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Più e meglio di così

Elasti-pensieri prima che sorga il sole

«Secondo te, in cosa sono diversi i maschi e le femmine?»
«Facilissimo»
«Allora dimmelo»
«I maschi hanno il pisello»
«E le femmine?»
«La patatina e le tette»
«E poi? Quale altre differenze ci sono?»
«Nessuna»
«Nessuna nessuna?»
«No»
«Nessuna differenza nel modo di pensare?»
«No»
«Nella forza o nel coraggio?»
«No»
«Nelle cose che sanno fare?»
«No»
«Nelle cose che possono fare?»
«No, nessuna differenza. Tutti possono fare tutto»
«Sei sicuro?»
«Sì».
Mio figlio ha sei anni. No, non è cresciuto in una comunità hippy alla periferia di Stoccolma, né ha fatto da cavia di un esperimento psico-sociologico per l’abolizione delle differenze di genere. Frequenta la scuola pubblica e ha due fratelli, maggiori e mediamente beceri, che, ne sono certa, risponderebbero in tutt’altro modo alle stesse domande. 
Temo che la sua sublime visione paritaria del mondo abbia radici anagrafiche, più che educative o ambientali.
A sei anni siamo uguali, fatto salvo qualche trascurabile dettaglio anatomico. E a sette? A nove? A quattordici?
A quale età, esattamente in quale punto del nostro cammino le cose cambiano? Dove sbagliamo? Dove inciampiamo? 
In che momento loro iniziano a pensare che noi siamo più deboli, più noiose, più lamentose, meno meritevoli di loro?
Forse proprio nell’attimo esatto in cui noi iniziamo a pensarci difettose, a temere i nostri talenti, a infliggerci il castigo dell’ombra, loro si fanno largo a spallate e occupano tutti i posti al sole.
Da lì a sentirsi superiori, il passo è breve. Da lì a convincerci che non siamo capaci è un attimo. 
«Mamma, oggi abbiamo giocato con le femmine»
«Bene. Che gioco avete fatto?»
«Noi eravamo cani con denti a sciabola»
«Ah. E loro?»
«Le padrone dei cani con i denti a sciabola»
«E poi?»
«Poi niente».
Se ci ricorderemo, l’8 marzo e tutti gli altri giorni dell’anno, che loro, un tempo, erano cani con i denti a sciabola e noi le padrone dei cani con i denti a sciabola, forse oggi potremo fare più e meglio di così.
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