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Ernest Hemingway

Un omaggio al grande scrittore americano a 50 anni dalla scomparsa

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    Una battuta di Derek Walcott, raccolta in una bella intervista a cura di Paolo Mastrolilli su La Stampa del 29 giugno scorso, ha confermato il valore assoluto di Hemingway. «E’ stato il migliore dopo Shakespeare, soprattutto nei dialoghi. Ha rivoluzionato la letteratura americana», ha affermato il premio Nobel per la letteratura. Tipi alla Raymond Carver non sarebbero mai esistiti – ha aggiunto l’Omero dei Caraibi, accennando allo scrittore divenuto celebre negli anni Ottanta attraverso una prosa ridotta all’essenziale, fino a diventare il principale esponente della corrente Minimalista.

    Cinquant’anni fa, nei giorni successivi la drammatica decisione dell’autore de “Il vecchio e il mare” di farla finita, un giovane Gabriel Garcia Marquez, allora nei panni di cronista, scrisse come la notizia della morte avrebbe commosso, in località opposte del mondo: i suoi baristi, le sue guide per cacciatori, i suoi autisti di taxi, alcuni pugili in disgrazia e qualche pistolero in pensione. Tra gli articoli commemorativi usciti in questi giorni, tolto quello menzionato del quotidiano torinese, il pezzo di Matteo Nucci su Il Messaggero dello scorso 17 giugno ha ricordato il legame dell’autore con la morte; un rapporto talmente presente nella vita quotidiana – dalla guerra ai safari, dalle battute di caccia a un incidente aereo, subito dopo il quale apparve perfino il suo necrologio! – da essere riportato nella sua opera.

    Mentre il fondo di Ugo Rubeo su L’Unità del 30 giugno ha sottolineato il peso di Hemingway sulla scena letteraria italiana dell’epoca: da Cesare Pavese, che ne trasmise la passione alla allieva Fernanda Pivano, in seguito divenuta la vestale del romanziere; ad Italo Calvino, che lo frequentò a Stresa riconoscendone l’influenza nelle pagine de “Il sentiero dei nidi di ragno”.

    A parte i titoli più importanti e celebri come “Addio alle armi”, “Per chi suona la campana”, “Morte nel pomeriggio” (per tacere de “I quarantanove racconti”, ritenuti da molti critici il capolavoro dello scrittore per via della accurata tecnica narrativa) è di questi giorni la ristampa – attraverso un’edizione restaurata dal figlio Patrick e del nipote Séan, che prevede l’aggiunta di otto capitoli inediti – di “Fiesta Mobile”, il libro che racconta gli anni parigini. Quelli in cui Hemingway cominciava a scrivere mentre stringeva amicizia con Scott Fistgerald, Ezra Pound e Picasso, plasmando una personalità non dissimile da quella di John Dos Passos; il giornalista e romanziere coetaneo di Hemingway, che non smise mai anch’esso di spingersi al di là dei confini statunitensi e di non demordere dal suo tenace impegno politico, e del quale l’editore Donzelli ha appena pubblicato “Orient Express”, un bellissimo reportage di viaggi effettuati nel Medio Oriente nei primi anni Venti.

    Erano appunto gli anni anche di Hemingway, gli anni della Generazione Perduta, seconda un’amara definizione di Gertrude Stein; che di quella generazione fu, nel pubblico come nel privato, una delle protagoniste più vivaci. Hemingway si sarebbe tolto la vita il 2 luglio del 1961. Nella dichiarazione inviata il giorno del conseguimento del Nobel scrisse che un vero scrittore deve misurarsi con l’eternità o con l’assenza di eternità.



    A cura di Vittorio Castelnuovo
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