[an error occurred while processing this directive]
[an error occurred while processing this directive]

Italo Calvino

«Io vivo in una casa piena di libri e per me Calvino è i libri, non solo perché è un grande lettore, ma perché anche io sono un uomo di libri e quindi lo sento fraterno mentre siedo nella mia biblioteca, mentre ne parlo sento che lui ha a che fare con tutto questo, che lui è tutto questo».

Antonio Debenedetti Professor Debenedetti, secondo lei è possibile tracciare un bilancio della sua figura di scrittore e di intellettuale all’interno della storia della cultura italiana e del dibattito contemporaneo?

Non solo è possibile ma è anche opportuno perché Calvino all'indomani della morte è stato aureolato in maniera forse eccessiva. Si è costruito sotto di lui un piedistallo davvero troppo elevato e questo gli ha nuociuto perché Cavino è uno scrittore molto importante e gli scrittori importanti corrono sempre un rischio quando vengono giudicati ancora più importanti di quello che in realtà non sono. Io ho un'idea: che la letteratura del '900 si concluda con due grandi scrittori molto diversi tra loro che sono Italo Calvino e Goffredo Parise. Dopo la letteratura italiana non ha più espresso figure dello stesso livello. Calvino va riletto in una maniera laica, fredda, in una maniera che gli dia quello che effettivamente merita, che è molto. Il troppo gli guasta.

Lei che lo ha conosciuto personalmente, quale fatto, aneddoto, aspetto caratteriale riguardante Calvino le viene più spontaneo ricordare in questi giorni?

Calvino è uno dei pochi scrittori italiani che ho conosciuto poco. Innanzitutto io ricordo indelebilmente nella mia mente la morte di Calvino. Quando fu portato da Castiglione della Pescaia dove era con Fruttero e Lucentini a Siena e si capì che non ce l'avrebbe più fatta io fui mandato dal Corriere della Sera a seguire questo luttuoso avvenimento, quelle cose tragiche che deve fare chi scrive sui giornali, poi io mi occupavo di cultura, per essere pronti a raccontare la sua morte. Quindi io ho fissa questa immagine dell'agonia di Calvino vissuta passeggiando su e giù sulla piazza antistante l'ospedale dove incontrai persone di grandissimo livello, venivano tutti a informarsi per sapere. Mi ricordo che feci tre volte su e giù la piazza parlando con Eugenio Scalfari che era venuto anche lui, essendo molto amico di Calvino, a informarsi della sua condizione. Fu veramente molto doloroso e straziante questo addio alla vita perché Calvino morì veramente molto precocemente. Anzi tutti ci aspettavamo che ad un certo punto fosse candidato al Premio Nobel: se l'Italia doveva avere un premio Nobel tutti pensavamo che quello potesse essere Calvino. Io lo pensavo molto e le dirò di più, le "Lezioni americane" sembrano scritte in odore di Nobel. Non che Calvino se lo aspettasse, lo conoscevo poco, lo vidi solo a qualche presentazione einaudiana. Quindi io ho un'immagine pallida dell'uomo ed ho invece un'idea molto forte di questa sua fine che mi ha angosciato molto perché aspettare lì a Siena, sedendo in trattoria, andando al caffé, come sciaguratamente si fa in queste occasioni insieme con altri giornalisti. Era molto triste, sono stati giorni veramente lugubri. C'è da dire una cosa quando si parla di Calvino: scrive l'italiano migliore del secondo e ultimo '900. Calvino arriva a trovare la lingua italiana di un livello, di una qualità, di una rapidità, di una velocità, di una pulizia quali non ci sono in altri scrittori. Calvino è un maestro di lingua, l'italiano di Calvino è perfetto. Calvino è un illuminista ironico, è un moralista nel senso migliore della parola ed è uno straordinario scrittore sotto il profilo della lingua. La lingua di Calvino è una lingua perfetta, lo si vede tutto questo nelle prose brevi, nelle schede di lettura, in quelle pagine che lui scrive sui grandi romanzi dell'Ottocento, poi nelle sue recensioni su autori del Novecento, lì è perfetto. Io nella serata che si terrà il 17 alla Casa del Cinema farò leggere una sua recensione del "Pasticciaccio" di Gadda davvero esemplare perché c'è un'idea di Roma quale la vede Gadda che Calvino esprime con grande maestria. L'errore è stato quello di fare di Calvino una bandiera della Einaudi, una bandiera di un certo progressismo. Calvino è soprattutto un maestro di stile che diventa un manierista nelle mani dei suoi allievi. In realtà Calvino è lo scrittore che nasce sotto l'ala di Pavese nel clima della Resistenza e insieme ad altri coglie la necessità di far parlare la coralità. Questa esperienza popolare e corale della guerra di liberazione porta a galla figure che erano rimaste marginali. Però bisogna saldare l'eredità alta, aulica della cultura italiana con l'esperienza popolare. E questo lo si può fare soltanto attraverso il linguaggio che viene dai dialetti e si fonde in una koiné sotto l'ala di Pavese.

Se Calvino fosse vivo e avesse vissuto anche gli ultimi venti anni di storia italiana e mondiale, che posizione avrebbe assunto e quali tipi di libro avrebbe presumibilmente pensato di scrivere?

Se io avessi la testa di Calvino sarei ben contento. Ma così non è: non ci si può fingere un altro scrittore. Si è troppo condizionati dal proprio io per poter pensare di essere un altro scrittore. Come sarebbe stato oggi Calvino? Sicuramente preoccupato, come ogni buon intellettuale, ogni buon italiano, ogni buon cittadino del mondo deve essere. Vorrei evitare di parlare di Bush…..Quello che sta succedendo è molto chiaro. La situazione nel mondo oggi, incute paura... Come poteva sentirsi Calvino, dunque, se non profondamente angosciato come tutti noi? Appena ieri abbiamo celebrato l’11 settembre...

Le Lezioni Americane sono considerate generalmente come una sorta di testamento culturale lasciato da Calvino. Lei pensa che i valori che a lui stavano a cuore e di cui parla nel libro siano effettivamente diventati un patrimonio condiviso della nostra società?

É sempre molto difficile capire ciò che di uno scrittore arriva nella posterità. Perché noi siamo la prosperità rispetto a Calvino. Che cosa arriva di uno scrittore nella posterità non si sa mai del tutto. Soprattutto arriva qualche volta deviato: Calvino appartiene ad un epoca della nostra storia culturale in cui il messaggio letterario viene recepito ancora dagli addetti ai lavori: lo zoccolo duro, benché allargato, è ancora quello dei lettori de “Gli indifferenti” di Moravia, si sarà raddoppiato, ma siamo sempre lì. Oggi c’è stato un allargamento, però con un abbattimento della qualità. Il fatto che "I Meridiani" arrivino in edicola, è sintomatico dell’abbassamento del livello culturale. Il Calvino di cui parlavo è il Calvino migliore, delle prime cose, di alcuni racconti lunghi degli anni ’50, cioè della speculazione edilizia, la giornata di uno scrutatore, la nuvola di smog, di alcuni racconti avanguardisti a Mentone. E’ quello, secondo me, il momento massimo di Calvino: quando il suo neo-realismo riesce a formulare il racconto lungo: lì è un maestro inarrivabile.

Qual è secondo lei il libro più importante, essenziale scritto da Calvino e perché?

Il libro che ha avuto più fortuna è senz’altro Marcovaldo. E’ il libro che ha fatto conoscere Calvino soprattutto nel mondo della scuola. Perché è la storia di un uomo del popolo nella città moderna. Maria Corti ha detto una cosa verissima del personaggio: capisce quel che gli altri non capiscono e non capisce quel che gli altri capiscono. E’ una specie di Candid moderno, una figura passepartout che attraversa una certa fase dello sviluppo industriale delle città del nord in maniera esemplare. Però non è il libro che amo di più di Calvino. Come ho già detto, amo di più i suoi racconti lunghi, in particolare Palomar: sono pagine di un’eleganza struggente, malinconica, nelle quali chi fa lo scrittore ritrova lo scrittore, trova cioè l’identità dell’altro scrittore. E’ il libro nel quale lo scrittore raffinatissimo che è Calvino incontra l’uomo Calvino. Trovo che sia molto commovente: quando uno scrittore, forse per un presagio del destino, sa di essere arrivato vicino alla sua fine si spoglia di tutto e ricerca l’uomo che è in lui e lo esprime. Però non in una forma degradata, semplificata, ma con le massime armi che gli concede il suo stile. Palomar è un libro bellissimo.

A quattro anni dall’11 settembre e a vent’anni dalla morte di Calvino, qual è il libro che secondo lei sarebbe utile riscoprire e leggere oggi?

Forse LeFiabe italiane (trascritte e raccolte da Italo Calvino, Einaudi, 2 voll.). Non sono sue, ma le ha raccolte  lui. Perché nelle fiabe c’è la storia di un popolo. Quando si vive un’epoca di grande crisi, il popolo sente la necessità di tornare alle origini, alle proprie radici: in nessun’altra letteratura come nella fiaba ci sono le radici di un popolo, le radici contadine del nostro popolo. E qui sono d’accordo con Pasolini su di un’avvenuta alienazione, dello smarrirsi del popolo italiano in una civiltà che non gli appartiene. La pubblicità che ci bombarda, che parla in lingua inglese, esprime contenuti che non sono i nostri; ci fa credere che abbiamo bisogno di cose che invece non sono necessarie. Allora la Fiaba è un modo sano, sicuro, colto, di tornare alle nostre radici. L’Italia ha una grande tradizione contadina, più che industriale. Roma è stata una bellissima città, e lo era ancora dopo la guerra: il mescolarsi della civiltà industriale e quella contadina nella Roma ancora degli anni ’70. Anche Moravia lo sosteneva: a Roma ci sono ancora residui di civiltà contadina, negli anni ’70.

Un'ultima battuta. Sulla rivista settimanale del Corriere della Sera si legge: "Italo Calvino era noto per essere uno di poche parole. Una volta Jorge Luis Borges ormai cieco, avvertito della sua presenza durante un incontro con alcuni amici a Siviglia rispose: «L'ho riconosciuto dal silenzio»". Secondo lei Calvino comunicava di più con i suoi libri o con i suoi silenzi?

Calvino era un uomo schivo. Pasolini lo ritrae così: "Il suo viso militare fiero e furbetto sotto alle grosse sopracciglia nere che benché così settentrionale lo rendono molto mediterraneo, la bocca carnosa che si agita sempre come sul punto di dire qualcosa, che passa ilarmente da lontano nel suo cervello attento".

Rai.it

Siti Rai online: 847