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Ultime note di un genio (1)

Lo spazio odierno è dedicato a Ludwig van Beethoven e ad alcune tra le ultime opere del suo catalogo; la Missa Solemnis op. 123 del 1819 è la più ampia composizione sacra del musicista che nel 1819 segue l'oratorio "Cristo nell'orto degli Ulivi" (1803) e la Messa in do maggiore (1807).

Non è certamente il caso di mettere in dubbio la spiritualità del compositore, mentre molto si è scritto sulla natura del suo sentimento religioso: la devozione propriamente detta e l'osservanza di riti e regole non era certo nelle corde di Beethoven, ma l'intima forza del suo credo in un'entità divina è indiscutibile; una fede, la sua, cristiana e cattolica ma decisamente fuori dai canoni - che del resto in nessun ambito poterono imbrigliare la personalità del titanico artista.

Già dal 1818 il musicista si interessa particolarmente alla musica sacra, studiando i grandi esempi del passato (tra cui il nostro Palestrina) ed analizzando le forme, la prosodia, le varie caratteristiche dei testi sacri e delle parti della Messa, anche se il suo interesse più grande è per l'essenza spirituale che la musica può incarnare: "La mia principale preoccupazione è di risvegliare ed instillare durevolmente i sentimenti religiosi non solo negli esecutori ma anche negli ascoltatori".

Quando il fratello dell'Imperatore l'Arciduca Rodolfo, (grande protettore, allievo, committente di Beethoven e dedicatario di molti suoi lavori) fu prossimo alla consacrazione arcivescovile, chiese a Beethoven di comporre per lui una Messa; nacque così la Missa Solemnis, che però non venne consegnata in tempo per l'occasione.

Comparata nell'800 per la sua grandiosità ed importanza al Messia di Haendel e alla Messa in Si minore di Bach (quest'ultima assai poco conosciuta fino al 1818), la Missa Solemnis si pone accanto a queste opere - cui aggiungeremmo almeno il Requiem Tedesco di Brahms e il Lux Aeterna di Ligeti - come uno dei momenti più alti della spiritualità umana.

L'unica opera composta da Beethoven per il teatro, il Fidelio, non ebbe nel 1805 un'accoglienza positiva, e i molti rimaneggiamenti che essa subì toccarono anche la sua Ouverture; da qui le varie versioni di quella Leonora la cui numerazione è contraddittoria rispetto a data di composizione, pubblicazione e numero d'opera; quella che ascolteremo è la n. 1 op. 138 denominata Leonora I, e fu scritta nel 1807 (per terza quindi rispetto alla n. 2 del 1805 e alla più celebre n. 3 del 1806), fu eseguita postuma nel 1828 e venne pubblicata 10 anni dopo.

Il Rondò a capriccio , pubblicato da Diabelli nel 1828 a Vienna col numero d'opera 129, è una vivace composizione pianistica risalente agli anni tra il 1795 e il 1798, scoperto solo nel 1945 il manoscritto originale, esso porta come titolo "All' ungherese, quasi capriccio"; "La collera per il soldo perduto", titolo con cui il brano rimase celebre per i critici musicali - Schumann compreso, era stato invece aggiunto da un'altra calligrafia.
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