VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

La Galleria Vittorio Emanuele deserta a Milano: l'albero di Natale al centro illuminato,  le serrande dei negozi abbassate, la galleria vuota.

La zona rossa e il rosso del Natale

di Guido Barlozzetti

 

Feste diverse, queste di un’Italia segnata dal rosso della clausura e da un intermittente arancione.

Non sono i colori del Natale e di questi giorni che vanno verso l’anno nuovo. E’ un altro il rosso, quello che associamo al vestito di Babbo Natale bordato di bianco, al colore benaugurante della vita, alle decorazioni dell’albero, ai fiocchi con cui chiudiamo i pacchi dei regali, ai frutti del pungitopo con le sue foglie verdi che sembrano ritagliate dalla precisione delle forbici di un giardiniere.

Questo rosso non l’avevamo mai visto e ormai ci accompagna in una stagione iniziata nell’inverno scorso, quando si è manifestato un virus invisibile e purtroppo portatore di morte e sofferenze. Un virus che ci ha messo in una condizione sconosciuta che ha riguardato tutti e ha imposto ragioni di sicurezza che hanno assunto forme e nomi con cui abbiamo ormai – seppur faticosamente – familiarizzato: distanziamento sociale, no agli assembramenti, mascherine, le zone rosse… il Covid, la pandemia.

Una rottura si è introdotta nella quotidianità: ha cambiato il modo di relazionarsi fra le persone, ha introdotto paure e diffidenze – una sorta ormai di riflesso condizionato che ci portiamo dentro, alimentato da un nemico invisibile di cui i media e le esperienze di ciascuno ci hanno raccontato gli effetti terribili, ha cambiato lo stesso linguaggio, gli argomenti di cui parlare, il tono delle nostre giornate. E il piano psicologico si è accompagnato a sconvolgimenti radicali del tessuto economico e, inevitabilmente, sociale.

Per arginare la diffusione del virus sono stati limitati – fino a vietarli – spostamenti, viaggi, le stesse uscite di casa per andare al lavoro o a scuola, con riflessi devastanti su tante attività: dalla ristorazione agli alberghi, dalla rete dei negozi allo sport, dal cinema al teatro, a tutte le attività basate sulla riunione di un pubblico in spazi comuni e condivisi.

Forse non ce ne rendiamo ancora del tutto conto, il cambiamento è stato così profondo e veloce che non siamo ancora in grado di poterne anticipare una curva che lasci intravedere una qualche conclusione.

Ha cambiato noi, ha modificato la struttura stessa del vivere e della società, ha creato difficoltà a chi già si trovava in difficoltà e ne ha aggiunte nuove a chi comunque aveva una stabilità e la certezza di un’occupazione o di un’attività.

Da anni uno dei temi all’ordine del giorno era diventato la sicurezza e, all’improvviso, ha assunto un aspetto che non avremmo mai immaginato e che è venuto a investire direttamente la stessa questione della vita, instillando l’incubo della sopravvivenza rispetto a un virus capace di distruggere le difese del nostro corpo.

Insomma, ha cambiato la stessa politica e cioè il modo di stare insieme e, al tempo stesso, il modo che ci siamo dati per governarlo. Oggi ci interroghiamo sui comportamenti dei governi, sulla legittimità delle procedure adottate, su come l’emergenza è intervenuta sugli assetti stessi della democrazia.

E poi ci siamo venuti a trovare su uno strano bordo, di cui si erano già avute avvisaglie e che il Covid ha manifestato in tutta la sua ambiguità e con una domanda che investe la natura stessa di una società in cui i mezzi dell’informazione hanno assunto una centralità in grado di condizionare la formazione delle opinioni individuali e collettive e di rendere strutturalmente incerto e addirittura indecidibile il confine tra il vero e il falso.

E’ così che abbiamo assistito all’esplosione di un fenomeno tutt’altro che inedito ma che ha assunto proporzioni e intensità tali da non poter essere archiviato come un rumore marginale. Si era già esercitato sui campi di concentramento e l’Olocausto, sul viaggio sulla Luna, sulle Torri Gemelle o sul climate change, negando ogni volta persino l’evidenza delle immagini e delle testimonianze: il negazionismo ha alzato la voce sull’esistenza stessa della pandemia e puntato il dito su complotti e messe in scena che hanno messo in discussione perfino i convogli militare con le bare dei deceduti e le ambulanze che corrono a sirene spiegate per le città.

Risvolto di questa piega inquietante e per nulla casuale, il ruolo svolto dal sistema dell’informazione. Siamo abituati a fare ragionamenti in cui separiamo nelle cose quelli che ci sembrano gli aspetti positivi dai negativi, con la tentazione un poco moralistica di tenerci i primi e di eliminare i secondi. Spesso però le cose sono più complesse di quanto possa sembrare, gli intrecci e le trasversalità mettono in discussione certe semplificazioni, come accade proprio nell’informazione: un pilastro delle società democratiche, fondate sul principio della libera circolazione di idee e dei punti di vista, e sulla necessità che tutti siano messi in grado di conoscere ciò che accade in una società, il gioco degli interessi e delle decisioni che influiscono sul destino di ciascuno, il diritto di ciascuno a dire ciò che si pensa. Ebbene abbiamo sperimentato come la quantità delle informazioni e la moltiplicazione dei punti di vista abbia generato un equivoco groviglio in cui le conoscenze hanno rischiato di svanire nel protagonismo mediatico, nelle contrapposizioni artificiose, nel sentito dire, nelle ipotesi non suffragate da dati e, va detto, anche nell’incertezza di una scienza trovatasi indifesa e impreparata davanti a una novità sconvolgente.

Adesso siamo nelle feste e le stiamo vivendo con il carico soggettivo di questa condizione nuova e imprevedibile, sospesi tra assuefazione e qualche speranza. Però le feste hanno un valore profondo. L’umanità le ha “inventate” per interrompere la normalità feriale con i problemi e le contraddizioni che la segnano: uno spazio franco in cui gli individui e la società si rigenerano, fanno un passo che separa dal passato e guardano al futuro.
Il significato profondo del Natale, della nascita messianica di Gesù sta proprio in questa proiezione al rinnovamento, riconfermata fra qualche giorno dal calendario che avvicenda un anno all’altro.

Per quanto siano rosse o arancioni le zone in cui ci tocca di vivere in questi giorni, la nostra umanità ha dentro di sé un soffio vitale che non ci farà arrendere a un virus. Certo, nella consapevolezza del dolore, e però anche con una disposizione a una nuova e tutta da sperimentare solidarietà “politica” che tutti ci riguarda e che costituisce il senso più profondo e festivo del nostro stare insieme.

 

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