VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Daniele De rossi saluta i giornalisti subito dopo l'annuncio del suo addio alla Roma

Addio a De Rossi e Allegri

di Guido Barlozzetti

La popolarità del calcio è fatta di gol, di maglie e di campioni. I tifosi si legano ad una squadra e stabiliscono un rapporto profondo di affezione, a volte complessa e tortuosa come accade al sentimento dell’amore, che si riversa in particolare su delle figure che diventano emblematiche, dei veri e propri compagni di strada, bandiere personalizzate e simboliche. Questo rapporto raggiunge una grande intensità, può durare per anni e anni, coincidere con un’intera carriera e protrarsi anche dopo, per tutta la vita di chi ne viene investito. E come nasce, per un misterioso feeling che dura nel tempo, così può accadere che si concluda, perché incombe l’ineluttabilità del tempo o perché interviene qualcosa che lo interrompe. Ce lo ricordano due addii che si sono appena consumati, con una coda di polemiche e di malumori.

La Roma ha deciso di non rinnovare il contratto a Daniele De Rossi e così è accaduto a Massimiliano Allegri da parte della Juventus. Due vicende che si sono concluse in modo imprevedibile, ancor più sorprendenti perché hanno riguardato un giocatore che ha fatto tutt’uno con la Roma e il suo spirito più popolare radicato nella città, e un allenatore che con i bianconeri ha vinto cinque scudetti di fila ed è arrivato due volte alla finale della Champions League. Si poteva pensare che in un caso e nell’altro pesassero titoli che avrebbero prolungato la storia e invece fine. Un addio senza se e senza ma, irreversibile e definitivo. Ognuno per la sua strada.

Sia De Rossi che Allegri hanno manifestato, in modi diversi, stupore e rammarico. Diciamo che non se lo aspettavano, che un benservito di questo genere era fuori da ogni previsione e che, per questo, la separazione è accompagnata da un visibile disagio, esibito senza mezzi termini da De Rossi – “Se fossi stato il presidente della Roma io un contratto a De Rossi l’avrei fatto” – più tra le righe e composto quello di Allegri che ha preso atto ripetendo che “la decisione è stata del Presidente”, come a dire che una sola è stata la volontà di porre termine a una collaborazione così vincente.

De Rossi ha quasi trentasei anni, un’età al limite per un calciatore, ma non tale da non poter permettere ancora uno scampolo di carriera, magari con un contratto a gettone, in ogni caso con uno scivolamento naturale verso la conclusione. E invece il taglio è giunto repentino per un giocatore che, dopo qualche calcio nella Ostiense, è entrato subito, a diciotto anni, nella prima squadra della Roma, e vi ha giocato 615 partite segnando 58 gol. E soprattutto è diventato il fratello inseparabile di Francesco Totti, qualcosa di meno in fatto di classe, ma tutte le qualità che legano per sempre al tifo, la determinazione, il sacrificio, l’impegno, il senso dell’appartenenza, cementato anche da una consonanza con il genius loci, con la romanità giallorossa. Ebbene, dalla sera alla mattina gli comunicano che basta, non si va avanti. La società ha altri piani e ritiene inutile continuare. L’età, può aver pesato, certo, però è altrettanto sicuro che poca sensibilità si è avuta nei confronti di qualcosa che è difficilmente quantificabile ma riguarda nella sua indefinitezza proprio il legame profondo e viscerale che si stabilisce fra il tifo e una squadra, la proiezione di una passione individuale e collettiva in qualcuno che riassume in sé il senso di una storia e di una fedeltà.

Diverso è il caso di Allegri. Non ha una carriera a strisce bianche e nere, è arrivato alla Juve cinque anni fa, dopo i tre di un allenatore bulimico e forte di carattere come Antonio Conte. Con un obbligo, perché di questo si tratta: vincere la Coppa dei Campioni, il trofeo stregato che la squadra torinese insegue da anni e che mette dietro di sé qualunque scudetto. Non ne sono bastati cinque, uno dopo l’altro, l’uscita anzitempo dalla Coppa ha scritto la sentenza per un allenatore che i tifosi non hanno mai amato del tutto, insoddisfatti di un gioco giudicato poco spettacolare e della gestione dei giocatori. Resta una strana sensazione. La società, il Presidente in testa, dice che non ci sono cause specifiche e che “con grande dolore è arrivato il momento di cambiare”. E perché? Nessuno lo dice. E forse la verità è che con l’uscita dalla Champions il rapporto si è rotto e che la somma delle insoddisfazioni per una delusione cocente ma non ammissibile ha portato a licenziare il tecnico. Domani è un altro giorno.

Dunque, sia De Rossi che Allegri se ne vanno e in un ambiente dove da tempo la passione sta dietro i conti, vince la rudezza spietata degli interessi.

 

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