Wayne Marshall: Omaggio a Leonard Bernstein (prima parte)

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    AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
    Sala Santa Cecilia

    Orchestra e Coro dell ’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
    Wayne Marshall
    direttore
    Lorenzo Fratini
    maestro del coro

    Omaggio a Leonard Bernstein a 20 anni dalla scomparsa
    Leonard Bernstein (Lawrence, Massachusetts 1918 - New York 1990)


    West Side Story, Danze Sinfoniche
    Prologue (Allegro moderato)
    Somewhere (Adagio)
    Scherzo (Vivace e leggero)
    Mambo (Meno presto)
    Cha-Cha (Andantino con grazia)
    Meeting Scene (Meno mosso)
    Cool Fugue (Allegretto)
    Rumble (Molto allegro)
    Finale (Adagio)

    Chichester Psalms
    per coro misto, voce di ragazzo e orchestra
    Salmo 108 -Salmo 100
    Maestoso ma energico. Allegro molto
    Salmo 23 - Salmo 2
    Andante con moto, ma tranquillo. Allegro feroce
    Salmo 131 - Salmo 133
    Prelude. Sostenuto molto. Peacefully flowing
    Carlo Maria Zanetti, Flavia Scarlatti voci bianche*
    Cristina Iannicola soprano**; Simonetta Pelacchi contralto**
    Carlo Putelli tenore**; Massimo Simeoli basso**
    Coro di Voci Bianche dell’Accademia Santa Cecilia

     

    La musica di Leonard Bernstein
    Tratto dal libretto di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
    di Andrea Penna

    La figura artistica ed umana di Leonard Bernstein ha attraversato il cuore del secolo scorso, lasciando in oltre cinquant’anni di attività un segno profondo nelle discipline che ha affrontato. Generoso e inesausto, Bernstein è stato ad un tempo compositore, direttore d’orchestra, solista, organizzatore musicale, divulgatore, didatta, saggista, promotore e uomo di spettacolo, e in molti momenti è stato capace di sintetizzare il meglio che ciascuno di questi aspetti della sua personalità potevano offrire sia alla società a lui contemporanea, che come lascito per il futuro. Per molti versi Bernstein è stato uno dei più felici ed esaltanti risultati – perfino nei suoi difetti – di quell’America che ha conquistato il XX secolo, trasformando in modo straordinario il mosaico di culture e influenze che la componevano in una ricca e complessa nazione, capace di essere all’avanguardia in tutti i campi della cultura e dell’arte. Fortemente cosmopolita, Leonard Bernstein ha però vissuto realizzando le proprie diverse anime artistiche nella costante consapevolezza di essere cittadino degli Stati Uniti d’America, anche quando ne ha contestati uomini o politiche.
    Nato da una famiglia di immigrati russi a Lawrence, Massachussets il 15 agosto del 1918, Leonard (vero nome Luis) Bernstein sarebbe diventato negli anni ’50 una delle figure cardine della vita musicale americana, giungendo ad essere il primo statunitense a ricevere la nomina a direttore musicale di una delle più grandi orchestre d’America, i Filarmonici di New York. Il padre, che aveva avversato lungamente la passione del giovane Lenny per la musica, ma ne divenne poi uno dei suoi più accesi sostenitori, ripeteva spesso che all’epoca dei loro contrasti “non poteva certo sapere che sarebbe diventato Leonard Bernstein!” Non solo la critica, ma lo stesso Bernstein riconobbe più volte come l’impegno del podio (una carriera iniziata ufficialmente nel 1943, sostituendo Bruno Walter), avesse involontariamente rallentato la sua attività di compositore. Difficile però dolersene, considerando i suoi raggiungimenti come direttore d’orchestra, impossibili da esplorare in poche brevi pagine: forse qualcuno ne ricorda i tratti nei concerti a Roma, anche negli anni (1983-1990) in cui fu Presidente onorario dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Basterebbero comunque i suoi contributi alla conoscenza e alla promozione della musica dei compositori americani, da Copland ad Ives, fino a William Schuman, Ned Rorem, Virgil Thompson (suo acceso critico dalle pagine del “Herald Tribune”), oppure il forte impegno a favore della musica di Gustav Mahler, oggi pienamente stabilita nel repertorio di ogni grande orchestra, grazie anche i suoi sforzi, testimoniati da incisioni di preminenza assoluta.
    Eppure la vivacità dell’ispirazione, anche se costretta da infinite serie di impegni e influenzata dalle mercurialità del carattere di Bernstein, non lo ha mai abbandonato, anche se è indubbio che gli anni fino al 1965 siano stati quelli più fecondi. Anni fondamentali per la ricerca da parte di Bernstein di un linguaggio nuovo, in cui si ritrovano, in una sintesi assai personale, le diverse radici della cultura americana, a partire dalla musica jazz, i ritmi latinoamericani, la lezione della musica colta di ascendenza europea, senza dimenticare la tradizione ebraica, le influenze seminali del cinema, della danza, del Musical e del teatro.

     

    West Side Story
    Un programma da concerto con musiche di Bernstein non può non essere letto alla luce della frase più volte riaffermata dal compositore “tutta la mia musica è teatro”. Così anche nella serie di brani proposti per questa occasione, in cui si ricordano anche i vent’anni dalla scomparsa di Bernstein, una parte significativa del materiale musicale proviene da lavori scritti per il teatro musicale. A partire da West Side Story, il titolo che ha garantito a Leonard Bernstein non solo fama internazionale ma anche l’immortalità, anche se oggi è scongiurato il rischio che egli stesso vedeva come incombente, di essere ricordato soltanto come l’autore di uno dei Musical più riusciti della seconda metà del XX secolo.
    L’idea di West Side Story (originariamente East Side Story, ma il titolo fu cambiato al momento delle demolizioni in quel quartiere di Manhattan), prese corpo all’indomani dell’insuccesso di Candide, che iniziava il tortuoso percorso di riletture e nuove versioni che in trent’anni lo avrebbe condotto al posto che realmente gli compete, il teatro d’opera.
    Costantemente alla ricerca di un linguaggio pienamente americano per il teatro musicale, che evitasse la “trappola dell’opera”, secondo la definizione dell’autore, Bernstein riunì intorno a sé un gruppo di artisti di eccellente livello: da Arthur Laurents, drammaturgo di successo, al compositore Stephen Sondheim, per collaborare ai testi (Sondheim finì per limare alcuni passaggi dell’autore e scrivere quasi interamente il resto, cosa che gli venne riconosciuta da Bernstein, che, con rara generosità, volle che lui soltanto fosse indicato come l’autore nei manifesti e nella partitura), fino ad Oliver Smith, che immaginò gli ambienti newyorkesi teatro degli scontri fra bande. Su tutti il fedele amico e collaboratore Jerome Robbins, che offrì un contributo fondamentale, grazie al vigore muscolare e all’energia elettrizzante tipica della sua arte coreografica. La storia, che riecheggia la vicenda shakespeariana di Romeo e Giulietta, è ambientata nel mondo delle bande newyorkesi degli anni ’50 e racconta lo sbocciare dell’amore fra Maria e Tony, che tenta drammaticamente di sopravvivere nonostante la violenza delle gangs rivali degli Sharks e dei Jets. Inutilmente, perché Tony rimarrà ucciso, mentre sopravvive con Maria un simbolo di speranza per una vita migliore, più equa e giusta.
    West Side Story debuttò a Broadway con grande clamore il 26 settembre del 1957, superando le settecento repliche e oltrepassando poi il migliaio con la tournée americana. La Suite delle danze fu creata alla New York Philharmonic nel 1961, con l’orchestrazione di Irwin Kostal e Sid Ramin che lavorarono in contatto costante con l’autore, il quale come tributo di amicizia dedicò la partitura a Ramin. Bernstein, già da due stagioni al vertice dell’orchestra, volle come direttore Lukas Foss: in tutti quegli anni egli evitò sempre il podio per le sue produzioni di teatro musicale, almeno fino agli anni ’80, quando si decise a dirigere una nuova registrazione di West Side Story e poi la definitiva versione di Candide.
    Piuttosto che obbedire ad un ordine cronologico le Danze sinfoniche sono disposte seguendo un’intenzione di omogeneità formale, lontana da eventuali reminiscenze drammaturgiche: le singole Danze – in cui spicca la presenza costante del tritono, l’intervallo di quarta aumentata considerato storicamente diabolus in musica – assumono valore come musica pura e non necessariamente collegate ai contenuti narrativi che ricoprono nel Musical. Il prologo ci proietta immediatamente nelle strade della città, con le due gang, gli Sharks, immigrati portoricani e i Jets, abitanti del Bronx, pronti ad affrontarsi. Somewhere è il perfetto contraltare a quel clima, con la coppia degli innamorati, Maria e Tony, che sperano in una possibile vita pacifica per gli abitanti del West Side. Lo Scherzo passa rapidamente dal blues al passo doble ed esplode in un Mambo in cui l’energia della danza pulsa di un vigore e un’immediatezza quasi fisica, con richiami evidenti allo stile di Aaron Copland; la scena sembra quasi fermarsi al momento dell’incontro dei due protagonisti (Meeting Scene), introdotta da un passaggio di Cha- Cha. Segue un passaggio fugato (Cool), che sottende l’irreparabile esplosione della rivalità fra le bande (Rumble), con l’uccisione dei due capi rivali. Spetta simbolicamente alla figura di Maria chiudere la Suite di danze, dopo la cadenza del flauto, con una breve reminescenza di Somewhere, un Finale aperto che lascia aleggiare un messaggio conclusivo di speranza.
    La fama di West Side Story resta soprattutto legata al film del 1961, diretto da Jerome Robbins e Robert Wise, premiato con dieci Oscar: Bernstein partecipò poco alla realizzazione cinematografica e dovette accettare anche alcuni tagli ed aggiustamenti, ma il successo planetario del film consacrò definitivamente la sua posizione come star dello spettacolo.

     

    West Side Stor y: l’argomento
    Nel quartiere newyorkese del West Side si fronteggiano due bande rivali: gli Jets e gli Sharks. Tony, un pacifico garzone di bar, già membro degli Jets (banda capitanata dall’amico Riff), incontra casualmente a una festa da ballo Maria, sorella di Bernardo, capo degli Sharks. Il loro amore è contrastato dalla profonda rivalità esistente fra i due gruppi sprezzanti dell’ordine pubblico e in lotta per la supremazia nel quartiere. Tony cerca in tutti i modi di risolvere pacificamente la sfida, che presto sfocia in uno scontro sanguinoso.
    Quando Tony vede l’amico Riff selvaggiamente ucciso da Bernardo, in preda all’ira ne vendica la morte uccidendo il fratello di Maria. La ragazza perdona il suo gesto; Tony, erroneamente informato che Maria è stata uccisa, mentre cammina per il West Side alla ricerca del presunto assassino, viene brutalmente assassinato. Scossi dalla disperazione di Maria, i componenti delle due bande si riuniscono pacificamente per dare sepoltura a Tony.

     

    Chichester Psalms
    Durante il decennio di direzione musicale della New York Philharmonic l’attività compositiva di Leonard Bernstein subì una forte battuta d’arresto. Mentre in precedenza era sempre riuscito a dividersi fra le sue due anime, i gravosi impegni come direttore e organizzatore musicale portarono inevitabilmente Bernstein a concentrarsi quasi esclusivamente sulla propria orchestra. Le due eccezioni principali sono la grande Sinfonia n. 3 “Kaddish” (1963) e un piccolo capolavoro, un pezzo sacro per coro e orchestra commissionato nel 1965 dal reverendo Walter Hussey, decano della cattedrale di Chichester, nel Sussex.
    Ogni anno le tre cattedrali di Winchester, Salisbury e Chichester organizzavano congiuntamente un Festival di musica sacra e il successo internazionale di Bernstein spinse il decano a offrirgli la commissione, con la preghiera di considerare una formazione di proporzioni contenute. Bernstein, che era in anno sabbatico dalla sua orchestra newyorkese e non aveva altri progetti in scadenza, contrariamente al solito compose speditamente un brano secondo le richieste, strumentandolo per soli, coro, archi, tre trombe, tre tromboni, due arpe e percussioni. Esiste anche una versione ridotta, dello stesso compositore, e la parte del soprano, nell’intenzione originale pensata per voce di bambino solista, può essere sostituita, quando necessario, dalla voce del controtenore, ma in teoria non da quella femminile (Bernstein peraltro ottenne il permesso di eseguirla per prova a New York due settimane prima della première a Chichester e usò solo voci maschili). Ancora una volta dopo Kaddish una composizione di Bernstein si incentrava sul canto in lingua ebraica, pratica tradizionale profondamente radicata nella sua famiglia e nella sua infanzia.
    Se però nell’affresco sinfonico i testi descrivevano un percorso dolente e persino rabbioso dell’uomo davanti a Dio, prima dell’approdo a una luce di speranza, il messaggio dei Chichester Psalms vede prevalere una disposizione d’animo pervasa di gioia. Inoltre rispetto alle sperimentazioni – piuttosto timide – di Kaddish, viene messa da parte la ricerca in campo dodecafonico, che dopo un iniziale approccio Bernstein aveva giudicato incoerente con la propria ricerca creativa, troppo lontana e fondamentalmente “non onesta” rispetto alle proprie posizioni estetiche.
    Il risultato infatti, nonostante la difficoltà di esecuzione per gli interpreti, è uno dei lavori più riusciti di Bernstein, saldamente illuminato dalla tonalità di si bemolle maggiore e attraversato per intero da una sincerità espressiva capace di conquistare anche al primo ascolto.
    I tre movimenti sono incentrati ciascuno sostanzialmente su un singolo Salmo, presentato però in concomitanza o intervallato con passaggi di altri Salmi, con l’intenzione di formare un unico testo tripartito in pannelli. Una reminescenza di West Side Story si può ritrovare nel passaggio del secondo movimento (Why do the nations, passo reso celeberrimo dalla pagina del Messiah di Händel), per cui Bernstein utilizzò parte della musica del preludio, che era stato scartato. Altro materiale musicale proveniva da un vagheggiato progetto operistico basato su The Skin of our Teeth di Thorton Wilder, mai portato a termine.
    Il primo movimento si apre con un corale, dal forte impatto drammatico, con cui il coro presenta la prima porzione del Salmo 108, cui segue il passaggio più brillante del Salmo 100, venato di suggestioni jazzistiche, con la sezione centrale della proclamazione che sfocia in una vera e propria danza (si noti l’uso dei bongo, che contribuisce alla connotazione “americana” del linguaggio orchestrale), per poi chiudersi dopo un passaggio più meditativo.
    Il secondo movimento invece si distende su un tema dolcemente lirico, affidato in apertura alla voce del soprano solista (Salmo 23), ripreso poi dal coro; improvvisa interruzione e cambio di atmosfera con il corrusco passaggio del Salmo n. 2, con cui poi, con un sapiente gioco contrappuntistico, si intreccia il tema iniziale, con la ricomparsa della voce solista del soprano.
    Il movimento finale inizia con le frasi appassionate e singhiozzanti degli archi, su cui poi si innesta un nuovo intervento del coro, con l’esposizione del Salmo 131, una figurazione di grande fascino, che pare avvolgersi lentamente su se stessa. Dal coro si levano poi le voci soliste che esplorano una nuova variazione della linea melodica, che infine si quieta lasciando spazio al commosso e misterioso passaggio corale del Salmo 133, in un’atmosfera sospesa che si risolve poi nell’Amen finale.

     

    Chichester Psalms
    I
    Urah, hanevel, v’chinor! Svegliatevi, liuto e arpa!
    A’irah shahar! Sveglierò l’aurora!

    Salmo 108: 2
    Hariu l’Adonai kol ha’arets. Lanciate grida di gioia verso l’Eterno
    Iv’du et Adonai b’simha. voi tutti, abitanti della terra!
    Bo’u l’fanav bir’nanah Servite l’Eterno con gioia,
    D’u ki Adonai Hu Elohim. radunatevi con allegria davanti a Lui!
    Hu asanu, v’lo anahnu. Egli ci ha creato e non siamo
    Amo v’tson mar’ito. fatti per noi stessi.
    Bo’u sh’arav b’todah, Siamo il suo popolo
    Hatserotav bit’hilah, e il gregge del suo pascolo.
    Hodu lo, bar’chu sh’mo. Entrate nel suo tempio
    Hariu l’Adonai kol ha’arets… con canti di lode.
    Ki tov Adonai, l’olam has’do, Celebratelo, benedite il suo nome!
    V’ad dor vador emunato. Perché l’Eterno è bontà e fedeltà per tutte le generazioni.

    Salmo 100
    Adonai ro’i, lo ehsar. L’Eterno è il mio pastore;
    Bin’ot deshe yarbitseni, non mi mancherà nulla,
    Al mei m’nuhot y’nahaleni, riposerò nei verdi pascoli
    Naf’shi y’shovev, e vicino a dolci ruscelli
    Yan’heni b’ma’g’lei tsedek, con il suo aiuto.
    L’ma’an sh’mo. Egli assisterà la mia anima
    Adonai ro’i, lo ehsar. e mi condurrà nel regno
    Gam ki elech della giustizia.
    B’gei tsalmavet, Quando giungerò
    Lo ira ra, nella valle della morte
    Ki Atah imadi. non avrò paura,
    Shiv’t’eha umish’an’techa perché Tu mi sei vicino
    Hemah y’nahamuni, e la tua presenza
    Adonai ro’i, lo ehsar. mi rassicura.

    Salmo 23: 1-4
    Lamah rag’shu goym Perché tanto rumore fra le nazioni,
    Ul’umim yeh’gu rik? tanti vani pensieri fra i popoli?
    Yit’yats’vu malchei erets, Perché i re della terra
    V’roznim nos’du yahad si rivoltano e i principi
    Al Adonai v’al m’shiho. si uniscono tra di loro
    N’natkah et mos’roteimo, contro il Signore e suo figlio?
    V’nashlichah mimenu avotemo. Spezziamo e liberiamoci
    Yoshev bashamayim delle catene!
    Yis’hak, Adonai Yil’ag lamo! Il signore che sta nei cieli
    Lamah rag’shu goyim… non si preoccupa di loro.

    Salmo 2: 1-4
    Ta’aroch l’fanai shulhan Tu erigi un muro
    Neged tsor’rai davanti ai miei avversari:
    Dishanta vashemen roshi ungi la testa con l’olio
    Cosi r’vayah. e scaccia ogni colpa.
    Ach tov vahesed La felicità e la grazia
    Yird’funi kol y’mei hayai, saranno al mio fianco,
    V’shav’ti b’veit Adonai abiterò nella casa dell’Eterno
    L’orech yamin. sino al giorno della morte.
    Adonai ro’i, lo ehsar.

    Salmo 23: 5-6
    Adonai, Eterno!
    Lo gavah libi, Non sono sospettoso
    V’lo ramu einai, né invidioso,
    V’lo hilachti non mi occupo di cose
    Big’dolot uv’niflaot troppo grandi per me.
    Mimeni, Im lo shiviti Io t’amo con animo
    V’domam’ti, calmo e tranquillo,
    Naf’shi k’gamul alei imo, come un bimbo svezzato
    Kagamul alai naf’shi. vicino alla mamma.
    Yahel Yisra’el el Adonai Israele, abbi fiducia nell’Eterno
    Me’atah v’ad olam. ora e sempre!

    Salmo 131
    Hineh mah tov, Ecco, è dolce e piacevole
    Umah na’om, vivere insieme
    Shevet ahim come fratelli!
    Gam yahad.
    Amen. Amen.

    Salmo 133: 1

    Bernstein a Santa Cecilia
    Leonard Bernstein ha diretto in numerose occasioni l’Orchestra e il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia. Dopo i concerti al Teatro Argentina, dove si esibiva spesso nella duplice veste di direttore e pianista, il suo ritorno a Santa Cecilia, nella nuova sede di Via della Conciliazione, fu in stretto rapporto con la profonda amicizia che lo legava all’allora Presidente Francesco Siciliani. Nel 1983 accettò con entusiasmo la carica di Presidente Onorario dell’Orchestra, che seguì con affetto e dedizione e diresse annualmente fino alla fine della sua carriera e della sua vita.

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