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di Piero Vietti - Il Foglio

di Piero Vietti - Il Foglio

La Conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite a Parigi si sarebbe dovuta concludere ieri con un accordo vincolante e ambizioso per ridurre le emissioni di gas serra che, secondo molti esperti, hanno causato negli ultimi decenni l’innalzamento delle temperature globali e i cambiamenti climatici dagli effetti nefasti per molti Paesi e che, se non ridotti al più presto, promettono, sempre secondo gli stessi esperti, di causare disastri climatici catastrofici entro la fine del secolo. Come quasi sempre è successo in questi summit (è il ventunesimo sul tema, da qui il nome di Cop21 – Conferenza delle Parti numero 21), i negoziati hanno sforato, sono proseguiti nella notte e dovrebbero concludersi oggi. Forse.

Partita con annunci roboanti e promesse decisive, la Cop21 si è presto sgonfiata. Innanzitutto sui media, dove le prime pagine allarmate e allarmistiche si sono presto trasformate in trafiletti all’interno. E poi nei negoziati, diventati estenuanti e così poco cool non appena i capi di stato di mezzo mondo hanno lasciato Parigi. Bozze piene di parentesi quadre si sono succedute senza soluzione di continuità. Sono stati i giorni dell’impegno, dei distinguo, delle lamentele, degli show in conferenza stampa, degli spin doctor che verso la fine delle trattative hanno cominciato a far scrivere ai giornali che “l’accordo è vicino”, “manca poco”, “si tratta sui tempi ma l’intesa c’è”, e naturalmente è un’intesa ambiziosa, ne parleremo meglio alla prossima Conferenza, e comunque prima del 2021 non si comincia. Tranquilli. Parigi – come Copenhagen nel 2009 – doveva essere l’ultima possibilità per salvare il pianeta e non doveva fallire, non sui medi almeno. Caricata di aspettative messianiche, la COP21 è stata salutata dai leader mondiali come la risposta educata ma decisa al terrore che appena due settimane prima aveva colpito a morte proprio Parigi. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, qualche mese fa si era spinto a dire che i cambiamenti climatici sono una sfida più urgente della lotta al terrorismo, ed è stato talmente preso sul serio da qualcuno che in questi giorni si è sentito dire che lo Stato islamico e la guerra civile in Siria sono stati causati dal riscaldamento globale. La tattica è sempre la stessa da anni, anche se ultimamente è stata affinata: si disegnano scenari catastrofici che spaventino le persone, ma li si prevede per una data in cui la maggior parte di noi non li potrà vedere. Così facendo si aggiunge al senso di colpa per i propri comportamenti il senso di responsabilità per le generazioni future – alle quali non vorremo mica lasciare un pianeta invivibile? Così nasce il pensiero unico sul tema, da anni dominante negli spazi pubblici, sui media e nella politica: da una parte si portano dati scientifici presentati come inconfutabili, con buona pace degli studi e delle misurazioni che li mettono in dubbio, e si insiste a parlare di una maggioranza schiacciante degli scienziati che la penserebbe allo stesso modo; dall’altra si investe il discorso di un’aura religiosa, si trasformano i modelli di previsione in dogmi, e si impone un codice di comportamento necessario per la salvezza finale, propria e del mondo intero. Chi la pensa diversamente viene deriso (se scienziato, scomunicato dalla comunità, se grande scienziato, definito “bollito “ nel migliore dei casi, “venduto” nel peggiore), e per definirlo si usa lo stesso termine utilizzato per chi nega verità storiche come la Shoà “negazionista”.

Il dibattito attorno a i cambiamenti climatici è da sempre falsato da mezze verità, equivoci, retorica e luoghi comuni. Il clima sulla terra cambia, è sempre cambiato, alcune volte anche abbastanza in fretta. Ci sono stati periodi più caldi di questo e l’umanità è sopravvissuta senza troppo problemi (Groenlandia vuole dire Terra verde non perché i suoi abitanti fossero daltonici, ma perché nel Medio Evo l’isola non era tutta coperta di ghiaccio), mentre se mai il problema maggiore sono i periodi freddi. Il clima cambia per una molteplicità di fattori difficilmente controllabili o prevedibili dall’uomo: il sole ha un impatto decisivo sul riscaldamento del globo, e come ha spesso spiegato uno dei più stimati fisici dell’atmosfera, Franco Prodi, il ruolo delle nuvole ancora non è stato compreso appieno, pur essendo decisivo anch’esso a definire il clima del nostro pianeta. Detto questo, negare che ci siano cambiamenti climatici in atto, o che negli ultimi decenni le temperatura globali siano aumentate, sarebbe stupido. La partita si gioca sulle cause e le conseguenze di tali mutamenti, e non è poco.

Alcuni giorni fa dodici associazioni scientifiche hanno redatto  e firmato un documento per la Conferenza di Parigi in cui si sosteneva che “l’influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo”. La Società italiana di Fisica (SIF) però, all’ultimo ha ritirato la sua firma dalla Dichiarazione, prendendone le distanze: “Non esistono le equazioni del clima – ha detto la presidentessa Luisa Cifarelli – e io non mi trovo d’accordo con l’affermazione che il ruolo dell’uomo nel riscaldamento sia inequivocabile”. La richiesta della SIF, respinta, era di aggiungere quanto meno una parola – likely – al posto di “inequivocabile”. Beghe tra scienziati? Minuzie lessicali tra esperti? Non solo, a giudicare dalla pioggia di “irresponsabile” piovuta addosso alla Cifarelli dopo queste affermazioni. Il pensiero unico sul clima non ammette cedimenti, neppure su aggettivi e avverbi. Il messaggio che deve passare, e in questo la politica  e i media sono veicoli perfetti, è che i mari si stanno innalzando, le temperature aumentano senza sosta, i ghiacciai si stano sciogliendo, il pianeta si desertifica e gli eventi meteorologici estremi saranno sempre più frequenti.

Luigi Mariani, agro-meteorologo che insegna all’Università di Milano, ha raccolto qualche giorno fa sul sito climatemonitor.it alcuni studi recenti sui temi più discussi, smontando delle certezze che sono ormai passate come sicure nell’opinione pubblica. Alcuni esempi: dalla metà del XIX secolo le temperature sono effettivamente aumentate – dopo un periodo molto freddo – fino a toccare più 0,85 gradi centigradi nel 1998 rispetto al 1850. Da allora a oggi, però, il riscaldamento globale è andato in pausa, per ammissione degli stessi esperti dell’Ipcc, il Panel delle Nazioni Unite che ha organizzato dal Cop21 e studia i cambiamenti climatici. La spiegazione? Non pervenuta, se non una vaga ipotesi di riscaldamento “intrappolato” negli oceani, ancora da dimostrare. Eppure secondo grafici e modelli matematici in voga un paio di lustri fa, le temperature avrebbero dovuto schizzare in alto e arrostire il mondo. Certo, l’influenza umana non è da escludere, ma se nonostante lo straordinario “impegno” di questi anni l’aumento è stato così contenuto, come si può pensare che riducendo appena le immissioni di gas serra il termostato del pianeta si fermerà? Magia?

C’è poi il capitolo degli eventi estremi, Sant’Agostino secoli fa scriveva che da quando l’uomo è su questa terra si lamenta del tempo presente e rimpiange il passato, qualunque esso sia, per cui quando sente caldo dice che mai prima si era sentito un caldo del genere, e quando sente freddo, che mai si era sentito un freddo così. Lo stesso succede oggi con le piogge, divenute “bombe d’acqua” nel lessico comune, e con eventi come tempeste, cicloni e uragani: ogni volta sembra che stiano per spazzare via tutto (l’ultimo caso in Messico qualche settimana fa), ma poi, se ben previsti, fanno molti meno morti di qualche decennio fa. Non solo, stando ai calcoli più recenti, fenomeni come cicloni tropicali si sono ridotti di numero e potenza dagli anni ’90 ad oggi, e – citando Mariani – “il 2014 con un totale di 518 disastri naturali contro una media decennale di 631 è stato l’anno con il numero minimo di disastri di tutta la serie considerata e che minimo è risultato anche il numero dei morti (13.847 contro una media di 83.934). Il Natural Disaster Database mostra dati analoghi, con numero di disastri naturali in rapido calo dopo un picco toccato nel 2000 e il numero dei morti che, se pur con grande variabilità da un anno all’altro, presenta un trend generale improntato al calo”. Eppure da anni ogni evento naturale estremo viene accompagnato da  litanie colpevolizzanti sull’uomo brutto e cattivo che con le sue emissioni ha causato rutto questo, e minaccia che “se continueremo così, eventi di questo genere saranno sempre più frequenti”. L’elenco sarebbe lungo, lo spazio della pagina non basterebbe […].

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