salmodia: con tecniche raffinatissime Verdi moltiplica i piani sonori che, godibili già di per sé, risplendono ancor più chiaramente ad un ascolto di qualità.

Amor coniugale e familiare, passione e sacrificio, bontà e perfidia, amicizia e fedeltà, innocenza e gelosia: solo un colore mancava nell’ampia tavolozza verdiana, cioè quello (anticipato nel fra’ Melitone) di una verace comicità: con questa nuova nuance, sapientemente mescolata alle altre e più vicina al  pirandelliano umorismo che alla comicità rossiniana, Verdi conclude la sua grandiosa parabola.

Alla veneranda età di quasi ottanta anni il “gran vegliardo" affida al suo ultimo irresistibile personaggio il compito di continuare un simbolico cammino: “Và, vecchio John…”; e per concludere questo estremo amorevole appuntamento col suo teatro Verdi sceglie l’austera forma della fuga, rivoluzionata da una ironica coscienza del relativo ormai del tutto novecentesca.

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