Xian Zhang: Čajkovskij Mozartiana - Šostakovič Concerto n. 1, Daniil Trifonov pianoforte, Roberto Rossi tromba

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Xian Zhang direttore
    Daniil Trifonov pianoforte
    Roberto Rossi
    tromba

     

    Petr Il’ič Čajkovskij (1840-1893)
    Suite n. 4 in sol maggiore op. 61 Mozartiana (1887)

    Giga. Allegro
    Minuetto. Moderato
    Preghiera. Andante non tanto

    (da una trascrizione di Liszt)
    Tema e 10 variazioni. Allegro giusto

    Roberto Ranfaldi violino

     

    Dmitrij Šostakovič (1906-1975)
    Concerto n. 1 in do minore op. 35 per pianoforte, tromba e orchestra d’archi (1933)

    Allegretto – Allegro vivace – Allegretto – Allegro – Moderato
    Lento – Più mosso – Largo
    [attacca]
    Moderato
    [attacca]
    Allegro con brio – Presto – Allegretto poco moderato – Allegro con brio - Presto

     

    Pëtr Il'ič Čajkovskij
    Suite n. 4 in sol maggiore op. 61, Mozartiana (1887)
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Le ultime due delle quattro suite per orchestra furono composte da Čajkovskij tra il 1884 e il 1888, periodo durante il quale l'autore attendeva o semplicemente progettava la composizione di opere quali le sinfonie Quarta e Quinta, il balletto La bella addormentata, i quadri sinfonici per il Manfred di Byron, l'ouverture-fantasia per l'Hamlet, il Pezzo capriccioso per violoncello e orchestra op. 62. Ma pur arrestando qui la nostra rassegna, un semplice parallelo tra la tipologia di opere così diverse lascia intravedere un orizzonte espressivo estremamente vasto e vario, al quale corrispondevano lessico e sintassi musicali altrettanto multiformi. Tra le possibili architetture per orchestra, la suite si presentava agli occhi dell'autore come la più malleabile, dotata di un ampio margine di libertà pur stretta nelle redini della forma. Sulla scia dell'entusiasmo con cui era stata accolta la Suite n.3, diretta da Hans von Bülow a Pietrogrado nel 1885, due anni dopo Čajkovskij colse l'occasione del centenario della prima rappresentazione del Don Giovanni di Mozart, per dare un segno esplicito della sua profonda venerazione per il genio di Salisburgo, proprio attraverso quella forma ritenuta immune dalle assolutezze categoriche in cui versava il recupero del classicismo. La diresse egli stesso a Mosca, il 26 novembre 1887, offrendo in lettura al pubblico una breve prefazione che è riportata sulla partitura: ≪Gran parte dei piccoli pezzi di Mozart è poco nota non soltanto al pubblico ma anche a molti musicisti. L'autore ha trascritto questa suite intitolata "Mozartiana" proponendosi di offrire una nuova occasione per più frequenti esecuzioni di queste perle dell'arte musicale - si tratta di pezzi per pianoforte - di forma modesta, ma ricche di inarrivabile bellezza≫. La brevissima Gigue introduttiva, orchestrazione della Giga K.574 composta da Mozart nel 1789 durante il suo giro di concerti in Germania, ci riporta subito agli aspetti più brillanti della scrittura mozartiana, attraverso un'immagine integra, per quanto la trascrizione orchestrale con tecnica ottocentesca lo consenta, dello spirito e della raffinatezza timbrico-ritmica in cui le parti si distribuiscono, nel loro vivace gioco imitativo. É un bucolico Allegro in sol maggiore al quale fa seguito un bonario Menuet in re maggiore, in tempo Moderato, trascrizione del Minuetto K. 355, forse anch'esso del 1789, percorso da un pacato dialogo fra i legni e gli archi, che sostengono linee melodiche discendenti. Frutto di trascrizione al quadrato si potrebbe definire il terzo episodio della suite, Preghiera (d'aprés une trascription de Liszt), cioè l'Ave Verum di Mozart non nella originale veste corale ma nella rielaborazione pianistica di Liszt, compresi il mutamento di tonalità e l'aggiunta dell'introduzione, affidata a legni, corni e a un ampio assolo dell'arpa, e della coda. La pagina meditativa procede con il proprio cullante ritmo binario, Andante non tanto, nell'alternare la monodia religiosa ai legni e agli archi, affidando a questi ultimi linee ascendenti di chiusura d'una purezza cristallina. Con una maggiore inclinazione al virtuosismo strumentale piuttosto che all'enfasi orchestrale, la Suite n. 4 si conclude, come la precedente, con un Thème et variations, desunto dalle dieci Variazioni su «Unser dummel Pöbel» K. 455, che Mozart aveva composto nel 1774 sull'aria «del Calendario» dall'opera I musulmani alla Mecca di Gluck. Dalla linea tematica discendente che si presenta in dialogo serrato fra gli archi da una parte, i clarinetti e i fagotti dall'altra, scaturisce la serie delle variazioni intense come combinazioni variate delle sezioni orchestrali, facendo prevalere cosi la variante timbrica, e in seconda battuta quella armonica, su quelle ritmica e melodica. Soltanto nella nona variazione l'autore introduce un assolo del violino, derivato dalla cadenza della variazione precedente, che con i suoi arabeschi genera un'ampia digressione dove il gesto creativo travalica il puro intento celebrativo.

    Monica Luccisano
    (dagli archivi Rai)

     

    Dmitrij Šostakovič
    Concerto n. 1 in do minore op. 35 per pianoforte, tromba e orchestra d’archi (1933)
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Un ricamo di citazioni

    Composto nel 1933, il Concerto n. 1 per pianoforte, tromba e orchestra d’archi riflette la sottile ironia di un giovanissimo Šostakovič (ventisettenne) attraverso un gustoso ricamo di citazioni. Lo strumento che nell’Ottocento, da Schumann a Mahler, era diventato l’emblema di un complesso significato poetico, nel Novecento si era rivelato un efficace veicolo di ironia e sberleffo. Proprio come era successo a Debussy in Children’s Corner con l’irriverente citazione wagneriana da Tristano e Isotta, anche in questo lavoro di Šostakovič la tradizione diviene l’oggetto di una rivisitazione scanzonata, che giustappone scaglie di passato in una cornice rapsodica. E cosi il leggendario esordio della Sonata «Appassionata» di Beethoven ricompare tra gli sghignazzi dell’orchestra, alcune reminiscenze haydniane e una melodia di origine popolare. A prendere forma è uno scomposto mosaico di allusioni eterogenee: elementi disparati in un contesto che cerca in tutti i modi di fare il verso alla tradizione. Šostakovič sembra farsi beffa di quel peso storico che negli stessi anni angosciava il mondo musicale tedesco: ≪Voglio difendere il diritto di ridere all’interno della cosiddetta musica seria […] quando gli ascoltatori ridono a un concerto con musiche sinfoniche mie non sono turbato, ma al contrario, me ne compiaccio≫. Presto si sarebbe reso conto di non poter percorrere tanto facilmente quella strada; il regime lo avrebbe costretto a nascondere sempre più in profondità il suo temperamento sarcastico; e l’ironia avrebbe potuto trovare spazio solo in quelle raffinatezze che passavano inosservate di fronte all’ottusa insensibilità dei dirigenti di partito.

    L’umorismo di Šostakovič

    Dietro quelle lenti, spesse come due fondi di bottiglia, Šostakovič nascondeva un temperamento pungente. I lineamenti del suo volto disegnavano una fisionomia severa: quella di un uomo che passava ore a controllare il perfetto funzionamento della sua collezione di orologi, di un artista che considerava una malsana curiosità qualsiasi interesse rivolto alla sua persona anziché alla sua opera, di un ospite che si sedeva a tavola all’ora esatta comunicata agli invitati, disinteressandosi sfacciatamente degli eventuali ritardatari. Šostakovič era un uomo introverso, a tratti anche nevrotico: per tutta la vita soffrì di alcuni misteriosi disturbi di origine nervosa alle gambe, al braccio destro e alla mascella. Ma dietro quella scorza da duro, capace di resistere alle violenze che il regime stalinista usava contro ogni forma di espressione artistica, si celava un’indole spiritosa, capace di riflettere con distacco anche su ciò che ai contemporanei e alla storia sarebbe apparso tragicamente serio. Il suo humour era figlio del grottesco che colora i racconti di Čechov e Gogol’, quel sorriso amaro e malinconico che si legge da sempre negli occhi del popolo russo. Poco prima di morire, in una lettera all’amico Isaak Glikman, Šostakovič descriveva il crollo della sua salute parodiando i resoconti del Partito Comunista: ≪Riferisco: due gambe e mano destra rotti…in totale il 75% del corpo non funziona! La mia salute è buona, ma che me ne faccio di una buona salute se non riesco a muovermi?≫.

    Andrea Malvano
    (dagli archivi Rai)

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